Petrolio: ricchezza passata, disastro presente


Il mondo del petrolio è dello stesso colore del liquido tanto ricercato: nero, come le tendenze più oscure della natura umana. Suscita bramosie, accende passioni, provoca tradimenti e conflitti omicidi, porta alle manipolazioni più scandalose.”

Così Eric Laurent, nel suo libro “La verità nascosta sul petrolio”, descrive il sistema creato dall’essere umano intorno alla risorsa più preziosa e controversa mai conservata dal pianeta Terra.

Gli ultimi decenni della storia mondiale sono ruotati intorno all’oro nero. Mezzo di scambio, di ricatto, di politica e di guerra. Dall’Ecuador all’Italia, dal Perù all’Arabia Saudita. Il mondo è costruito sul greggio a discapito della Terra, della popolazione e, spesso, dell’onestà.

Gli ultimi anni segnano però uno spartiacque della storia tra la Terra e l’oro nero. Il prezzo del greggio è protagonista di una discesa ripida e incontrovertibile. Dai 115 dollari a barile del 2014, si è passati agli altalenanti 40 di oggi. Già nel 2006 i Paesi Opec avevano rifiutato di aumentare la produzione di petrolio, sfruttando uno smisurato aumento della richiesta che avrebbe portato nelle loro casse miliardi di dollari. E mentre ci preoccupiamo dell’indebolimento del suo valore, causa di crisi economiche internazionali, dobbiamo già pensare a come occuparci della sua mancanza.

Screen-shot-2011-05-25-at-9.32.55-AMLa ricchezza accumulata non durerà per sempre e, quella criticata scelta dell’Opec, appare oggi come un indizio evidente dell’esaurimento dei pozzi petroliferi. Non è un caso un paese come l’Arabia Saudita, ha appena sviluppato un piano di indipendenza petrolifera puntando su altri mercati (quello delle armi!) e sfruttando le risorse acquisite negli anni per dare nuovo slancio alla società, con una maggiore inclusione delle donne e degli stranieri nella vita sociale.

La marea nera

Dopo anni di lotte legali, all’inizio di aprile, la British Petroleum è stata condannata a risarcire 20 miliardi di dollari per lo sversamento di greggio nelle acque del Golfo del Messico nel 2010. Un’esplosione intorno alla piattaforma petrolifera, la DeepWater Horizon, durante le fasi di realizzazione di un pozzo nell’oceano. Undici operai persero la vita, e il greggio inondò l’ecosistema di cinque paesi. Ma la tragedia ambientale, ad anni di distanza, è ancora peggiore di quanto immaginato. Recentemente un team di ricercatori ha rilevato i danni creati dalle operazioni di pulizia del fondale marino. La sostanza usata per disperdere le chiazze di petrolio avrebbe creato un mix 52 volte più tossico del petrolio stesso. Un arma di distruzione di massa per il sistema di flora e fauna del Golfo. Una ricerca che gli scienziati sperano serva da lezione per il comportamento da adottare in situazioni di emergenza simili. Nessun pensiero tragico, ma vivida realtà.

Genova. Pochi giorni fa lo sversamento di acqua e petrolio nei torrenti Polcevera e Fegino, da una tubatura dell’Iplom, è arrivato fino al mare. Dopo le iniziali preoccupazioni, l’allarme sembra essere rientrato. Dissolte le chiazze in mare, la capitaneria ha revocato lo stato di emergenza. Resta il danno ambientale, irriducibile. Oltre alle responsabilità da accertare e al rischio di nuovi disastri.

I diritti della Madre Terra

C’era una volta l’Amazzonia. Meraviglioso paradiso terrestre di 7 milioni di chilometri quadri, che attraversa da est a ovest l’America del Sud. Poi, su quei terreni della foresta pluviale, arrivò la deforestazione. La politica degli Stati nazionali ha portato alla distruzione di 1/5 delle aree boschive dell’area. Ma c’è un altro disastro che va avanti da anni e passa sotto silenzio. Gli interventi delle compagnie petrolifere sul territorio per costruire pozzi di estrazione, in uno dei territori più ricchi di risorse nel sottosuolo. A difendere quella Terra, per loro così preziosa, per gli altri poco più che merce di scambio, solo gli indigeni.

