La poesia del rifiuto


La poesia del rifiuto NON è, evidentemente, l’arte del negare o del diniego con uno stile raffinato e in versi.
Per “rifiuto” parlo proprio delle spiacevolezze che fanno capolino dai nostri bidoni domestici (se siamo studenti universitari fuori sede: mi scuso, ma gli stereotipi sono troppo belli), o che ci occhieggiano da bordo strada come mendicanti o disoccupati in cerca di conferme.

La bella e la bestia

Chi vede la “bellezza interiore”

Per “poesia” penso a chi sa sentire la voce inascoltata del rifiuto che ha la classica “bellezza interiore” (frase con cui definiamo con diplomazia chi ci fa in realtà ribrezzo).
La poesia del rifiuto scende a patti con lo scarto, lo sporco e lo rende altro oggetto, cosicché i rifiuti smettono di essere “rifiuti”, proprio come il massacro di Charlie Hebdo smette di essere “massacro” e diventa “fatalità di chi se l’è cercata”: stiamo parlando di mutazioni mentali e artistiche. Stiamo parlando di Mutoid.

Questa pittoresca comunità di artisti-lavoratori fa poesia dal rifiuto: cerca, seleziona e lavora con cura oggetti di scarto, i residui del fiume della roba di Mazzarò. Le sculture e le creature hanno gli occhi degli schermi dei tuoi Iphone 5 e 6, una cresta con la rete sfonda del mio letto, le braccia con i paraurti del suo ultimo incidente.

Mutoid non fa altro che parlare per chi non può più farlo, smette di produrre e inizia a creare: e che grande rivoluzione c’è in questo schiaffo artistico. La poesia non sta negli oggetti infatti, piuttosto nel gesto di ravanare nelle cose dimenticate e ridarle a tutti noi. Così fa la poesia infatti.

La “poesia del rifiuto” è una branca del “dire le cose nel posto qualunque in qualsiasi momento”: vuol dire che agisce dove e come non ti aspetteresti, e non snobba nessuno e niente. Mutoid, come demiurgo, ha fatto risorgere oggetti colmi della vita di qualcuno (la tue e dei tuoi pratici Iphone, la mia e del mio molleggiato letto, la sua e della sua economica auto), fusi a formare giganteschi Frankenstein.

MTA (Metropolitan Transportation Authority) è un’altra esponente della “poesia del rifiuto”.
Questa pimpante società che gestisce il trasporto pubblico a New York, ha pensato bene di dare poesia agli intontiti e mosci pendolari: vi alzate dal letto come sempre, la sveglia martella e dà la nausea, ci si incammina assonnati, tristi per un amico che sta poco bene o magari tristi e basta; tutto sembra uguale al giorno prima alla fermata della metro, con il solito rumore, il solito Carl che va alla sua fabbrica, solite pareti senza sole; sedete al solito posto ma il biglietto non è il solito.

Sul titolo di viaggio hanno stampato una poesia con tanto di opera grafica di accompagnamento.
Quindi alzi lo sguardo, e vedi che sui “car cards” (i pannelli esposti in alto sul lato interno dei vagoni della metro) NON capeggia la solita pubblicità del detersivo Biankish, ma appare una poesia sulla malattia di un amico, o sulla descrizione di un bel luogo sognato.
La sporca e cupa metro diventa altro.

Car card poetico

Car card poetico

Se di luoghi cupi si parla, il palcoscenico di prima serata lo impegna, forse, la città.
La città è vista in una metà tra

  1. lo stereotipo dalla bocca ingozzata di parole come “postmoderno” o “non luogo, “decadenza”, e
  2. la piazza della militanza, la casa senza pareti e tetto, luogo d’esperienze.

In qualunque modo ciascuno la vede, il MEP indubbiamente contribuisce a mettere un po’ di fondotinta sulle smorfie di alcune metropoli. Le sue opere di “guerrilla poetica” circolano sui muri scrostati di molte città e ovunque il MEP venga chiamato.
Questo movimento spontaneo di poeti anonimi NON affligge i muri con dediche d’amore alla Moccia o coi parossismi tipo “fuoco alle galere”; a patto che tu sia ben disposto, tu passante puoi conquistare un pensiero nuovo, condiviso dal poeta A.15, che hai colto sul foglio A4 sul muro di via San Vitale.

Puoi provare a mettere il “like” su una scultura Mutoid, o sui fogli A4 del MEP, o sul biglietto della metro con una poesia sopra, ma non credo possa finire così.
Il rifiuto ci vuole bene.

+ Non ci sono commenti

Aggiungi