Giulio Regeni, l’omicidio tra ipotesi e fatti


La mobilitazione del web per la scomparsa di Giulio Regeni (foto: Huffington Post)È passata una settimana dal ritrovamento del cadavere di Giulio Regeni, scomparso al Cairo il 25 gennaio e rinvenuto privo di vita il 3 febbraio scorso. Per il ricercatore friulano, ventottenne dottorando all’Università di Cambridge, a nulla sono valse le pressioni politiche e diplomatiche delle autorità italiane nelle giornate convulse seguite alla sua scomparsa, né le manifestazioni di solidarietà da parte dei colleghi accademici.

Ma cosa è successo veramente a Giulio Regeni? La versione iniziale del governo egiziano – incidente d’auto o rapina finita male – non ha retto al primo esame sul corpo del ricercatore, che ha rivelato segni evidenti di tortura e di un colpo alla testa, probabile causa della morte.

Mentre le autorità italiane proseguono negli esami autoptici – i risultati approfonditi sono attesi nei prossimi giorni – avanzano quindi varie ipotesi sulla causa e le circostanze che hanno portato all’omicidio di Regeni.

Nonostante le dichiarazioni in senso contrario del Ministro dell’Interno Magdy Abdel-Ghaffar, il coinvolgimento delle forze dell’ordine egiziane pare ormai evidente. Regeni infatti sarebbe stato arrestato dalla polizia insieme ad altre 40 persone in una giornata non casuale: il 5° anniversario della rivolta di piazza Tahrir.

In un Paese in profonda crisi economica per il calo drastico del turismo, non sorprende che un ricercatore interessato all’attività sindacale egiziana fosse considerato dalle autorità un fastidio, in quanto fiancheggiatore delle proteste anti-governative, o addirittura una minaccia, in quanto spia di una potenza straniera.

Sorprende ancor meno quando si scopre che le chiamate del ricercatore erano intercettate da giorni  – come sostengono i media locali – e se si considera che Giulio Regeni non è la prima né l’ultima persona scomparsa da quando Abd al-Fattah al-Sisi è al potere, visto che il governo del Generale è costantemente preoccupato di mettere a tacere il dissenso, qualunque esso sia.

Resta però una contraddizione evidente rispetto alle reali motivazioni di un gesto così efferato e plateale: che senso ha far uccidere un giovane studente italiano nel quadro dei rapporti economici e diplomatici ormai ben avviati tra Roma e Il Cairo?

Due ipotesi, in questo momento, provano a dare risposta a questa domanda. In un’intervista al Piccolo di Trieste, il giornalista d’inchiesta Andrea Purgatori – esperto di intelligence e Medio Oriente – sostiene una tesi particolarmente interessante, ovvero che l’omicidio di Giulio Regeni sia stato perpetrato da uomini dei servizi segreti egiziani contrari al governo di al-Sisi.

L’ipotesi di Purgatori è assolutamente plausibile perché – come spiega lui stesso – i recenti cambi di governo in Egitto (Mubarak/Tantawi/Mursi/al-Sisi) non hanno certo comportato un cambiamento parallelo e altrettanto radicale negli apparati statali, quindi appare del tutto logico ritenere che ci siano parti della polizia e dei servizi segreti egiziani che lavorano per screditare al-Sisi.

il manifesto del 5 febbraio 2016 con l'ultimo articolo di Giulio RegeniIn attesa che le indagini dei servizi segreti italiani in Egitto facciano emergere maggiori elementi, il manifesto – giornale con cui Regeni collaborava e che il 5 febbraio ha pubblicato tra le polemiche il suo ultimo articolo – ha raccolto un altro punto di vista interessante sulla vicenda: quello di Joel Beinin, professore di Storia del Medio Oriente all’Università di Stanford, tra i maggiori esperti di attività sindacale egiziana.

Diversamente da Purgatori, Beinin vede nell’omicidio di Giulio Regeni l’impronta del governo di al-Sisi, che avrebbe scelto di attaccare frontalmente la libertà di ricerca accademica per gli stranieri nel Paese, con un gesto inequivocabile e intimidatorio.

È evidente che queste due interpretazioni divergono profondamente sulle ragioni che hanno portato alla morte di Regeni: ma sono da ritenersi entrambe sensate e plausibili, almeno fino a quando nuovi fatti ed evidenze concrete riveleranno la verità sull’omicidio, chiesta a gran voce dalla società civile italiana e dagli accademici di tutto il mondo.

Una verità che, in casi come questo, è tutt’altro che semplice da raggiungere: torna alla mente l’assassinio dei giornalisti Ilaria Alpi e Miran Hrovatin il 20 marzo del 1994 a Mogadiscio, insieme ai ventidue anni senza verità sulla loro morte. Con l’auspicio che questa volta il governo italiano non si nasconda dietro interessi economici e diplomatici più o meno legittimi, facendo invece ricorso a tutto quanto è in suo potere per far emergere la verità sull’omicidio di Giulio Regeni.



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