IT – Il romanzo cult dell’horror d’autore


IT è, in assoluto, il mio romanzo horror preferito. Innanzi tutto, sono convinta che scrivere del buon horror, che faccia davvero paura, sia una delle sfide più difficili che un autore debba mai affrontare (e il buon Stephen King lo fa magistralmente da ormai più di quarant’anni): su schermo il supporto di immagini e suoni aiuta tantissimo a spaventare lo spettatore, ma nella scrittura l’abilità sta tutta nel far sì che il lettore crei da sè la propria nemesi, l’autore costringe ad alimentare la nostra stessa paura.

Tra i capolavori del genere, IT risplende di una sua aura meravigliosamente grottesca, inquietante fin dalle primissime righe e capaci di trascinare via, con la stessa forza dell’acqua che trasporta la barchetta del piccolo George in un piovoso giorno d’autunno: uno dei punti focali di questo immenso romanzo è, ovviamente, l’infanzia. Stephen King ha sempre dipinto i bambini dei suoi romanzi con pennellate luminose, rendendoli personaggi centrali e dotati di una magia propria, spesso i soli in grado di vedere la verità e avere la forza di combattere le forze dell’oscurità; l’intera opera di Stephen King può considerarsi un inno all’infanzia, al potere dell’immaginazione non ancora imbrigliato dalla società e all’innocenza crudele dei bambini. E non parliamo di bambini qualunque, bensì del Club dei Perdenti, come si autodefiniscono: sono gli sfigati, quelli emarginati per un difetto fisico, la razza, la famiglia da cui si proviene o solo e semplicemente, per essere diversi.  IT è un romanzo in cui gli adulti sono spesso solo figure marginali, nel bene e nel male, e gli stessi protagonisti, una volta cresciuti, ritrovano il proprio potere di combattere il buio solo ripercorrendo i passi che i loro alter ego più giovani avevano già tracciato ventisette anni prima.

La forma di questo romanzo è quanto mai singolare, con continui salti temporali, che confluiscono però sempre nella stessa narrazione, intersecandosi con fluidità e permettendo al lettore di seguire sempre agilmente il senso del racconto: conosciamo i bambini e gli adulti contemporaneamente ma, per me, è la parte ambientata nel 1958 che risalta particolarmente nella memoria, in parte perchè è quella in cui avvengono gli eventi più orribili e spaventosi, ed in parte perchè la magia che caratterizza l’intersecarsi di queste giovani vite è tangibile anche per il lettore.

Stephen King sembra comprendere e ricordare con lucida chiarezza i meccanismi logici dell’infanzia e porta il lettore stesso a ricordare la propria, come se certi linguaggi e certi giochi fossero davvero universali. Il Re sa trasmettere la sensazione di aver creato non uno ma infiniti universi in pochissime parole, accenni sparpagliati qua e là, che all’occhio del lettore affezionato finiscono per comporre un quadro di una bellezza struggente: per capire di cosa sto parlando bisogna leggere la saga de La Torre Nera, che fa da compendio a tutte le opere del Re dell’horror. IT stesso non è che una creatura aliena appartenente ad uno di questi innumerevoli universi, che si nutre delle paure umane ed ha creato un’intera città perchè gli faccia da territorio di caccia. Lo ammetto, per me Derry era così reale che da ragazzina l’ho cercata sulla mappa del Maine!

IT stesso spaventa nel suo essere ovunque, apparentemente onnisciente e invincibile nella sua vorace malvagità: la sua influenza plasma la vita di tutti i cittadini di Derry, rendendola una città apatica in cui le cose più terribili accadono senza che nessuno reagisca se non superficialmente. Ed è la litania di orrori che si scoprono lungo il romanzo ad affascinare maggiormente, una specie di precursore (immaginario!) delle dirette tv durante i disastri naturali o gli attacchi terroristici: assistiamo impotenti allo svolgersi di queste tragedie che il Re racconta con una perizia di dettagli tale da renderle vere e vive ai nostri occhi e, tragicamente, plausibili. Non sono, contrariamente ai vecchi film, i palloncini a restare maggiormente impressi nella memoria del lettore, ma ognuno può scegliersi l’orrore che più lo colpisce nel subconscio e portarselo a letto, cullarlo tra i propri incubi preferiti.

Ho sempre apprezzato, di Stephen King, il modo sfacciato con cui affronta la sessualità in generale e in particolare quella dei giovanissimi: riesce a raccontarci di tutti gli aspetti, da quelli sordidi a quelli più puri e innocenti, senza cadere mai nel volgare e anzi sapendo quando intessere di poesia un determinato momento, rendendolo giusto e necessario, senza meschini doppi sensi o ripensamenti. Quest’uomo è decisamente uno degli autori più potenti e profondi che io abbia mai avuto la fortuna di leggere, e la sua abilità sta nel rendere i propri racconti al di sopra del singolo genere, rendendoli universali e, semplicemente, umani. IT fa paura e dà speranza al tempo stesso, ci fa capire che le cose sacre nella vita sono quelle più piccole e crea una paura sottile, non del mostro nascosto nelle fogne bensì di quello, molto più reale, che si nasconde all’interno di ognuno di noi.

La mia sola speranza a questo punto è che il nuovo film possa essere almeno in parte all’altezza di quest’opera immensa e bellissima.

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