Guida al torneo di pallacanestro dei Giochi Olimpici


Potevamo esserci anche noi. La tentazione sarebbe quella di dire “dovevamo”, ma sarebbe una mistificazione: la realtà è che organizzare il torneo preolimpico in casa non era sinonimo di viaggio a Rio assicurato, e infatti è meritatamente passata la Croazia, che ha espresso una pallacanestro più corale e meno ancorata a nbaismi che da queste parti trovano sempre scarso successo. Per noi la manifestazione a cinque cerchi manca dal 2004, e dovremo aspettare ancora un giro, quando gli anni diventeranno sedici, con tutto quello che comporta, ossia potenziale minore visibilità e dunque capacità di portare nuovi appassionati. Poi trovi il presidente federale che sul giornale più letto d’Italia (un indizio: è quello di colore rosa) candidamente commenta che gli italiani dovrebbero essere orgogliosi della Nazionale così come lo sono stati di quella calcistica di Conte. E ti dici che se questa è la visione dei vertici, forse che l’attesa sarà ancora lunghetta.

Nuovi USA
Ma ciancio alle bande, parliamo di chi questo torneo olimpico se lo giocherà. Gli Stati Uniti sono gli ovvi favoriti della vigilia: non perdono una partita in campo internazionale da dieci anni, dalla lezione di pick&roll subita dalla Grecia. Coach Kryzewski si era appena insediato, Team USA veniva dalle catastrofi dei mondiali di Indianapolis e, soprattutto, delle Olimpiadi di Atene e insomma perdere il terzo torneo di fila non fu esattamente la miglior partenza auspicabile. Però servì a dare una scossa, e i vari Paul, Bryant, Wade, James, Anthony, Bosh, Durant, furono poi protagonisti a turno a Pechino nel 2008 e a Londra nel 2012, quando in entrambe le occasioni si trovarono di fronte una Spagna che se la giocò fino all’ultimo e che a buon diritto può considerarsi, ancora una volta, la più seria candidata anti-USA (ma su questo ci torniamo tra poco).
Gli uomini a stelle e strisce sono comunque a uno snodo cruciale: della vecchia guardia sono rimasti solo Carmelo Anthony e Kevin Durant, la metà dei giocatori sono i debuttanti assoluti (Lowry, Butler, Barnes, George, Green e Jordan) mentre i vari Irving, Thompson, De Rozan, e Cousins hanno preso parte solo al Mondiale che comporta pressioni minori rispetto all’Olimpiade. Questo ovviamente guardando al bicchiere mezzo vuoto, perché quello pieno dice che la quantità di talento a disposizione è talmente abbacinante che sarebbe meglio non disputare il torneo per manifesta superiorità. Ma le partite non si vincono sulla carta, ma sul parquet, e coach K farà di tutto per convincere i propri giocatori che nel torneo olimpico prendere sottogamba un avversario equivale a correre pericolosamente sul crinale della sconfitta, perché nessuno mollerà nulla, e men che meno dovranno farlo loro. Coach K che, sempre a proposito, dopo Rio lascerà la panchina a Gregg Popovich, e di sicuro vorrà chiudere nel modo migliore.

