Il piccolo orto di Cantù: la settima giornata della Serie A italiana di pallacanestro


La storia del calcio nostrano ha visto ben poche realtà provinciali salire alla ribalta: a memoria, non volendo considerare Cesena e Ascoli come tali (visto che fanno esse stesse parte di una provincia, pur in coabitazione), solo Legnano (negli anni 50) Empoli e dall’ anno scorso Sassuolo hanno calcato il campo del campionato più seguito in Italia.

Nel basket, per fortuna, la questione viaggia diversamente. Negli anni, sono state diverse le realtà provinciali che si sono fatte strada, conquistando anche nella cronaca settoriale nazionale: basti pensare a Desio, Fabriano, Montegranaro, Soresina ( promossa in A nel 2010 e poi spostatasi a Cremona), Capo d’ Orlando, Scafati, Jesi, Barcellona Pozzo di Gotto, Imola, Casale Monferrato. Squadre che hanno lanciato nomi anche importanti della nostra pallacanestro, sia in termini di giocatori (di recente tra gli altri McIntyre, Drake Diener, Drew Nicholas, Andrea Cinciarini, Mason Rocca, Aradori) che di allenatori (Mazzon, Finelli, Sacchetti, Banchi, Crespi). Tutte storie importanti, tutti contributi rilevanti. Nessuno, però, paragonabile a quello di Cantù.

Cantù è stata per anni il fiore del deserto del nostro basket. Prima di tutte le realtà appena citate, quando ancora la facevano da padrone le squadre di città più affermate (Milano, Varese, Bologna, in particolar modo), Cantù coltivava la sua fortuna nel suo piccolo orto. La foresteria, il settore giovanile da cui sono usciti campioni come Recalcati, Marzorati e Riva, il tutto protetto da un paese di 39.583 abitanti (attualmente, 32.488 nel 1971) che vive e respira il basket. Sono storia gli scudetti degli anni ’70, conquistati con Stankovic, Taurisano e Bianchini in panchina. Addirittura da leggenda sono le quattro Coppe delle Coppe, le quattro Coppe Korac e, soprattutto, le due Coppe dei Campioni (1982 e 1983, Bianchini e Primo rispettivamente sul ponte di comando). Cantù è, per intenderci, la squadra che conta più successi fuori dai confini nazionali attualmente. Risultati prestigiosi già per un ambiente medio – grande, figurarsi per uno come quello di Cantù, provinciale geograficamente, ma senza nulla da invidiare all’ organizzazione di realtà più grandi.

Non è stato tutto rose e fiori, però: negli infatti in cui gli investimenti nel mondo della pallacanestro aumentavano sensibilmente (Gardini a Roma, Benetton a Treviso, Cazzola e Seragnoli sulle due sponde di Bologna) la way of life brianzola non ha più pagato i suoi dividendi. Addirittura, nel 1993 arriva una inopinata retrocessione, e con essa l’ addio alla famiglia Allievi che era stata artefice di grandi successi, dagli anni ’70 in poi. Non tutti i mali vengono per nuocere, però. Perché da lì Cantù si rialza, ricomincia a lavorare con il rigore e la razionalità che l’ ha sempre contraddistinta, e torna presto a essere protagonista.

Nel frattempo lo scenario della pallacanestro nostrana è cambiato: spariti i grandi investitori, gli sponsor milionari, lo sfarzo costruito sul nulla degli anni ’90. I bilanci cominciano a pesare sempre di più per le società, in particolare i contratti sempre più ricchi dei giocatori italiani. Cantù, a differenza del passato sceglie un’ altra strada: si affida all’ abilità di scouting di Bruno Arrigoni,che seleziona ogni anno giocatori stranieri che abbinino un costo non eccessivo a un buon rendimento sul campo e a una testa sulle spalle (che caratterizza anche la mentalità brianzola). Arrivano perciò col tempo Kaukenas, Stonerook, Bootsy Thornton, Dante Calabria, gente che ha fatto storia nel nostro campionato, anche se altrove rispetto a Cantù.

Il resto è storia recente: dal 2010/2011 in qua, sotto la guida di Trinchieri e grazie allo zoccolo duro composto da Leunen, Markoishvili, Micov, Mazzarino, Scekic sono arrivate una finale scudetto (2011), due finali di Coppa Italia (2011 e 2012) e una Supercoppa Italiana, tutte contro Siena. Ora sono partiti sia Trinchieri che Arrigoni, il primo con destinazione Kazan, il secondo Bologna. È tornato però Stefano Sacripanti, fresco di oro Under 20 conquistato questo luglio. Lui, che la Pallacanestro Cantù l’ ha vissuta in toto, conosce l’ ambiente e sa quali corde toccare per fare in modo che la società in cui è cresciuto resti competitiva come nel recente passato. Magari tornando a valorizzare i giovani di casa, come quell’ Abass a cui quest’ estate ha fatto fare pentole, coperchi e pure fornelli, quando era ai suoi ordini nella selezione giovanile vittoriosa a Tallin. Da un prodotto del settore giovanile brianzolo a un’ altro potrebbe ricominciare una storia che ha il sapore di antico. Nel segno della tradizione. Nel segno di Cantù.

LA SETTIMA GIORNATA HA DETTO CHE…

  • Che chi è in emergenza e sceglie Markosvki, come ha fatto Venezia, non sbaglia mai

  • Che se perdesse Hackett Siena potrebbe dire definire il suo ciclo decennale con pressoché concluso

  • Che Brindisi in testa alla classifica non è stupefacente (vedasi editoriale della settimana scorsa)

  • Che, malgrado l’ ampio budget, Avellino deve ancora maturare per puntare ad alto livello, ma ha in panchina (Vitucci) e in campo (Lakovic, Cavaliero, Dean, Ivanov) gli uomini per riuscirci

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