Hoppy Cat, dalla Cascadia al Borgo con felina eleganza


Hoppy CatLa leggenda narra di un gatto di nome Nelson che si aggira furtivo tra i locali del birrificio Birra del Borgo. I meglio informati – tra questi il mastro birraio Leonardo Di Vincenzo – riferiscono abbia un carattere un po’ burbero: andargli a genio non è così scontato. Nelson però non è solo: a fargli compagnia c’è una micia, si chiama Hoppy Cat, è di razza Caskadian Dark Ale, si fa avvicinare molto volentieri e, come ogni felino che si rispetti, fa delle gran fusa ma all’occorrenza sa anche graffiare, anche se solo per gioco.

Dimenticatevi Romeo, er mejo der Colosseo: Hoppy Cat non è una gatta da città, e non è neppure rossa, verrebbe da aggiungere. Il suo habitat sono le verdi montagne di Borgorose, deliziosa località reatina a un tiro di schioppo dal confine con l’Abruzzo, che Di Vincenzo nove anni fa ha battezzato come luogo ideale in cui insediare il proprio birrificio. Qui l’acqua è leggera e l’aria è pulita, non ci sono marmotte che confezionano la cioccolata ma, in compenso, c’è gente che con malto e luppolo ci sa davvero fare.

A far pasticci con un luppolo aromatico come il Simcoe – qui utilizzato fin dall’ammostamento – ci vorrebbe poco: uno starnuto inopportuno, un tremolio della mano, e il danno è fatto. Lo stesso dicasi per la tostatura del malto: il cellulare che squilla nel momento sbagliato, una finestra da chiudere per evitare che sbatta a causa del vento, ed ecco che il disastro è servito. Per nostra fortuna, dalle parti di Birra del Borgo questi incidenti non accadono: c’è sempre un occhio vigile che controlla tutto rotoli alla perfezione, e in questo caso c’è stata pure la supervisione di Ken Fisher, grande birraio di Portland, Oregon.

Con queste premesse, Hoppy Cat non può che presentarsi come una birra elegante e armoniosa, non particolarmente complessa ma tutt’altro che banale. La schiuma è piuttosto compatta, non fine, di un bel colore crema dorato. Alla vista Hoppy Cat si presenta scura e torbida, con riflessi tra il caffè e il caramello. E dato che anche l’olfatto vuole la propria parte – ma senza esagerare, non serve star venti minuti col naso infilato nel bicchiere – diciamo che Hoppy Cat una volta versata genera immediata curiosità grazie alle sue note morbide e fresche, un poco resinose e delicatamente agrumate.

Ok, ora passiamo al gusto, ci siamo torturati già a sufficienza: rotondo, con un attacco dall’amaro deciso ma non prepotente, un corpo agilmente in bilico tra frutta matura e torrefatto e una bella gasatura che ripulisce il palato. Il finale, poi, non te lo aspetti: si rivela caldo e asciutto, l’intera gamma del gusto viene stuzzicata, a ogni sorso scopri una nota diversa che all’assaggio precedente ti era sfuggita. Il gioco fusa-artigli… ehm… morbido-amaro funziona alla grande, è ben bilanciato e per questo non ci si stancherebbe mai: appena ritiriamo la mano Hoppy Cat pretende di essere accarezzata di nuovo, ben contenta di mostrarci la sua nuova medaglietta, conquistata con il secondo posto nella categoria Black IPA al concorso Birra dell’anno 2014 di Unionbirrai. Se sfodera le unghie, in fondo, non lo fa per fare del male: come possiamo sottrarci al piacere di continuare a giocare con lei?

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