La rinascita di un mito italiano: Superbasket


2431Alla notizia la reazione è stata una gioia indescrivibile, una “viva e vibrante soddisfazione”. È il 19 maggio di quest’anno, e come un antipasto alle imminenti vacanze estive, viene annunciato il ritorno di Superbasket, dopo due anni di assenza. Più che una semplice rivista di settore, più che un magazine per gli appassionati di pallacanestro, un vero e proprio monumento del giornalismo italiano, non solo sportivo. Si potrebbe pensare che si tratti di un’esagerazione, dovuta soprattutto all’affetto e alla profonda stima che abbiamo manifestato più di una volta anche negli articoli di Tiri Liberi. Sarebbe naturale, ma non corrisponderebbe alla realtà. O meglio, non completamente.

Superbasket, infatti, è stata la rivista sportiva di più lunga durata e successo, dopo l’inarrivabile Guerin Sportivo, che guarda tutti dall’alto delle sue centodue primavere. La fondazione di quella che è stato un punto di riferimento imprescindibile per gli appassionati della palla a spicchi è datata 1978. L’idea è di Aldo Giordani, che sta al basket come Gianni Brera stato il calcio: un mito, un simbolo, uno la cui opinione poteva contare e spostare equilibri.

Per raccontare il Jordan (chiamato così amichevolmente da tutti, ma chiariamo che Micheal non c’entra) ci vorrebbe almeno un’altra puntata di Tiri Liberi, e non è un caso che proprio a lui sia stato dedicato un libro, giusto un paio d’anni fa (“Quando il basket era il Jordan”). Volendo essere precisi, lui per il basket in rapporto è stato più di Brera per il calcio: oltre a essere abile e puntuale cronista, è stato anche inviato RAI e radiocronista dei campionati nazionali (quando ancora il pallone non fagocitava le altre discipline sportive e si trovava spazio anche per altri), oltre voce della nazionale italiana di pallacanestro. Ma non è finita qui: oltre a ciò, è stato anche giocatore professionista, allenatore, e prima dell’avventura di Superbasket aveva già diretto il periodico federale, subito dopo la guerra. E poi, naturalmente, la rubrica alla Domenica sportiva, che lo consacrò anche come abile presentatore.

Bene, questo signore nel novembre del 1978 fondò la rivista (una delle prime sportive in Europa) che avrebbe portato la sua impronta per tanto tempo ancora. Da lì fu un crescendo: gli articoli con le cronache, certo, ma non solo: fecero la prima comparsa anche le rubriche firmate dagli allenatori, che spiegavano in un linguaggio alla portata di tutti le tecniche e le tattiche della pallacanestro (gli americani direbbero “le X e le O”, che simboleggiano rispettivamente i proprio giocatori e gli avversari nelle lavagne degli allenatori).

Oltre a ciò, nacque anche il premio di Mister Europa, una sorta di Pallone d’ Oro assegnato al miglior giocatore di basket proveniente del vecchio continente, e questo a prescindere che giocasse in Europa o in NBA. Un premio riconosciuto ufficialmente dalla FIBA, tanto per dire e per gradire.

La redazione si spostò poi da Milano a Bologna nel 1989, prima sotto l’editore Cazzola e successivamente sotto Cantelli. Il filo conduttore però non cambia: la volontà di avere un carattere narrativo e divulgativo al tempo stesso, di raccontare ai lettori (che magari erano anche tifosi) non solo i fatti ma anche le dinamiche, alimentando la comprensione e provando a mitigare, quindi, il tifo da campo puro e semplice.

Nel frattempo il mondo stava cambiando, scopriva i computer e apprendeva i primi rudimenti di internet, e capiva che le distanze stavano diventando più piccole. Nasceva così, da queste premesse, il figlio legittimo di Superbasket, American Superbasket, nel 1991. L’idea fu di Roberto Guglielmi, il Dream Team (l’unico, vero, originale di Barcellona 1992) emetteva i suoi primi ruggenti vagiti e Micheal Jordan stava per diventare (ma ancora non era) l’icona per eccellenza di questo magnifico sport. Entrambi i magazine verrano poi diretti prima da Franco Montorro e poi da Claudio Limardi (ASB passando da Roberto Gotta, vera eminenza grigia di tutto ciò è Made in USA). E poi…

Poi i morsi della crisi cominceranno a farsi sentire più rabbiosi: nel novembre del 2011, in corrispondenza del lockout NBA, chiude American, un mese dopo fallisce la Acacia (l’ ultimo editore) e a fine gennaio del 2012 tocca inevitabilmente a Superbasket, e in quello che sarebbe stato il suo ultimo numero venne pubblicata un’accorata e commovente lettera della redazione che esprimeva tutte le difficoltà del momento. Nel frattempo era appena partita (da meno di un mese) la nostra rubrica Tiri Liberi, che cercava il più possibile di restare nella strada tracciata da Superbasket. Consapevoli delle limitate dimensioni, abbiamo cercato di raccogliere almeno in parte l’insegnamento di SB, quell’essere alla portata di tutti e di non considerare il basket come uno sport elitario, per pochi eletti.

Quando abbiamo sentito del ritorno di Superbasket, il cuore ci si è riempito di gioia. A dirigerlo nella sua rinascita, un’altra figura a tutto tondo, come Giordani, quasi fosse un segno del destino: Dan Peterson, uno che si è fatto amare ad ogni latitudine per la sua competenza e per quel suo spiegare in modo semplice concetti complessi. Una scelta che si inserisce perfettamente nella tradizione di SB, che ora è un mensile venduto sia online che cartaceo. La nuova avventura è appena cominciata, ma il condottiero siamo certi sia quello giusto. E allora buon (nuovo) viaggio, Superbasket.

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