Guida alla depressione: come la poesia giapponese haiku può aiutarci


Una “guida alla depressione” non si sa bene se prometta una cura o nuovi metodi per peggiorare la situazione. Ma dato che qui siamo dal lato buono della forza, si offre una breve passeggiata per tamponare il problema: una facile scala di 3 gradini fatti di insegnamenti orientali, con estratti di poesia giapponese sotto forma di haiku e di filosofia (ikebana e kintsugi) per fare un bel bagno tiepido d’umore.

Lo sappiamo: con la depressione il mondo non lo si regge più e diventa una pressione più appiccicosa di un pop-corn masticato e compresso sotto la scarpa. Tutti a dover cercare di dimostrare qualcosa, di trovare ciascuno il suo Santo Graal (che sia trovare lavoro, un bel voto, i biglietti del concerto dei Coldplay o un sistema per evadere più tasse). In questi giorni è incredibilmente eroico cercare di:

  • continuare a scrivere ed informarsi sui social network anche quando ci si imbatte in esperti-tuttofare con soluzioni tascabili per terremoti e immigrazione;
  • continuare a credere d’aver capito qualcosa del referendum. In ogni caso anche a questo c’è un piccolo rimedio;
  • continuare a cercare di mettere da parte soldi per partire e cercare una realizzazione professionale altrove;
  • continuare a sperare che un giorno il web marketing si possa fare con poesie e disegni e giovani registi. Nel frattempo qualcosa si muove nel web 2.0…;
  • continuare a leggere un articolo sulla poesia giapponese degli haiku!

Perché in effetti sorge una giusta domanda: <<Ma con tanti poeti, artisti italiani che ci sono al mondo, proprio dagli haiku e cultura orientale bisogna farsi dare una mano?>>. Beh sì, da qualche parte, in fondo, bisogna pur iniziare e invece di accontentarci della solita straziante canzone dei Nirvana, o di guardare uno scadente “Interstellar” per continuare a scavarci la fossa con le nostre mani, ecco 3 (possibili) rimedi orientali alla depressione. Da dosare con calma.

1- LA POESIA GIAPPONESE DEI FIORI: L’IKEBANA

Quando i fiori e le piante diventano poesia orientale, emozioni non solo per donnine, ma elementi curativi. L’ikebana è l’arte antica di conciare, recidere e realizzare piccole composizioni floreali: non è nulla di cerebrale, anzi proprio il contrario. Nel dedicarsi a questi momenti si cerca lo scarico di tutte le tensioni, si ammorbidiscono le spalle, si sorride ai colori e si sarà fatto qualcosa di “bello”, equilibrato. In fondo lo sappiamo che anche solo osservare elementi armonici ha effetti benefici sui nostri stati d’ansia, giusto?

2- LA POESIA GIAPPONESE IN SOLE TRE RIGHE: L’HAIKU

L’haiuku è forse il simbolo più popolare della poesia giapponese. Nonostante esistano anche molti altre tipologie di arti letterarie e liriche con caratteristiche simili, la peculiarità e brevità degli haiku è impareggiabile, unici nel tagliare con semplicità e vitalità ciò che vediamo ogni giorno e che diamo per scontato. E sono unici nel fare tutto ciò in soli tre versi con ciascuno a disposizione pochissime sillabe (5 – 7 – 5): non veniva ucciso nessun poeta che sgarrasse la regola, ma era una scuola, un insegnamento alla brevità e sintesi, l’immediatezza dalla quale può uscire vera bellezza senza che ce ne accorgiamo.

In questa forma poetica tutto ciò che viene rappresentato è potente, degno di essere conservato e vissuto a lungo e con lentezza. Ecco, nel leggere gli haiku la fretta non è buona consigliera: bisognerebbe lasciarsi massaggiare i ricordi, le immagini che questi tre versi possono suscitare. In fondo, molti insegnamenti della filosofia e poesia giapponese puntano a questo, all’ascolto.

Il mix perfetto per godersi questo step di auto-guarigione possono essere i momenti di pausa, un sabato o domenica mattina, fuori all’aria aperta e con questo libro piccino di haiku – compreso di introduzione dettagliata a questa forma poetica.

3- LA POESIA GIAPPONESE DEI TUOI DIFETTI: IL KINTSUGI

Questo è l’ultimo step poetico nipponico: se siete arrivati fin qui vuol dire che la situazione è tragica! Infatti ho tenuto il meglio per ultimo.
Il kintsugi ha ribaltato una mia domenica pomeriggio umidiccia e spiaccicata d’afa. Dopo non aver concluso nulla sulla tesi che stavo scrivendo, con la conseguenza di aver rotto per il nervoso il mouse gettandolo a terra (sì, sono una persona orribile), ho trovato un articolo che parlava di questo concetto giapponese. Potente. Perché dell’insegnamento di amare i propri limiti, l’accettare che l’imperfezione è parte di sé e dell’aver rispetto di questi “cocci” della nostra personalità che ci portiamo dietro, non avevo mai sentito nessuno parlarne.

La storia e mito giapponese vuole che fosse la tazzina da té preferita dell’imperatore a rompersi in cocci. Il rimedio non fu comprare una tazza nuova, c’era un legame troppo profondo e simbolico con quella tazza: l’oggetto venne riparato, i pezzi uniti e fissati con oro fuso. La forma, dimensione e doratura delle crepe resero unica e preziosa quella tazzina. Ed è così che si dovrebbe porre il nostro pensiero di fronte ai nostri insuccessi, o incapacità: gli scopi da inseguire non sono la perfezione nel condurre la nostra vita o le straordinarie capacità che DOBBIAMO avere, ma la l’attenzione rara di capire, conoscere, apprezzare i limiti personali e metterli insieme alle già consolidate qualità, fondendoli in maniera unica e creando qualcosa di prezioso, in grado di infondere tutto (serenità, armonia, entusiasmo) fuorché depressione.

Perché in fondo capita a tutti noi, persino ai migliori geni, di arrivare certi giorni ad infilarsi nel letto sotto tonnellate di lenzuola e non voler più uscire perché il mondo non è affrontabile. Eppure c’è sempre una soluzione. A ognuno la sua.

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