Tra Ecuador e Perù, gli incidenti intorno ai pozzi hanno provocato danni ambientali irrimediabili. E la catastrofe non accenna a volersi fermare. Ad inizio 2016 una doppia fuoriuscita di petrolio ha coinvolto l’oleodotto della compagnia petrolifera di stato Petroperu. Ad essere contaminato il fiume Marañon, importante affluente del Rio delle Amazzoni. Finora si parla di sanzioni pari a 17 milioni di dollari. Ad aggravare la posizione di Petroperu, l’accusa di aver utilizzato dei minori per arginare la situazione di emergenza. Paga di 2 dollari per ogni secchio di greggio rimosso.

Il diritto alla vita della Terra, garantito dalla Costituzione, sembra messo da parte anche in Ecuador, dove per decenni la compagnia petrolifera Chevron ha deforestato, inquinato e distrutto i territori abitati dagli indigeni. Dal 1964 al 1992 ,18 miliardi di galloni d’acqua residuale è stata contaminata dal petrolio, e 900 cave tossiche sono state costruite a cielo aperto.

Disastri di produzione e disastri di assenza di produzione. Il Venezuela attraversa una crisi epocale. La perdita di valore del greggio ha messo in ginocchio un’economia basata principalmente sull’esportazione dell’oro nero. Una crisi tale da sovvertire ogni tipo di quotidianità. Il governo ha creato una nuova settimana, nella quale i giorni feriali sono solo due, a fronte di cinque giorni festivi. Meno consumi, meno lavoro, meno cibo. Per tutti. La soluzione offerta dal Presidente Maduro? Un fondo governativo da 50 milioni di dollari dedicato all’industria petrolchimica, così da rilanciare le industrie della plastica e permettere il riavvio delle esportazioni.

Impeachment

L’inquinamento del petrolio va ben oltre i mari e le foreste e avvelena i governi.

Brasile. La tragedia ambientale provocato dal cedimento di due dighe vicine alle miniere di ferro, non è il solo disastro che impantana il Paese. La posizione del presidente Dilma Roussef è in grave pericolo dopo la nomina a capo di gabinetto dell’ex presidente Lula, implicato nello scandalo Petrobras, al fine di garantirgli l’immunità. Il colosso petrolifero statale accusato di aver distribuito oltre 2 miliardi di dollari in mazzette.

Oltreoceano, lo scandalo Eni. In Italia, nel pieno del dibattito sul referendum delle trivelle, a rimetterci il posto stato il ministro dello sviluppo Federica Guidi, costretta alle dimissioni dopo la pubblicazione delle intercettazioni con il compagno sullo sblocco del progetto Tempa Rossa. Ritocchi delle emissioni, peculato e tangenti al tavolo della compagnia petrolifera più importante d’Italia. Uno scandalo politico che ha messo in secondo piano le accuse di possibili disastri ambientali in Basilicata. Indagine ancora aperta.

Libia, ultima frontiera

Il neo insediato governo Sarraj, appoggiato dall’Unione Europea, chiede all’Onu di intervenire, insieme alle forze governative, per proteggere i pozzi petroliferi sotto assedio dell’Isis. Lo stato islamico ha nel controllo dei pozzi di greggio un grandissimo introito economico. Una verità detta a metà. Il motivo? L’Isis vende, ma è ancora poco chiaro chi siano i compratori. Le accuse riguardano paesi arabi ed europei. Un peccato originale, perché il bisogno di greggio supera la domanda sulla sua provenienza. Ma ora la Libia, il Paese africano con le maggiori riserve di greggio, chiede aiuto per fermare questa avanzata economica. E ancora una volta, l’appello alla voce petrolio, potrebbe portare alla guerra.

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