Trivelle: doppio nodo al Referendum


Referendum sì, referendum no.

Sembra ridursi alla solita querelle all’italiana un nocciolo importante della programmazione energetica del Paese. Il Referedum, ad oggi, rimane uno specchio per le allodole. Il governo ha di fatto abrogato alcuni dei quesiti referendari con la Legge di Stabilità. Per calmare le acque agitate dei NoTriv è stato reintrodotto il divieto di trivellazioni entro le 12 miglia dalla costa, chiave della discordia, ma i titoli già rilasciati sono comunque salvi. Cosa significa? Nonostante l’ammissione in toto da parte della Cassazione, nella pratica l’esito del Referendum, la cui organizzazione è ancora controversa, non cambierà di fatto le carte in tavola. Anche se l’ultima retromarcia del Mise sulle concessioni riapre nuovi spiragli di dialogo. L’obiettivo del governo di non voler andare alle urne, per ora, sembra raggiunto. Ancora più evidente la conseguenza sul piano informativo: di petrolio si parla poco e niente. La discussione è una copia sgualcita del dibattito sul nucleare. La differenza è che l’Italia, ad oggi, è il terzo Stato europeo in termini di estrazione di petrolio.

Ma perché nello stato del sole, del mare e del vento la principale strada da percorrere sembra quella dell’olio nero? Nonostante gli investimenti bloccati nel 2014, l’ Italia continua a misurare una crescita delle rinnovabili che rappresentano il 44% della produzione nazionale di energia elettrica. Siamo la terza potenza europea pulita. Ma allora chi vuole davvero incentivare le trivellazioni? Probabilmente non gli italiani.

Il timore più grande riguarda l’ambiente e il turismo, due introiti fondamentali da mettere a bilancio. Non solo logiche ecologiste, quindi, ma anche un occhio ai conti. Trivellare conviene davvero? Royalties tra le più basse del mondo (10% contro l’80% richiesto da Norvegia e Russia), costi di concessione ridicoli, creazione di posti di lavoro quasi nulla. La corsa all’indipendenza energetica poi, sembra una chimera: irraggiungibile per motivi politici, complessa a causa della bassa qualità e degli alti costi di raffinazione del greggio italiano. L’esempio della Basilicata, già un piccolo Texas, dimostra che trasformare l’Adriatico nell’Arabia Saudita, oltre che un attacco all’ambiente, non sarebbe poi una scelta così redditizia.



IL MONDO IN DIECI LINK

Cina, La spia ad un passo dal potere che fa tremare i vertici
di Cecilia Attanasio Ghezzi, da La Stampa (6 febbraio 2016)
scelto da Giulia Rupi

Russia, L’incubo stagnazione sulla Russia. E Putin rischia di evocare Breznev
di Fabio Dragosei, da Corriere della Sera (6 febbraio 2016)
scelto da Giulia Rupi

Turchia, Della politica di Erdogan restano le rovine
da Sputnik (6 febbraio 2016)
scelto da Giulia Rupi

Spagna, Sánchez non negozierà con Iglesias, che pone un veto a Ciudadanos
di Anabel Díez e Francesco Manetto, da El País (6 febbraio 2016)
scelto da Luca Rasponi (lingua spagnola/inglese)

Egitto, I giovani egiziani che il regime fa sparire
di Catherine Cornet, da Internazionale (5 febbraio 2016)
scelto da Luca Rasponi

Venezuela, Il Venezuela sull’orlo del default
di Juan Cristóbal Nagel, da Foreign Policy (5 febbraio 2016)
scelto da Giulia Rupi (lingua inglese)

Nigeria, Boko Haram: da setta religiosa a minaccia regionale
di Elias Trogu, da ISPI online (4 febbraio 2016)
scelto da Luca Rasponi

Brasile, Virus Zika: quello che serve sapere
di James Gallagher, da BBC.com (4 febbraio 2016)
scelto da Luca Rasponi (lingua inglese)

Irlanda, In Irlanda si vota il 26 febbraio 
di Niall Carson, da Il Post (3 febbraio 2016)
scelto da Giulia Rupi

USA, Le posizioni dei candidati alla presidenza sui principali temi del dibattito
di  dal New York Times (15 dicembre 2015)
scelto da Luca Rasponi (lingua inglese)

+ Non ci sono commenti

Aggiungi