ISIS e il web marketing: piccolo-grande successo di Internet


Un piccolo-grande successo del potente web 2.0 è l’accoppiata dell’ ISIS e il web marketing, la faccia più oscena che Internet potesse fare in un selfie. Ma vediamo il perché.

Che l’ISIS stia combattendo una guerra di marketing a suon di web e social media è indubbio. Ogni azione che compie è un prodotto di consumo (non semplice propaganda) confezionato maniacalmente, segue egregiamente tutte le tappe di un piano marketing, dal processo di costruzione (marketing di ricerca [target]), definizione (marketing di prodotto) e comunicazione (marketing di promozione) del suo brand (“Il Califfato”), segno che ormai gli allievi hanno raggiunto i maestri in questa arte del vendere.

Ora concentriamoci sulla terza fase del piano marketing del Califfato (promozione), dove l’ISIS e il web marketing sono capaci di far scuola.

Si parte dall’assunto che la guerra di cui si fa un gran parlare (dopo che ci si è dedicati al massacro mediatico di Gabriel Garko al festival di Sanremo) viene combattuta sulla rete, dove l’ISIS avanza sulle maglie di Internet e sparge il verbo, mentre esigue armate scorrazzano per il medio oriente in opere di guerriglia.
Le principali pallottole che l’ISIS spara sono delle più varie forme espressive, come canzoni rap, film, articoli su riviste cartacee ed online, video-corti (quelli più famosi), tutti con un appeal e per target diversi, tutti destinati al web 2.0, vera corazzata del brand. Ma questa volta questa corazzata non è “una cagata pazzesca”, è l’orgoglio dell’avanzata in Occidente.

Le pallottole dell’ISIS, abbiamo detto, transitano sui social media, su forum, attraverso app e siti web ufficiali; fanno propaganda, storytelling e rubriche con precisi scopi comunicativi; riportano le successful storys.
Ecco i 4 modi più efficaci con cui l’ISIS e il web marketing giungono a noi:

  1. Attraverso Twitter, con account dei media ufficiali del Califfato che producono brevi video, video teaser, film e banner, l’ISIS e il web marketing fanno efficace promozione che falcia un gran numero di bersagli grazie ad un uso impeccabile dei preziosi #hashtag, non esitando a piazzarne qualcuno di importante per ottenere la massima deflagrazione (per esempio #WorldCup).
  2. Ma l’ISIS e il web marketing non sono schizzinosi, cercano “follower” per fare lead generation dove possono: ecco perché utilizzano social network più free dei social classici. Lo conoscete Diaspora*? No? Beh loro sì, e grazie a questo social network senza server centrale (che non può dunque cancellare un profilo), possono condividere i propri contenuti, ricevere feedback preziosi per migliorare la propria awareness.
  3. La pornografia ha molte forme. Una di queste non ha tette né culi né “arnesi” in esposizione, ma le vite tolte brutalmente ad altri. Il video dello sgozzamento dei prigionieri americani, dei piloti palestinesi, dell’esecuzione del poliziotto di origine algerina durante il massacro di Charlie Hebdo, sono le aberrazioni violente a cui il pubblico occidentale occhieggia con la lingua di fuori.
    Sono questi i video che in Occidente ottengono il maggior numero di buzz, di share e download, di engagement. Grazie a queste azioni di “passaparola” i video sono diventati virali, il brand apprezzato.
    A dar nuova linfa a questi contenuti e favorire così il word-of-mouth ci pensano i giornalisti.
  4. Infine l’ovvietà: il video degli sgozzamenti riportati della testata giornalistica viene ri-condiviso su Facebook e i maggiori social media, per far arrivare così l’ISIS e il web marketing ad un invidiabile livello di inbound marketing. Lo sharing e liking di tali contenuti fanno il resto.
  5. Contenuto bonus!: l’ISIS e il web marketing sono arrivati a padroneggiare la tecnica della gamification per promuoversi, una forma “leggera” e giocosa di storytelling in grado di trasformare contenuti, valori, messaggi del brand/prodotto in “giochi”, sfide, classifiche e competizioni tra utenti-giocatori. L’ISIS e il web marketing hanno così creato una forma “islamizzata” di GTA, per far vedere cosa potrebbero fare (realmente!) gli utenti giocatori se si unissero alle forze armate del Califfato.

Eccolo quindi un piccolo-grande successo del web 2.0: l’ISIS e il web marketing divenuto advocacy marketing, dove gli advocates siamo noi.

Vien da chiedersi se le più stringenti norme in materia di “privacy” (accesso ai siti/cronologia/contenuti a cui gli utenti del web hanno accesso) che vengono avanzate da vari paesi sia effettivamente un male.
Quel che è certo è che il “mostro-ISIS” esiste, si muove tra noi e vive nella nostra attenzione, si nutre delle nostre view e dei nostri share.

Non condividere, non pubblicizzare questo tipo di contenuti è un’arma nelle mani di tutti: “Meno social” is the new “Combattere!”
Qualcuno, forse, ci aveva provato

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Fonte: “ISIS – Il marketing dell’apocalisse“, Bruno Ballardini

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