Stroncature – Il film di Death Note uccide l’insonnia


Netflix presenta: il film di Death Note
di Adam Wingard, con Nat Wolff, Keith Stanfield, Margaret Qualley, Willem Dafoe

REGOLA 1
L’umano che spenderà del tempo guardando questo film morirà di noia”.

Un oggetto proveniente da chissà dove piomba nel nostro mondo. Si tratta di un quaderno in grado di uccidere chiunque, purché se ne scriva il nome avendone bene in mente il volto. Ne entra in possesso il liceale Light, intenzionato a usarlo per ripulire il mondo dai criminali ed elevarsi a dio tra gli uomini.

È questo il soggetto di Death Note, manga creato da Tsugumi Ōba e Takeshi Obata nel 2003. L’opera (molto ben scritta) parte da una premessa soprannaturale e la trasforma in una sorta di esperimento mentale: cosa succederebbe se un artefatto così potente cadesse in mano a un diciassettenne geniale e patologicamente narcisista? Chi avrebbe la meglio in uno scontro di intelligenze tra il miglior studente del Giappone e un detective infallibile?

Da questo manga, negli anni, sono nati tanti altri prodotti: un anime, svariati film e una miniserie in live action, tutti usciti nel Paese del Sol levante. A questi si aggiunge Death Note – Il quaderno della morte, remake americano prodotto da Netflix dopo aver rilevato un progetto cominciato dalla Warner.

Il manga originale contava ben dodici volumi; la serie, invece, era suddivisa in 37 episodi da circa 20 minuti l’uno. La sfida per gli sceneggiatori statunitensi, dunque, era tutt’altro che facile: condensare un prodotto così lungo e complesso in poco più di un’ora e mezza. 

Un’impresa complicata, da affrontare con una pianificazione attenta.

Primo passo: azzerare tutto.
Secondo passo: ambientare la storia a Seattle.
Terzo passo: ordinare tre bottiglie di vodka a testa e scolarsele d’un fiato .
Quarto passo: cominciare a scrivere.

Nasce così l’unica sceneggiatura al mondo in grado di rendere noioso un liceale con manie di grandezza che trova un modo per uccidere chiunque desideri. Il film di Death Note prende il materiale originale e ne svuota i personaggi di senso e logica per impacchettarne il tutto in un pessimo episodio di Smallville. Per cento minuti, lo sfortunato spettatore assiste inerme a questo capolavoro di incoerenza, assumendo per tutta la durata lo sguardo vispo e interessato di Bran Stark di Game of Thrones.

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Il film impiega pochi minuti per farci capire che qualunque confronto con l’originale sarebbe una perdita di tempo. Light, da adolescente modello dotato di un intelletto fuori dal comune, diventa un anonimo ragazzino che spilla soldi ai compagni facendo i compiti al posto loro. A differenza della propria controparte cartacea, soprattutto, non spreca un solo minuto per nascondere le proprie attività, tutto preso dal mostrare al mondo il suo alter ego: Kira, un dio della giustizia che uccide i criminali allo scopo di ripulire la società.

 Peggio: non nega mai di essere lui l’autore degli oltre 400 omicidi che gli vengono attribuiti, forse nel tentativo di seguire alla lettera gli insegnamenti di Winston Zeddemore.

Dopo neanche mezz’ora, già spiattella tutto alla cheerleader Mia, che gli ha semplicemente chiesto cosa sia quello strano quaderno che con molta astuzia si è portato a scuola. Nella seconda metà del film conferma i sospetti del detective L, e sul finale ammette candidamente tutto al padre. 

Il Death Note di Netflix, al pari della Maga Magò, “vuole regole per il piacere di infrangerle”. Prima stabilisce che le vittime del Death Note, per quanto sotto l’influsso del quaderno, non possano rivelare informazioni che non conoscono. Poi però Light uccide una serie di carcerati facendo scrivere loro una frase in giapponese sulle pareti della cella, benché (come viene sottolineato) nessuno di loro conoscesse quella lingua.

Ancora: per uccidere e manipolare qualcuno servono un nome, un cognome e un volto. Eppure il quaderno funziona perfettamente con Watari, di cui nessuno conosce il cognome (per di più, nell’originale era solo uno pseudonimo).

Però può sempre riciclarsi come cosplayer di Kenny di South Park

Non solo. L fa tenere sotto controllo la famiglia di Light: ogni aspetto della vita dei Turner è sotto l’occhio vigile del detective. Peccato che si scordi di intercettare il telefono del suo principale sospettato e non si porti nemmeno un microfono nascosto mentre va a interrogarlo. Non male per quello che ci viene presentato come l’investigatore più geniale al mondo.

In conclusione, il film di Death Note è insopportabile per quanti abbiano amato il manga e l’anime. Da Jeremy Slater – sceneggiatore dell’ultimo film sui Fantastici Quattro – non ci si potevano aspettare miracoli; ma neppure un abominio in stile Dragon Ball Evolution. I personaggi non hanno nulla in comune con quelli originali: Mia e Light hanno una relazione adolescenziale più o meno paritaria, molto diversa dal controllo narcisistico subito dalla Misa Amane di Tsugumi Ōba e Takeshi Obata; Ryuk (un ottimo Willem Dafoe) non è un giudice imparziale che vuole solo divertirsi a vedere gli umani giocare con la morte, ma ha una parte attiva e molto invasiva; ma soprattutto Light e L (ben lontani dall’essere le due menti superiori descritte nel manga) danno vita a una serie di schermaglie molto vicine, per intensità, a una lite per questioni di parcheggio.

Tuttavia, un qualunque prodotto (che sia un film, una serie tv o un videogame) non andrebbe mai giudicato solo paragonandolo all’originale. Si tratta di media diversi, ognuno con la necessità di reggersi sulle proprie gambe. Il problema del film di Death Note è che non funziona neanche per chi non conosce il materiale di partenza: è noioso, confuso e vuoto, costellato di personaggi senza sostanza o motivazioni comprensibili e imbottito di cliché da teen movie. Persino i titoli di coda contraddicono il tono cupo che la pellicola tenta disperatamente di avere: i nomi del cast sono intervallati con allegri spezzoni di backstage in muto, pieni di papere, risate e green screen.

Il finale, poi, resta aperto. Sembra evidente che stia per accadere un certo qualcosa ma non viene mostrato pienamente, forse nella speranza di realizzare un seguito. Un timore che, avendo a disposizione anche noi un Death Note, non lascerebbe dubbi su quale sia la cosa migliore da fare.

il film di Death Note ci ha delusi così tanto che useremmo il quaderno della morte per uccidere un eventuale sequel

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