Stroncature – L’ultima legione


L'ultima legione - LocandinaL’ultima legione

di Doug Lefler, con Colin Firth, Aishwarya Rai, Ben Kingsley, Thomas Sangster, Nonso Anozie, Owen Teale, Rupert Friend, Kevin McKidd, John Hanna.

In questa rubrica, si sa, gli spoiler sono di casa.

Le motivazioni alla base sono essenzialmente due: innanzitutto, è molto difficile analizzare una cattiva sceneggiatura senza raccontare dialoghi o scene particolarmente notevoli di menzione; in secondo luogo, conoscere in anticipo determinati passaggi non pregiudica per forza la visione del film, perché (solitamente) si preoccupa lui stesso di inserire abbastanza dettagli da farci prevedere per filo e per segno i suoi sedicenti colpi di scena.

Non ci credete? Provate a vedere L’ultima legione.

Comincia narrandoci la storia di una spada magica, appartenuta a Giulio Cesare e nascosta dopo la morte dell’imperatore Tiberio per evitare che uomini malvagi potessero brandirla. L’ultimo discendente della stirpe dei Cesari – destinato, dunque, ad impugnare nuovamente l’arma dei suoi predecessori – è Romolo Augusto, un ragazzino biondo accompagnato nella sua formazione imperiale da un vecchio saggio dotato di poteri sovrannaturali, Ambrosinus.

Spada magica, ragazzino biondo, vecchio mago. Davvero esiste qualcosa che posso fare per rovinarvi l’incredibile rivelazione finale sull’identità della lama?

“Che strana iscrizione: Made... in... China?!”

“Che strana iscrizione:
Made… in… China?!”

Ad ogni modo, che quest’arma sia davvero magica ed invincibile ci viene solamente detto dalla voce narrante: in tutto l’arco del film, viene adoperata pochissimo e non mostra mai alcuna dote particolare, limitandosi a trapassare il cattivo di turno e a distruggere un massiccio letto di legno. Un risultato comunque notevole, se teniamo conto che stiamo pur sempre parlando di una spada visibilmente fatta di plastica.

Ma L’ultima legione è davvero così terribile da finire su questa rubrica? Come già capitato a World War Z, la risposta è no; non del tutto, almeno. Il film certamente intrattiene, ma disattende buona parte delle premesse con le quali si presenta al pubblico. Tratto dal romanzo storico omonimo (scritto da Valerio Massimo Manfredi) L’ultima legione decide di riplasmare a piacimento date, luoghi e personaggi in una maniera tale da far storcere il naso a chiunque si aspettasse un racconto rispettoso della Storia. Dunque, assistiamo ad una vicenda ambientata ben sedici anni prima dell’originale, con Odoacre a capo non degli Eruli, ma dei Goti, e Roma ancora capitale dell’Impero d’Occidente, al posto di Ravenna.

Piccolezze, certo: scegliere un dato momento storico e personaggi realmente esistenti non deve significare per forza doversi attaccare alle date, o non prendersi la libertà di assegnare ai protagonisti delle cariche mai ricoperte nella realtà. Invictus, ad esempio, avrebbe certamente funzionato lo stesso se fosse stato ambientato nel 1985, durante la finale del Campionato Regionale di Scopone Scientifico svoltasi pochi mesi dopo l’elezione di Nelson Mandela a sindaco della città ospitante, Rottofreno (PC).

L'ultima legione - Scenetta

“Prego… Si accomodi, bella attrice indiana imposta dalla produzione”

A sua discolpa, è necessario dire che L’ultima legione inizia in maniera molto promettente, soprattutto grazie alla venatura fantasy con cui viene arricchita l’ambientazione (approssimativamente) storica, ed all’aura di carisma di cui sono intrisi i protagonisti al loro ingresso in scena. Ben presto, però, il film comincia la sua altalena tra la pretesa epicità della storia ed il tono scanzonato con il quale vengono combattuti i duelli, generando un pasticciato miscuglio tra Il gladiatore e Pirati dei Caraibi, fatto di spettacolari mosse di arti marziali (!) ed improponibili siparietti buffi sfoderati dai nostri eroi nel bel mezzo della battaglia.

Dopo la scena della prigione di Capri, i personaggi verranno abbandonati a loro stessi dagli sceneggiatori e dal regista: qualunque tentativo di approfondimento viene stroncato sul nascere, ed Aurelio e i suoi compagni si ritrovano trasformati in saltimbanchi monodimensionali, buoni solo a mulinare le lame e a comportarsi come eroi degli action movie americani degli anni ’90; intrappolati, purtroppo per loro, in un film del 2007.

Spartiacque della degenerazione della pellicola è l’introduzione del personaggio di Mira. Agile, letale e bellissima, la guerriera interpretata da Aishwarya Rai rappresenta lo schiaffo finale ad una già stramazzante credibilità storica: la ragazza è infatti proveniente da una regione all’epoca sconosciuta dell’India, inverosimilmente inviata dall’Impero Romano d’Oriente in soccorso del suo omologo occidentale, ed esperta di uno stile di combattimento (il Kalarippayattu) totalmente anacronistico per l’anno 460. Come se non bastasse, si tratta di un comprimario inventato di sana pianta, modellato solo parzialmente sul ruolo avuto nel romanzo da Livia Prisca di Aquileia. Se si fosse seguito il soggetto originale, dunque, la protagonista femminile non sarebbe stata affatto indiana…

“I Goti? E che problema ghe xeo? Poaretti, 'speta che 'i vede el tanko, Ravenna ladrona!”

“I Goti? E che problema ghe xeo?
Poaretti, ‘speta che ‘i vede el tanko, Ravenna ladrona!”

…ma di origine veneta.

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