Ad un passo dalla vittoria


paradiso-legge40Sollevato ancora il dubbio di legittimità della legge 40, dal tribunale di Firenze. Forse ci siamo. Forse la vittoria si avvicina.

Questa volta la battaglia è centrata sull’ultimo tassello di una legge che pone una grossa barriera alla felicità di molte donne, e famiglie, che desiderano un figlio. L’ultimo nodo da sciogliere è la fecondazione eterologa.

Ma facciamo un passo indietro, prima di suscitare orrori e trarre conclusioni affrettate, suggerite dalla nostra radicata morale cattolica. Che non ci lascia vedere un po’ più in là, dove vivono concretamente gli altri, con i loro problemi e le loro sofferenze. Che possono essere problemi e sofferenze di tutti.

Cosa faremmo se scoprissimo che uno dei nostri sogni, come quello di avere un bambino, fosse ostacolato da complicazioni? Complicazioni non volute da noi. Cosa faremmo, se scoprissimo che nella vita, a volte, non va tutto liscio? Se scoprissimo che lo Stato, invece di aiutarci a risolvere queste complicazioni, impone ostacoli, noncurante delle diversità delle situazioni sociali?

E questo è ciò che più mi ferisce. Che più mi inferocisce. Non solo come donna. Ma soprattutto come cittadina italiana. Perché la politica deve rimanere al servizio del popolo: deve tutelare la libertà del popolo; deve favorire, dove può, la felicità del popolo, che è sovrano (art. 1 Costituzione della Repubblica Italiana). Ma la legge 40 non favorisce tutto ciò, disciplinando la procreazione assista in modo discriminatorio.  Dimostrando ancora una volta che la politica italiana rimane indietro, mentre la società avanza. Vediamo perché.

Innanzitutto, chi può accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita?

Coppie sterili di sesso diverso.

Coppie il cui padre è portatore di una malattia infettiva (es. Hiv).

Emerge così subito il primo limite della legge. Le coppie portatrici di malattie genetiche non possono far ricorso alla procreazione assistita. Nemmeno le coppie dove sia la donna ad avere una malattia infettiva.

Quanti embrioni possono essere prodotti al massimo con la fecondazione assistita?

Tre. E tutti e tre devono essere impiantati nell’utero della madre in un’unica volta. Come l’art. 14 sancisce. E proprio per questo dichiarato incostituzionale.

Primo. Perché mai, infatti, dovrebbe essere lo Stato a decidere quante volte una donna debba provare ad avere un figlio? Ponendo un tetto fisso, uguale per tutte. Penalizzando in partenza le donne in età fertile avanzata e gli uomini con un’infertilità grave, che dovrebbero far ricorso ad un successivo trattamento ovarico, pericoloso per la salute psicofisica della donna in caso dell’insuccesso del primo impianto, e un’ ulteriore spesa economica.

Secondo. Perché vietare l’analisi pre-impianto degli embrioni per verificare la loro salute, quando è concesso l’aborto a seguito dell’amniocentesi (al 4° mese) o villocentesi (2° mese)? Vedete l’incoerenza? Ma soprattutto ci rendiamo conto di cosa possa significare realmente per una donna portare in grembo un bambino, e scoprire solo più tardi se nascerà malato? E poter liberamente decidere solo a quel punto quale strada prendere, dovendo affrontare anche un parto abortivo se si è ricorso all’amniocentesi? Ci rendiamo conto del dolore? Della pericolosità per la salute psicofisica della donna?

Perché non aiutare le coppie portatrici di malattia genetiche fin da subito, nel loro percorso genitoriale? Non lasciandole quindi vittime di un destino da loro non scelto. Ma aiutandole a superare gli ostacoli che già hanno. Invece di crearne ulteriormente. Lasciandoli liberi di scegliersi il loro futuro. Come tutti gli altri.

Terzo. Perché bloccare il sogno di una coppia ad un vere un figlio, se uno dei due è del tutto sterile, o ha appunto una malattia genetica che può trasmettere, con il divieto alla fecondazione eterologa? Infatti se per una coppia l’analisi pre -impiato fosse moralmente scorretta, avrebbe almeno questa possibilità.

