Il massacro di Sabra e Chatila


Era il giugno del 1982 e la guerra civile libanese (1975-1990) era in pieno svolgimento. Israele, che già sosteneva militarmente la comunità cristiana dei maroniti e l’Esercito del Sud-Libano (cristiano maronita) di Sa’d Haddad contro l’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) di Arafat e le forze armate siriane, in quei giorni invase Beirut circondando le truppe nemiche.

Il presidente americano Ronald Reagan incaricò Philip Habib di risolvere la crisi. Seguirono lunghe ed estenuanti trattative alla fine delle quali il Primo Ministro israeliano assicurò che i suoi soldati non sarebbero entrati a Beirut Ovest e non avrebbero attaccato i palestinesi nei campi profughi, mentre il futuro presidente libanese Bashir Gemayel (eletto il 23 agosto dello stesso anno) promise che i falangisti non sarebbero entrati in azione. In cambio ad Arafat era richiesto di ritirare i miliziani dell’OLP dalla capitale libanese. A garantire il rispetto degli accordi presi fu incaricato un contingente USA e forze internazionali americane, francesi e italiane intervennero per mantenere l’ordine.

Il primo settembre l’evacuazione dell’OLP era terminata. Il giorno successivo, infrangendo l’accordo, l’esercito israeliano circondò i campi profughi palestinesi di Sabra e Shatila a Beirut. Il 10 settembre gli ultimi soldati internazionali lasciarono il Paese e il giorno successivo l’allora Ministro della Difesa Ariel Sharon denunciò la presenza di 200 guerriglieri dell’OLP in territorio libanese. I palestinesi negarono il fatto.

Il 14 settembre la situazione precipitò: il neo eletto presidente libanese Gemayel rimase ucciso in un attentato organizzato dai servizi segreti siriani. Israele ruppe l’accordo con gli USA e invase Beirut Ovest, chiuse ermeticamente i campi profughi e mise posti di osservazione sui tetti degli edifici vicini.

Il 16 settembre 250 falangisti cristiani, assetati di vendetta per l’assassinio del loro presidente Gemayel, entrarono nei campi profughi palestinesi di Sabra e Shatila, dove si trovavano principalmente donne, anziani e bambini visto che numerosi fedayin palestinesi avevano lasciato il Libano in cambio della garanzia di una protezione internazionale sulla popolazione palestinese rimasta.

Fu un massacro che durò 40 ore, un giorno e due notti.

Difficile fornire una cifra esatta delle persone uccise: 700-800 secondo i servizi israeliani, 1500 secondo la Croce Rossa Internazionale, 3500 secondo gli enti filopalestinesi.

Concluso il massacro i falangisti si affrettarono a scavare fosse comuni per riempirle con i corpi dilaniati e mutilati delle vittime. Altri cadaveri furono trasportati su camion agricoli diretti verso il confine. Il tutto avvenne sotto la regia di Israele e in primis del suo Ministro della Difesa Ariel Sharon.

Il 16 dicembre 1982 il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite condannò il massacro dichiarando che si trattò di un atto di genocidio.

Il 20 settembre 1982 Loren Jankins del Washington Post scrisse:
La scena nel campo di Shatila, quando gli osservatori stranieri vi entrarono il sabato mattina (18 settembre), era come un incubo. In un giardino, i corpi di due donne giacevano su delle macerie dalle quali spuntava la testa di un bambino. Accanto ad esse giaceva il corpo senza testa di un bambino. Oltre l’angolo, in un’altra strada, due ragazze, forse di 10 o 12 anni, giacevano sul dorso, con la testa forata e le gambe lanciate lontano. Pochi metri più avanti, otto uomini erano stati mitragliati contro una casa. Ogni viuzza sporca attraverso gli edifici vuoti – dove i palestinesi avevano vissuto dalla fuga dalla Palestina alla creazione dello Stato di Israele nel 1948 – raccontava la propria storia di orrori. In una di esse sedici uomini erano sovrapposti uno sull’altro, mummificati in posizioni contorte e grottesche”.

Il Presidente della Repubblica Sandro Pertini il 31 dicembre 1983 durante il discorso di fine anno pronunciò queste parole (video):
“Io sono stato nel Libano. Ho visto i cimiteri di Sabra e Chatila. È una cosa che angoscia vedere questo cimitero dove sono sepolte le vittime di quell’orrendo massacro. Il responsabile dell’orrendo massacro è ancora il governo in Israele. E quasi va baldanzoso di questo massacro fatto. È un responsabile a cui dovrebbe essere dato il bando dalla società”.

Sono passati 30 anni da allora. Il racconto dello scrittore Paolo Giordano sulle pagine del Corriere della Sera del 9 settembre scorso fa luce su ciò che è rimasto oggi dei campi profughi di Sabra e Chatila: un groviglio di edifici fatiscenti e cavi elettrici scoperti sospesi ad altezza d’uomo. Un inferno di reietti in cui la metà degli abitanti sono libanesi indigenti, immigrati clandestini venuti dall’Africa e dall’Asia, trafficanti di poco conto, estremisti religiosi in cerca di proseliti e palestinesi in fuga dalla guerra civile siriana.

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