Diario della Crisi – La crisi greca e il futuro dell’euro


Martedì scorso è diventato ufficiale: il neoeletto parlamento greco non ha trovato l’accordo per formare un governo e il prossimo 17 giugno il popolo greco sarà nuovamente chiamato alle urne. La reazione dei mercati è stata immediata con l’indice Ase di Atene (Bloomberg, ASE:IND) crollato del 6% in pochi minuti e l’euro/dollaro (Bloomberg, EURUSD:CUR) che ha ceduto lo 0.5%. A fine settimana tutte le borse europee registrano gravi perdite e giovedì l’agenzia di rating Fitch ha declassato il debito greco a CCC, a un passo dal default. E pare che De La Rue, l’azienda britannica che stampa le banconote per le banche centrali di tutto il mondo, si stia attrezzando per un potenziale ritorno alla dracma.

In realtà, la notizia non sorprende ed era attesa. Il voto del 6 maggio scorso ha infatti delineato un parlamento frammentato senza possibilità di maggioranze programmatiche a causa del crollo dei due partiti di governo storici favorevoli al memorandum (il conservatore Nuova Democrazia al 18,9% e il socialista Pasok al 13,2%); il tutto a favore delle ali, in particolare di Syriza (partito di estrema sinistra che con il 16,8% dei voti è diventata la seconda forza parlamentare). In totale alle scorse elezioni i partiti anti-memorandum hanno totalizzato oltre il 60% dei voti; un segnale della una forte insofferenza dei greci nei confronti delle politiche di austerity imposte dall’Europa come condizione per gli aiuti. In questo contesto i fallimenti di Samaras (leader di ND), Tsipras (Syriza) e Venizelos (Pasok) erano inevitabili e l’ultimo tentativo del presidente Papoulias per formare un governo di unità nazionale a sostegno gli accordi presi con la Bce, o al massimo teso a una parziale rinegoziazione , si è scontrato con gli interessi elettorali di Syriza, dato dai sondaggi grande favorito in caso di elezioni, e di Fotis Kouvelis, leader di Sinistra Democratica, competitor diretto di Tsipras intimorito da una punizione elettorale in caso di appoggio all’austerity.

Secondo i sondaggi Syriza si affermerebbe come primo partito con ben oltre il 20%, ottenendo così il premio di maggioranza e la guida un eventuale governo (secondo le rivelazioni del 16 maggio per Extra3 TV, sarebbe addirittura al 31,9%). Sebbene Syriza sia apertamente favorevole a mantenere la divisa europea, il suo leader è fortemente contrario alle misure imposte dal memorandum. Se le previsioni si rivelassero corrette, stando agli ultimi sondaggi le prossime elezioni aprirebbero realisticamente due scenari: una nuova situazione di impasse oppure un accordo di governo contrario ai patti con l’Europa. In entrambi i casi difficilmente la Bce darà il via libera ai 130mld precedentemente negoziati. E’ di giovedì intanto la notizia che il governatore Mario Draghi, che pure continua a esprimersi a favore della permanenza nell’euro, ha interrotto «momentaneamente» i prestiti ad alcune banche greche a causa dell’alto profilo di rischio, affermando che «la Bce non può compromettersi sui principi chiave per mantenere la Grecia nell’eurozona».

Atene, che ha attualmente in cassa poco più di €2mld, senza aiuti europei entro luglio si ritroverà a non poter pagare stipendi e pensioni. L’unica strada sarà allora quella di dichiarare default totale, ritornare alla dracma e cominciare a stampare moneta. Intuendo questo, i correntisti e gli investitori internazionali correrebbero a ritirare capitali denominati in euro dalle banche greche e spingerebbero lo stato a bloccare i conti e limitare i movimenti (già a oggi il panico diffuso ha portato a ritirare oltre 2mld): il caos che ne seguirebbe sarebbe il preludio alla tempesta. Un weekend, a mercati chiusi, il governo ellenico convertirà tutta la liquidità presente nel paese dall’euro alla vecchia nuova moneta fissando un cambio teorico (quello con cui fu introdotto l’euro oppure 1-1, poco cambia). In analogia a quanto accadde in Argentina, il lunedì seguente la dracma si svaluterebbe immediatamente di un 40-70% e oltreconfine sarebbe carta straccia.

Le conseguenze nell’immediato sarebbero inflazione alle stelle (+20%), incremento dei costi di importazione, perdita di potere d’acquisto, impossibilità di accedere al mercato e lo stato avrebbe unicamente le tasse come strumento per reperire liquidità. Le banche verrebbero nazionalizzate. La debolezza della valuta, che nei casi di Argentina e Russia fu motore delle esportazioni garantendone la ripresa quando questi paesi affrontarono analoghe situazioni di default, sarebbe di ben poco aiuto a un paese che esporta feta e olive (aggiungiamoci pure i dazi che i paesi della zona euro applicherebbero immediatamente dopo la conversione monetaria). Di fatto, le prospettive di breve e medio termine per la Grecia in caso di uscita dall’euro farebbero impallidire la già drammatica situazione dell’ultimo anno. A quel punto le tensioni sociali aprirebbero scenari del tutto imprevedibili.