Mi chiedo perché non lasciare ai medici e alle donne la decisione su quali tecniche utilizzare, sulla base delle proprie convinzioni etiche e delle proprie situazioni. Vogliamo ancora nasconderci dietro alla scusante di non favorire una selezione eugenetica? Vogliamo ancora credere che tra genitori e figli debba per forza sussistere un fattore di sangue, per potersi chiamare così? O vogliamo invece andare più a fondo alla questione? Cercando ci capire, comprendere, sussistere, invece di sentenziare.  Perché non parlare di analisi pre-impianto come “una prevenzione per il proprio figlio al dolore”? Come dice mamma Teresa, portatrice lei stessa di talassemia, che in nessun modo vorrebbe che anche suo figlio passasse quello che ha passato lei.
Non possiamo continuare a categorizzare situazioni diverse in un’unica fattispecie. Vincolarle con leggi che cercano di legiferarle come se si somigliassero. E andando così a creare discriminazioni.

Perché lo stato italiano lascia che i cittadini scappino dalla propria patria e si facciano aiutare da altri paesi, invece di prendere in mano la situazione e ascoltare i reali bisogni della gente? Ascoltare il popolo è il primo passo per fare leggi a favore del popolo, non contro il popolo. Come afferma la stessa Corte Costituzionale europea, che lo scorso 11 febbraio 2013 ha nuovamente bocciato il ricorso del governo italiano, rendendo definitiva la sentenza di agosto, emessa in merito al ricorso Costa-Pavan. Aprendo, quindi,  le porte alla procreazione medicalmente assistita, e alla diagnosi pre-impianto per coppie affette o portatrici sane di malattie genetiche. Finalmente direi. E pensare che se solo la gente venisse ascoltata davvero, l’evoluzione della politica e della società andrebbero di pari passo.

È per questo che io mi chiedo se la signora E. Rocella, ad esempio, che fu proprio lei a sancire le nuove linee guida della legge (senza cambiare di fatto nulla), abbia mai avuto una cara amica con una malattia genetica, desiderosa di avere un figlio. Oppure, mi chiedo, se sia per caso mai innamorata di un uomo con una malattia che avrebbe potuto trasmettere ai suoi di figli.
Mi chiedo se sappia cosa significhi vedere la propria moglie e poi la propria figlia morire per colpa di un morbo che si trasmette il 50% delle volte da generazione a generazione.
Mi chiedo se abbia mai provato cosa significa il dolore di vedere la propria figlia morire a sette mesi, per colpa di fibrosi cistica. Di provare a riempire il dolore con altro amore, cercando di avere di nuovo dei figli. Ma di dover abortire, per non rivivere la stessa atrocità un’altra volta.  Per non rivivere la stessa dolce illusione, che si trasforma poi in una lacerante amara realtà. Quando gli occhi di tua figlia si chiudono per sempre. Invece di chiudersi per sognare. (Caso Costa-Pavan, portatori sani di fibrosi cistica)

Sognare: è questo che i bambini fanno. Ed è questo che gli adulti dovrebbero continuare a fare. Sognare un bel lavoro. Una vacanza.  Una bella casa. Sognare di incontrare una persona da amare, di costruirci una famiglia, di vedere l’amore unito in un nuovo essere. Essere felici è il nostro destino. Ora. Su questa terra.

Lo Stato, allora, da che parte sta? Dalla parte di chi crede di poter cristallizzare la vita e sancire regole che valgano per tutti e alla stessa maniera per sempre. Quando ormai ben tutti sappiamo che un’unica verità non esiste, che la verità è fatta di più verità. Che l’etica è costituita da più etiche. E che oggi l’unica vera etica è quella che parte delle diverse esigenze dei singoli, mirata al loro bene: un’etica applicata alle specificità singolari, come proclama Michela Marzano in “Etica oggi”. Perché solo questa può essere vera, umana, giusta.

Per questo, mi chiedo come può lo Stato considerarsi Stato quando la Costituzione sancisce che si impegna a eliminare quegli ostacoli che non permettono l’uguaglianza formale, e quella sostanziale. Che non permettono un uguale godimento di diritti e libertà ai propri cittadini (art. 3 Costituzione della Repubblica Italiana), come il diritto alla salute, o al benessere psicofisico. Mi chiedo come può considerarsi Stato, quando invece di eliminare l’ingiustizia tra chi ha e chi non ha, la perpetua, la rinforza.

Ma nel 2013 avere una famiglia non deve diventare un privilegio per alcuni. No. Almeno non questa.

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