Stroncature – Into the storm


Into the Storm - locandinaInto the storm

di Steven Quale, con Richard Armitage, Sarah Wayne Callies, Jeremy Sumpter, Nathan Kress

Quello del mockumentary è un genere che prende le mosse addirittura dalla metà degli anni ’60, grazie a The war game di Peter Watkins.
Probabilmente, però, i primi titoli a venirci in mente sono The Blair witch project, i quattro Rec, Paranormal activity o il recente La stirpe del male. Un segno di come oggi il finto found footage viva soprattutto grazie al cinema horror.
Si tratta di film costituiti quasi interamente da riprese fatte dagli stessi protagonisti della vicenda. La parte più difficile, in questo genere di pellicole, è giustificare in modo credibile la presenza di telecamere in mano ai personaggi in scena. Ecco qualche esempio.

Un gruppo di studenti decide di realizzare un documentario.
Si imbatterà in qualcosa di terribile e farà una fine orrenda.

Una troupe televisiva deve effettuare le riprese per un servizio.
Si imbatterà in qualcosa di terribile e farà una fine orrenda.

Una famiglia installa delle telecamere di sorveglianza nella propria dimora.
Si imbatterà in qualcosa di terribile e farà una fine orrenda.

Una coppia di sposini gira un filmato del viaggio di nozze.
Si imbatterà in qualcosa di terribile e farà una fine orrenda.

Anche Into the storm riprende questo filone, adattandolo al cinema catastrofico. Un po’ come aveva fatto Cloverfield, in cui – ricorderete – un manipolo di ragazzi filma una festa d’addio, si imbatte in qualcosa di terribile e fa una fine orrenda.

Il primo problema del film è proprio la giustificazione delle telecamere in scena, decisamente troppe. In primo luogo, ci sono quelle di una troupe di documentaristi cacciatori di tornado: solo sul Titus, un mezzo corazzato dotato di ganci per ancorarsi al suolo, se ne contano addirittura ventiquattro. Seguono gli studenti del liceo di Silverton, ognuno dotato del proprio sistema di riprese per via di una decisione del vicepreside (Richard Armitage), intenzionato a utilizzare i filmati dei ragazzi per creare una capsula del tempo. Ultimi e decisamente meno importanti, due quarantenni falliti, il cui scopo è quello di fare tonnellate di visualizzazioni su Youtube con i video dei tornado che si stanno abbattendo sulla cittadina.

"Ti sembra il momento di riprendere?!"

Riprendere, sempre riprendere, fortissimamemente riprendere

Insomma, ogni personaggio, dai protagonisti alle comparse, può potenzialmente riprendere ogni cosa. E lo fa eccome, persino in situazioni in cui nessuno si sognerebbe mai di girare alcunché. Uno dei cacciatori di tornado – per esempio – si getta con noncuranza sotto la grandine con una costosa telecamera professionale, voltandosi persino per documentare la corsa dei propri colleghi bersagliati dalla mitragliata di chicchi ghiacciati, mentre in un’altra scena un ignoto cameraman riprende il salvataggio e la rianimazione di uno dei protagonisti da parte del padre, senza nemmeno sognarsi di aiutarlo.

È probabile si contasse sul fatto che lo spettatore fosse ormai talmente abituato all’idea del found footage da non chiedersi chi stia riprendendo le scene. Come avviene nella sequenza in cui il figlio del vicepreside e una compagna di scuola sono intrappolati in una buca allagata: assistiamo a tutto quanto, comprese le riprese sotto il livello dell’acqua, senza che ci sia la benché minima spiegazione del perché abbiano lasciato la telecamera accesa per tutta la loro permanenza lì dentro.

"Ma guarda questo deficiente che continua a girare..."

“Ma guarda questo deficiente che continua a girare…”

Ma il problema principale è un altro: è assolutamente impossibile affezionarsi ai personaggi. Sono  piatti, pensati male, affrontano dialoghi stupidi e poco credibili e sono interpretati quasi tutti malissimo. Gli unici che si distaccano dal piattume generale sono i due youtuber: talmente stupidi, irritanti e sopra le righe da far trepidare lo spettatore ogni volta che si avvicinano a un tornado, nel timore che possano salvare la pelle. Cosa che, sfortunatamente, accade sempre. C’è solo un momento di illusione in cui i due spariscono dalla storia, dopo essere stati risucchiati dal vortice. Ricompariranno solo alla fine del film: sani, salvi, senza un graffio, appesi a un albero e con le telecamere perfettamente intatte.

Una cosa plausibilissima, come può raccontarvi chiunque sia stato trascinato via da un turbine di vento, abbia agevolmente respirato al suo interno un’aria che si muove a non meno di 105 chilometri orari e sia stato dolcemente scaravantato su una sequoia alla velocità della Yamaha di Valentino Rossi in rettilineo.

In conclusione, Into the storm è un film noioso, scontato, fondamentalmente inutile e incapace di lasciare il segno una volta finito. In un’ora e mezza, riesce a inanellare appena due momenti davvero gratificanti per lo spettatore. Una è di sicuro la scena in cui mostrano l’occhio del tornado. L’altra sono i titoli di coda.

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