Il caso Malaussène – Mi hanno mentito


A gran richiesta dei lettori, Pennac ha rispolverato la tribù Malaussène e l’ha resa protagonista, circa trent’anni dopo i fatti del Il paradiso degli orchi, di Il caso Malaussène, una nuova rocambolesca avventura condita di equivoci, rapimenti, sparatorie, in una Parigi che vive nel presente e che teme il diverso più di ogni altra città, in cui i poliziotti giovani sono destinati all’antiterrorismo perché è la necessità del momento mentre il rapimento di un uomo d’affari nonché ex-ministro è lasciato ai veterani, a mo’ di concessione di un’ultima grande gloria. In un mondo in cui finanza e politica si intrecciano, in cui Governo e Giustizia vanno a braccetto per cercare di risolvere una crisi internazionale che potrebbe essere causata da un piccolo diario nero scritto a mano su cui sono stati riportati i nomi di tutti i personaggi più in vista del XXI secolo dediti in qualche modo ad attività illecite.

A complicare le cose, una differenza abissale tra la Solidarietà e la strumentalizzazione della carità cristiana, il ruolo delle ONG, l’informazione che dilaga con facilità ma senza controllo, grazie alla quale tutti sanno tutto ma nessuno sa qualcosa veramente. E un Benjamin che si rifiuta di sapere quel che succede nel mondo proprio perché non vuole ‘farsi un’opinione’ di ciò che succede (‘Io sottoscritto Benjamin Malaussène vi sfido, oggi, chiunque voi siate, quale che sia il vostro grado d’indifferenza alle cose di questo mondo, a ignorare l’ultima notizia appena uscita, la notiziona che farà discutere la Francia e crepitare i soscial.’).

Due i temi centrali de “Il caso Malaussène“. Da una parte il confronto generazionale tra la vecchia e la nuova tribù, determinata dalla tecnologia e dal linguaggio. Mentre le nuove generazioni si trovano perfettamente a loro agio con gli apparecchi tecnologici e riescono a manipolarli a loro piacimento (cellulari, Skype, social), le vecchie generazioni non cedono del tutto al modernismo: Ludovic Talvern, di professione panettiere, insegna ai ragazzi orfani ad impastare il pane con le mani, e quando loro gli chiedono perché non si compri un’impastatrice elettrica lui risponderà: ‘Perché così se torni al tuo paese e non la trovi sai comunque fare il pane con le tue mani. Uguale con l’elettricità’. Il linguaggio è uno strumento per sottolineare il confronto/contrasto generazionale: un eloquio che sembra più sproloquio, una valanga di parole non soppesate, e poi termini gergali, abbreviazioni, modi di dire.

Il secondo tema centrale è la continua menzogna che pervade il libro, a partire dal titolo. Tutti i personaggi mentono, per motivi diversi, con le parole, con l’aspetto, con i gesti. La bellissima Verdun Malaussène diventa la ‘racchia’ giudice Talvern; la moglie di Lapietà sembra l’attrice Claudia Cardinale e sta ore davanti allo specchio per essere lei; il romanziere Alceste, uno di quei romanzieri che vogliono raccontare la Verità Vera (i cosiddetti vevé), si lascia chiamare con un nome che non è il suo. Ognuno si è ritagliato il suo spazio nel mondo creandosi una rete di bugie attorno. Ognuno ha un Ruolo che si è scelto o che gli è stato dato. Non a caso la sorella di Alceste è la direttrice di un reality show in cui si svuota ‘il candidato di se stesso per appioppargli una personalità fittizia che lui dovrà incarnare nel reality show come se fosse la sua’.

Tutti mentono e nessuno è ciò che sembra. Tranne Benjamin. Fedele a se stesso, dedito alla tribù, mosso da un senso atavico di comunità, Benjamin è l’unico che non mente. Neanche quando Alceste gli chiede esplicitamente se è lui il famoso Malaussène di cui si parla nei libri La fata carabina, La prosivendola, etc. lui non risponderà. Anche perché qualunque risposta sarebbe stata falsa.

Risponderà per lui il fedele Loussa. ‘Malausséne? Benjamin? Il protagonista dei romanzi? Sì, è il nostro Malaussène, per certi versi, tutti qui glielo confermeranno, è lui e non è lui.’

 

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