Pesaro, la salvezza passa dal Memorial Daye – Dalla venticinquesima alla ventisettesima della Serie A di basket


Pesaro, la salvezza passa dal Memorial Daye

Questo mese parliamo di tradizione. O meglio, di come la tradizione possa tradursi sul campo in un fattore in più, come se a scendere sul parquet non fossero solo i giocatori di oggi ma anche lo spirito di quelli ieri. Che magari è possibile che fossero loro stessi.

Nemo propheta in patria?

Range di tiro pressoché illimitato, rilascio rapido, capacità di mettere palla per terra, gioco fronte e spalle a canestro: ad Austin Daye non mancava nulla per essere dominante sul parquet, a pensarci. Da questo punto di vista sembrano quasi uno spreco gli anni passati in NBA, una lega dove a farsi strada sono gli specialisti o i campioni (o perché no gli specialisti campioni) e dove chi come lui è eclettico viene inevitabilmente bollato come “né carne né pesce” e utilizzato nel garbage time, il tempo inutile.

Che Austin fosse, o potesse essere, molto più di quello che aveva dimostrato nella sua esperienza al di là dell’oceano Atlantico lo si poteva intuire. Suo padre Darren è stato un campione a Pesaro, quando si giocava ancora nell’hangar (detto anche “palas”), e le maglie erano targate Scavolini, e Bianchini e Scariolo portavano allo scudetto grandi interpreti della palla a spicchi come Costa, Zampolini, Magnifico, Gracis, Vecchiato e l’altro americano Cook. Austin, nato proprio nell’anno in cui il padre si trasferì nelle Marche, è stato testimone di quelle imprese, e quando la Victoria Libertas gli ha recapitato la sua offerta, dopo che dalla NBA aveva ricevuto l’ennesima porta in faccia, lui non ha trovato di meglio che accettare tornare sul luogo del diletto. Morale: ora è capocannoniere e primo rimbalzista, e rischia di scalzare il padre dal cuore dei tifosi, o almeno di rappresentare per questa generazione di supporter quello che il genitore fu per quella precedente. La favola del Memorial (inteso come memorabile) Daye forse è appena iniziata.

Nobiltà conservata…

Se la Virtus Bologna non sta conducendo un campionato all’altezza del proprio blasone, lo stesso apparentemente si potrebbe dire per altre tre compagini storiche del nostro campionato, ovvero Varese, Pesaro e Caserta. Ma la chiave sta proprio nell’avverbio “apparentemente”: partite tutte con budget ridotti, tutte e tre sono ad un passo dall’obiettivo minimo, la salvezza, e hanno navigato in acque sostanzialmente tranquille dall’inizio fino ad oggi.

Se Pesaro ha trovato ancora una volta gloria nel cognome Daye, Caserta e Varese si sono affidate a loro volta alla tradizione per non retrocedere: i bianconeri a quella passata di Sandro Dell’Agnello, uno dei dioscuri dello scudetto della Juve degli anni ’90 e a quella più attuale del cavallo di ritorno Andrea Ghiacci, che era stato protagonista della promozione del 2008; viceversa, Varese ha riabbracciato la tradizione… recente, rappresentata da quel Kangur che era esploso qui, prima dei successi senesi. Sarà che conoscevano l’ambiente, sarà semplice cabala, ma fatto sta che la via vecchia (supportata anche da elementi nuovi, ovviamente) ha prodotto i risultati che le società si auspicavano. Vedi mo’, la superstizione.

…e nobiltà acquisita

O quasi. Perché certo, non può bastare un’annata fortunata a procurarsi le stimmate di nuova potenza del basket nostrano, anche perché non si contano gli esempi di società le cui ambizioni (e non solo, a volte, purtroppo) hanno fatto la fine di Icaro. E tuttavia, ad oggi, la solidità mostrata è stata notevole.

Come per le tre sopra, anche le nuove leve si sono affidate al passato per provare a infastidire la corazzata Milano: Trento ha scelto il gruppo di sempre, con Pascolo, Forray, Baldi Rossi, Lechtaler,  e la guida di un Buscaglia che, nonostante l’eliminazione in semifinale di Eurocup, è stato nominato “Allenatore dell’anno” della manifestazione continentale; Cremona ha richiamato alla base Vitali, Cusin, aggiungendo la loro esperienza a quella della volpe argentata Cesare Pancotto; Avellino si è nuovamente congiunta con Marque Green, che si va ad aggiungere ai rodati Buva, Blums, Leunen, Acker e Veikalas; Reggio Emilia è quella che ha optato per la linea giovane (De Nicolao, Stefano Gentile, Della Valle, Polonara, lo stesso Aradori, Silins), stando però attenta a supportarli con Kaukenas e Darijus Lavrinovic e la guida di Max Menetti, una vita passata nella Reggiana che ha riportato nella massima serie quattro anni or sono, e che sotto la sua guida ha conquistato Eurochallenge, Supercoppa Italiana e finale scudetto. Lasciare la via vecchia per la nuova? Guai!

Think pink

Questa settimana hanno preso il via i playoff della Serie A femminile di basket. Dato che ci siamo accorti che è un settore della palla a spicchi nel quale distrattamente non ci siamo mai addentrati, la volontà è quella di rimediare. Schio squadra di grande tradizione (sempre per restare in tema) parte testa a testa con Lucca, una nuova nobile (idem) che dal settimo posto dell’anno passato ha saputo migliorarsi fino a contendere prima e strappare poi la testa di serie alle stesse venete, che a parità di punti in classifica hanno fatto meglio negli scontri diretti.

Le due regine verosimilmente arriveranno all’atto conclusivo, sempre guardandosi  dalle altre pretendenti (tra cui Ragusa e Venezia), che certo vorranno dire la loro.

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