Caro Dio, non è per metterti fretta. Ma ho poco tempo.


Oscar e la Dama in Rosa si legge il tempo di una clessidra. Un tempo breve, come la vita di Oscar, che scorre più in fretta di altri. Oscar infatti ha 10 anni sulle spalle e 12 giorni di vita rimasti. E ci regala 112 pagine di pura poesia per entrare nel suo mondo.

Eric-Emmanuel Schmitt, autore francese naturalizzato belga, con tocchi leggeri pennella, in poche pagine, temi universali. Attraverso lo sguardo di un bambino piccolo, Schmidt ci fa affrontare grandi questioni: la malattia, le relazioni, il tempo, la morte, l’amicizia, la fede. E la vita, che ha diversi modi per essere affrontata alla luce della fine. Che tocca a chiunque, nessuno escluso. Una fiaba per adulti che lascia aperte molte domande perché “Solo le domande di scarso interesse hanno una risposta definitiva”.

Il dolore esiste, si sa, tutti vorrebbero superarlo. Ma Nonna Rose, una delle volontarie in camicia rosa, sostiene addirittura che il dolore sia necessario. Oscar ha dieci anni ma ne dimostra sette, vive in ospedale invece di dar fuoco ai suoi animali domestici ed è soprannominato Testapelata. E quella signora in rosa, dall’età indefinita, gli sembra una tipa davvero tosta. Ex lottatrice di wrestling con lo pseudonimo di Strangolatrice della Linguadoca, ha vinto centossessanta incontri su centossentacinque. Lei è l’unica a non trattarlo come un idiota e a fargli vedere le cose in diversa prospettiva. Lo fa parlandogli di Dio e dei suoi vecchi incontri sul ring. Snocciolando storie su Diabolika Sinclair, l’olandese che al posto delle tette aveva due granate e Royal Tettons che mandava a tappeto le avversario con l’alito di birra fermentata e la cattiveria.

Oscar pure si sente un cattivo malato. Uno di quelli per colpa dei quali non si può credere che la medicina sia fantastica. Ma è anche un satellite attorno a cui vorticano le vite degli altri personaggi, sul palcoscenico del reparto di pediatria. Il dottor Dusseldorf, che lo guarda sempre con quei sopracciglioni sconsolati. I suoi amici: Bacon, grande usionato. Pop Corn, che ha una fame perenne e che a nove anni pesa 98 Kg. Einstein che ha la testa grossa il doppio del normale perché ha dell’acqua dentro.  Peggy Blue, la bambina dalla pelle blu per via di un problema al cuore. Che fa battere forte il cuore di Oscar. E infine i suoi genitori, che invece di trattarlo normalmente, preferiscono trascorrere il tempo a leggere i libretti delle istruzioni di tutti i giochi che gli regalano pur di non parlargli. Che non hanno il coraggio di raggiungerlo in stanza dopo che il dottore annuncia loro che la terapia è fallita. Restano pochi giorni di vita.

Nonna Rose, che aveva suggerito di scrivere una lettera a Dio per confidargli tutti i pensieri che non può e non vuole confidare agli altri, trova un espediente per rimettere tutto in gioco. Immaginare che ogni giorno sia lungo dieci anni. Una settimana diventa così una vita in miniatura, durante la quale Oscar può crescere, innamorarsi, prendere grandi decisioni, sbagliare, provare delusioni, raggiungere grandi traguardi e imparare ad apprezzare ogni istante come se fosse il primo giorno. La storia si srotola attraverso le lettere di Oscar a Dio: dirette, ironiche, arrabbiate, limpide, divertenti e profonde insieme. Nessun giro di parole, la vita è ben corta per perdersi in fesserie.

Eric-Emmanuel Schmitt in poche pagine esplora tutte le forme dell’amore. Quello romantico con Peggy Blue, che diventa sempre più solido ad ogni ostacolo superato. L’amore coi genitori, impreparati di fronte a quella cartella clinica. Un amore incastrato in una rete di paure, silenzi, timori, giudizi e colpe, ma che troverà il modo di liberarsi. L’amore con Nonna Rose, che è gratuito e si alimenta di fantasia e di verità, intessuta di luce e ombre. E infine l’amore universale, quello che Oscar intuisce davanti al Dio di Nonna Rose. Un Dio che non è un culturista come Oscar se l’era immaginato, di quelli che vincerebbe qualsiasi incontro di wrestling. Se ne sta invece appeso, insanguinato a soffrire. Eppure “c’è la sofferenza fisica e la sofferenza morale. Quella fisica la subisci, quella morale la scegli.”

Il finale del libro sembra inevitabile, è così che in fondo finiscono le storie che ci riguardano. Le vite di tutti noi, che ci fanno un po’ piangere e un po’ ridere di gusto. Che durano il tempo di una clessidra o più. La vera differenza tra una vita e l’altra la fanno i granelli che sono passati attraverso quel punto stretto al centro, soffocante, difficile, sofferto. Che si lasciano cadere in basso, trovandosi a guardare fuori da una nuova angolazione. Qualcuno da fuori direbbe che si tratta della stessa clessidra. Ma la vita, il tempo, sono trascorsi e dentro la clessidra è tutta un’altra cosa. Tutta un’altra prospettiva per quei granelli giunti a destinazione.

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