Israele e Palestina: la visita di Barack Obama


Gli USA sono orgogliosi di essere a fianco di Israele in qualità di suo più forte alleato e più grande amico”. Queste le prime parole che il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha rivolto al premier israeliano Benjamin Netanyahu al suo arrivo a Tel Aviv il 20 marzo scorso, in occasione della sua prima visita ufficiale all’estero del suo secondo mandato.

“Vedo questa visita come un’opportunità di riaffermare il legame indistruttibile tra le nostre nazioni, per ribadire l’impegno costante dell’America per la sicurezza di Israele e per parlare direttamente alla gente di Israele e ai vostri vicini. Dichiaro la nostra alleanza eterna, è per sempre”, ha poi continuato il presidente americano, che alla vigilia aveva annunciato come l’obiettivo del suo viaggio fosse quello di “ascoltare” e non di avviare trattative di pace.

Obama nella stessa giornata ha preso visione di una batteria anti-missile Iron Dome, testata da Israele nelle ultime due offensive contro Gaza (Operazione Piombo Fuso e Operazione Pilastro di Difesa) provocando manifestazioni di protesta da parte del popolo palestinese nella Striscia, a Ramallah e a Hebron, dove un gruppo di manifestanti palestinesi, israeliani e internazionali, mascherati da Obama e Martin Luther King, ha marciato pacificamente all’urlo di “I have a dream. La fine dell’occupazione”.

Lo stato d’animo della popolazione dei Territori Occupati si può ben riflettere nelle parole di un cittadino di Ramallah intervistato dal Guardian: “Davvero voi israeliani pensate che avremmo potuto accogliere Obama con gioia? Cosa ha fatto per noi o cosa potrebbe fare per meritarsi un benvenuto dignitoso? Se fosse arrivato il primo ministro turco Erdogan, lo avremmo onorato. Se fosse venuto Hugo Chavez, l’intera città sarebbe stata piena di bandiere e manifesti. Obama non è un bene per il palestinesi”.

La giornata del 21 marzo si è aperta con il lancio da Gaza di due missili sulla città israeliana di Sderot, che hanno causato danni materiali ma nessun ferito. L’azione, rivendicata dal gruppo salafita Magles Shoura al-Mujahddin, è stata condannata dal presidente palestinese Abu Mazen e dallo stesso Obama che l’ha definita “una violazione di un importante cessate il fuoco che protegge gli israeliani come i palestinesi”. Il presidente americano ha però “perso l’occasione” di condannare allo stesso modo l’uccisione di 4 civili gazawi e il ferimento di altri 80-90 per mano dell’esercito israeliano, tutti episodi verificatosi dopo l’entrata in vigore del cessate il fuoco a conclusione dell’Operazione Pilastro di Difesa.

Lo stesso giorno il presidente Obama ha tenuto un discorso allo Jerusalem Convention Center dell’Università di Gerusalemme, durante il quale ha ricordato che la pace è l’unico modo che Israele ha per preservare i due pilastri su cui si basa la sua identità nazionale: la democrazia e l’ebraicità. Ha quindi aggiunto che l’unica maniera in cui lo Stato israeliano può resistere in quanto Stato ebraico e democratico è data dalla realizzazione di una Palestina indipendente. Continuando nel suo discorso ha invitato i 300 giovani israeliani presenti a guardare il mondo attraverso gli occhi dei loro coetanei palestinesi, che ogni giorno si vedono privati delle loro libertà. Ha infine ribadito il diritto dei palestinesi di essere un popolo libero nella propria terra e ha definito ingiusta l’impunità in cui agiscono i coloni.

Proprio le colonie sono state oggetto della conferenza stampa tenuta da Obama e il presidente palestinese Abu Mazen a Ramallah. La costruzione di nuovi insediamenti è infatti considerata “un’attività che non fa avanzare il processo di pace” che, secondo il presidente americano, deve portare alla costituzione di due Stati per due popoli, due nazioni separate che vivono in sicurezza.

Difficilmente gli auspici del presidente Obama si concretizzeranno a breve. Il 18 marzo scorso infatti si è insediato il nuovo governo israeliano guidato da Netanyahu, nato da un accordo di coalizione che rafforza la posizione dei coloni e dei loro sostenitori. La guida del Ministero della Didesa, a cui spettano le decisioni relative alla costruzione di nuovi insediamenti, è stata affidata a Moshe Yaalon, ex comandante dell’esercito e membro del partito Likud, favorevole all’espansione e che in passato aveva più volte accusato il suo predecessore Ehud Barak di un’eccessiva lentezza nell’approvazione di nuovi insediamenti.

Con questi presupposti un accordo di pace tra israeliani e palestinesi si fa sempre più utopico.

2 Comments

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  1. Chiara Gaia V

    un articolo molto efficace e chiaro anche per i “non addetti ai lavori”, tra i quali posso certamente essere annoverata; spero di riuscire a seguire più assiduamente questa e altre sezioni del Discorsivo.

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