Poker all’europea
Dietro gli americani, la concorrenza è tutta roba del vecchio continente. Partiamo dalla già citata Spagna: avrà Pau Gasol ma non il fratello minore Marc, e Scariolo guida sostanzialmente con il pilota automatico un gruppo collaudato: Calderòn, Rubio, Navarro, Llull, Rodriguez, San Emeterio, Fernandez, Reyes, lo stesso Gasol, hanno sperimentato tutti almeno una volta cosa significhi perdere una finale a cinque cerchi in cui per larga parte del tempo si è tenuto testa agli Stati Uniti, alcuni sono al passo d’addio e vorranno provare, per l’ultima volta, a mettersi al collo quell’oro che nel 2008 e nel 2012 è sfuggito. Il ciclo di questa Spagna resta, ad ogni modo, uno dei più vincenti e uno dei più forti nella storia del basket FIBA, alla pari forse solo con a Jugoslavia allenata da Ivkovic e Obradovic che negli anni ’90, dopo il conflitto interno, regalò stupendi momenti di palla a spicchi. Quella di Danilovic, Divac, Bodiroga, Rebraca, Savic, Paspalj, Tomasevic, Sasa Obradovic e quel Djordjevic che ora la allena.
Non avrà più tanti fenomeni in squadra, però la Serbia attuale resta una pericolosa candidata alla poltrona di finalista. Per il talento, certo, perché è vice campione mondiale, di sicuro, ma soprattutto per il carattere che dimostra nei momenti che contano. Teodosic è la meridiana della squadra, Bogdanovic è un giovane con faccia tosta e killer instinct, Markovic e Jovic sono due ragionatori vecchia maniera, Kalinic porta fantasia e poi ci sarebbero quei tre sopra i 2.10 (Stimac, Bircevic e Radulijca) che nella pallacanestro di oggi come di ieri guai a regalarli. Magari non basterà per arrivare al ballo finale, ma la Serbia è la nazionale che più di tutte fa del tremendismo la sua ultima ratio.
Chi dovrà riscattare due tornei opachi è invece la Francia: dopo l’oro europeo del 2013 ha raccolto “solo” un bronzo mondiale e un altro continentale. Intendiamoci, medaglie che l’Italia può al momento solo desiderare di portarsi a casa, ma i Blues avevano dato l’impressione di poter aprire un ciclo di vittorie, invece sono caduti contro in semifinale contro la Serbia nel 2014 e la Spagna l’anno passato. D’accordo, nei tornei in cui ci sono gli Stati Uniti di norma si parte dal secondo posto in giù, però almeno l’atto conclusivo in entrambi i casi era auspicabile. Tra l’altro anche l’età media dei transalpini, come quella degli iberici, si sta alzando, con la differenza che i primi hanno alzato al cielo meno tituli rispetto ai secondi. Parker, Gelabale, Diaw, Kahudi, Pietrus, hanno passato i trenta, Heurtel, de Colo, Tillie, Batum e Diot non ci sono molto lontani, e dunque anche la per la Francia la finestra è limitata, anche se più ampia rispetto a quella della Roja.
La quarta del poker è la Lituania. Fisicamente grossi ma paurosamente tecnici, i giocatori baltici sono la vera mina vagante tra le quattro. Vengono da due Eurobasket con argento inframezzati da un quarto posto iridato, hanno perso pezzi importanti ma quasi non se ne sono accorti, e hanno una front line da fare invidia tra Jankunas, Valanciunas, Javtokas e Domantas Sabonis. Qualcuno questi marcantoni bisognerà che però li metta in ritmo, e a tale ruolo è deputato Kalnietis, che tra gli esterni avrà la compagnia di tre realizzatore come Seibutis, Maciulis e Kuzminskas. Magari rispetto alle tre di cui sopra la Lituania parte un pelo indietro ma se c’è una nazionale abituata a stupire è proprio questa.

Colpi a sorpresa
Nella categoria “sorprese” attendiamoci possibili colpi di scena da Argentina, Croazia e Australia.
L’Albiceleste e la sua Generaciòn de Oro l’avevamo salutata quattro anni fa a Londra. Prematuro? pareva di no, ma il basket è in grado di regalare storie incredibili come nessun altro sport. Si veda nella fattispecie alla voce “Carlos Delfino”, richiamato dal ct Hernandez benché inattivo agonisticamente da due anni, e rimesso in piedi, pare, da un medico bolognese. Oltre all’ex-Bucks, di quella infornata di fenomeni sono rimasti Ginobili, Nocioni e Scola, che niente niente sarà il portabandiera della sua patria ai Giochi. Forse i nomi non impressioneranno, ma oltre ad essere tecnicamente validi e sufficientemente esperti in elementi come Campazzo, Laprovittola, Deck e Delìa oltre a quelli citati pocanzi, è il carattere degli argentini a dover mettere sul chi vive chiunque si pari davanti a loro, quella garra che resta una conditio sine qua non per disputare tornei ad alto livello.
In Croazia non si chiama garra, ma quale che sia la definizione ne hanno in abbondanza anche da quelle parti. Lo sappiamo bene noi, che ci eravamo illusi battendola nella gara del girone del preolimpico ma ne siamo rimasti scottati in finale. La squadra di Aza Petrovic è confermata rispetto a Torino, i leader tecnici saranno il fromboliere Bogdanovic e l’ala forte dalle mani fatate Saric, mentre quelli spirituali saranno la coppia di play Ukic-Stipcevic e il coltellino svizzero Kruno Simon, neoscudettato con l’Olimpia Milano.
Ultima ma non per questo meno importante, l’Australia. Che ha Mills e Dellavedova a dividersi la cabina di regia, Joe Ingles come bomber dagli evidenti meriti sportivi e Motum come raccordo tra il reparto esterni e quello lunghi, che registra la presenza dell’esperto Andersen, il giovane Bairstow (sottovalutato dalla NBA: con l’occasione giusta diventerà bravissimo) e quel solido Bogut appena passato dai Golden State Warriors ai Dallas Mavericks. Per carità, non ci facciamo impressionare dalla fama, dato che notoriamente non è quella ad andare in campo, ma gli Aussies ci intrigano e siamo convinti stupiranno.
Poi, come ricorda sempre Dan Peterson, i pronostici li azzecca solo chi non li fa, concetto valido soprattutto per tornei così concentrati come quello olimpico. E allora ci lanciamo, consapevoli che i Giochi regalano comunque emozioni a non finire. E allora godiamocela, questa benedetta pallacanestro.

+ Non ci sono commenti

Aggiungi