Onu: Palestina nuovo “Stato osservatore”


138 sì, 9 no e 41 astenuti: questo l’esito della storica votazione tenutasi il 29 novembre scorso al Palazzo di Vetro di New York con la quale l’Assemblea Generale dell’Onu ha accolto la Palestina come “Stato osservatore” (video).

Un voto osteggiato da Stati Uniti e Israele in primis e al quale l’Unione Europea si è presentata divisa: tra gli altri Francia, Spagna, Irlanda e Grecia si sono pronunciate a favore, mentre Germania, Olanda, Repubblica Ceca e Gran Bretagna si sono astenute. Da Berlino è arrivata la conferma della volontà di promuovere la creazione di uno Stato palestinese, la cui nascita però deve essere frutto di un negoziato con Israele.

L’Italia, dopo un primo momento di incertezza, ha votato a favore della mozione pur ribadendo che tale decisione “non implica nessun allontanamento dalla forte e tradizionale amicizia con lo Stato israeliano” ed è “parte integrante dell’impegno del governo italiano volto a rilanciare il processo di pace con l’obiettivo di due Stati, quello israeliano e quello palestinese, che possano vivere fianco a fianco, in pace, sicurezza e mutuo riconoscimento”. Malgrado questa nota ufficiale rilasciata da Palazzo Chigi, l’ambasciata israeliana si è dichiarata molto delusa dalla scelta dell’Italia di sostenere “l’iniziativa unilaterale dei palestinesi alle Nazioni Unite”.

Diversi gli Stati (Gran Bretagna e USA in prima fila) che hanno garantito l’appoggio alla risoluzione presentata dal presidente dell’Autorità Palestinese Abu Mazen all’Assemblea Generale sotto una condizione non esattamente irrilevante: che lo Stato palestinese non si appelli alla giustizia internazionale, avendo ora la possibilità di accedere allo Statuto della Corte Penale Internazionale e dichiarare di accettarne la giurisdizione sui crimini di guerra commessi a partire dal primo luglio 2002. In questo arco temporale rientrerebbero, tra gli altri, i possibili crimini contro l’umanità commessi da entrambe le parti coinvolte nel conflitto del 2008-2009 (Operazione Piombo Fuso) a Gaza e nel Sud di Israele.

La reazione di Israele dopo il voto del 29 novembre non si è fatta attendere. La dichiarazione del premier israeliano Benjamin Netanyahu è stata lapidaria: “Il voto all’Onu non cambierà alcunché sul terreno. Non sarà costituito uno Stato palestinese senza il riconoscimento di Israele come Stato del popolo ebraico; non sarà costituito uno Stato palestinese senza la proclamazione della fine del conflitto; non sarà costituito uno Stato palestinese senza provvedimenti di sicurezza reali che difendono lo Stato di Israele e i suoi abitanti”.

Dalle parole si è quindi passati ai fatti: il governo di Tel Aviv ha autorizzato la costruzione di 3mila nuove case per i coloni nei territori occupati tra Gerusalemme Est e la Cisgiordania. Una decisione questa che ha incontrato la ferma opposizione dell’UE e degli Stati Uniti. In conferenza stampa a Washington alla presenza dei ministri israeliani, Hillary Clinton ha affermato: “Lasciatemi ripetere che questa amministrazione ha detto molto chiaramente a Israele che queste attività fanno arretrare i negoziati di pace”. Gli stessi timori sono stati espressi dai governi di Parigi, Londra, Stoccolma, Copenhagen e Madrid che hanno convocato gli ambasciatori israeliani presenti nei propri Paesi.

La reazione israeliana non si è però limitata all’annuncio della costruzione di nuovi insediamenti. Il governo guidato da Netanyahu ha infatti bloccato per il mese di dicembre il trasferimento delle tasse raccolte da Israele per l’Autorità nazionale palestinese. Si tratta di 460 milioni di shekels (circa 92 milioni di euro) che lo Stato israeliano, secondo il Protocollo di Parigi firmato nel 1994, ha il potere di raccogliere e girare in un secondo momento nelle casse di Ramallah. In questa cifra sono contenute le deduzioni sulle tasse pagate dai lavoratori palestinesi in Israele e i loro contributi pensionistici, IVA e tasse doganali.

Malgrado tutto però lo scorso 29 novembre lo Stato palestinese ha ottenuto una piccola vittoria.

“La Palestina viene all’Assemblea Generale oggi perché crede nella pace e la sua gente ne ha un disperato bisogno. Dateci il certificato di nascita”. Questa la richiesta rivolta da Abu Mazen agli Stati membri dell’Onu, che in maggioranza hanno accolto la risoluzione trasformando quindi così la Palestina da “territorio conteso” (secondo la tesi israeliana) a Stato sotto occupazione.

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