Quanto al resto dell’unione monetaria, Patrick Honohan (Bce) ritiene che l’abbandono di Atene sia tecnicamente gestibile e che le conseguenze dirette, seppure pesanti, non dovrebbero da sole minare la sopravvivenza del’euro. I problemi per il resto dell’Europa sarebbero essenzialmente due: la complicata gestione della transizione e il rischio contagio. Secondo l’economista Barry Eichengreen, un’autorità in materia, ci troveremmo di fronte alla «madre di tutte le crisi finanziarie». Un evento di questa portata (pensiamo a cosa comportò nel 2008 il fallimento di una banca) – rappresenterebbe una sfida estremamente difficile. Da un punto di vista dello sforzo economico, Klaus Regling, presidente del “Fondo Salva Stati”, ha stimato che solo nel primo anno il costo medio per cittadino europeo sarebbe di oltre €11.000 per un totale di €100mld. Ma il fattore di maggiore preoccupazione e incertezza è il rischio contagio. L’uscita della Grecia dall’euro, se di per sé gestibile, rappresenterebbe infatti la rottura di un tabù: i mercati vedrebbero realizzarsi un evento fino a poco tempo fa ritenuto impensabile e la speculazione sposterebbe la propria attenzione verso la prossima preda. Per il principio per cui nessuna catena è più forte del suo anello più debole, Irlanda e Portogallo (già nell’occhio del ciclone in passato e destinatari di ingenti aiuti comunitari) potrebbero essere le nuove vittime. La Spagna, il cui primo ministro Rajoy mercoledì ha dichiarato di temere un’impossibilità ad accedere al mercato a causa dell’alto rendimento dei Bonos (ilSole24Ore, spread BONOS/BUND 10 anni) e che ha recentemente dovuto ricapitalizzare il colosso Bankia (Bloomberg, BKIA:SM), è tuttora nel mirino degli speculatori; si stima che i correntisti abbiano già ritirato dalla banca spagnola oltre 1mld. La stessa Italia, per quanto fondamentalmente più solida, ha spesso dimostrato di essere vulnerabile agli attacchi finanziari. Uno scenario da incubo come questo preluderebbe inevitabilmente alla morte dell’euro.

È dunque questo il futuro prossimo – parliamo di mesi – che ci attende? Salvo miracoli elettorali il 17 giugno, i nuovi equilibri politici greci metterebbero i tedeschi di fronte a una dura scelta: l’unica vera alternativa al disastro sarà che la Germania continui ad accollarsi i costi di enormi debiti pubblici, accettando una sostanziale rinegoziazione dei patti colla Grecia e l’introduzione degli eurobond per ridimensionare il rischio sistemico. Sebbene in un primo momento le diplomazie tenteranno in ogni modo di scongiurare il ritorno alla dracma e di trovare un compromesso che consenta alla Bce di riaprire i rubinetti, questo evento pare piuttosto improbabile nel lungo periodo: secondo alcuni analisti la “locomotiva d’Europa” avrebbe in studio piani di uscita dall’euro come extrema ratio nel caso in cui la stabilità dell’eurozona risulti irrimediabilmente compromessa.

Qualcuno poi si potrebbe immaginare una politica (non solo greca) lungimirante, capace cioè di prendere decisioni difficili e impopolari, di varare quelle riforme strutturali imprescindibili per il superamento di una crisi estremizzata sì dalla finanza internazionale ma nata da decenni di pessima gestione della cosa pubblica. Qualcuno potrebbe insomma vedere la soluzione in un buon governo. È inutile ricordare però che se avessimo una tale classe politica non saremmo qui a discutere.

 

Di Giacomo Mariotti, mariottig@me.com

2 Comments

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  1. simone

    In italia quando fanno una riforma gli italiani che si sentono colpiti fanno una protesta epocale(magari a volte anche giustamente) e secondo me la Grecia in questo fino a quando stava bene non era tanto diversa da noi.
    Dato che in Grecia stanno facendo delle manovre economiche di un certo livello è chiaro che la gente si ribelli.
    Non puoi dire ad una persona che è abitutato a vivere in un castello di vivere in una stalla.
    La germania da parte sua magari potrebbe continuare a finanziare la Grecia anche con tali partiti ma ci sarebbero 2 problemi
    1) se quella è la linea politica potrebbe voler dire finanziare la grecia a vita
    2)se lo facesse perderebbe il consenso degli elettori anche se questo fosse veramente il bene della germania il popolo tedesco non lo capirebbe.
    Quindi lo scenario è poco roseo.

    • Giacomo Mariotti

      Simone,

      Il tuo commento è quantomeno azzeccato e centra un problema reale: fino a che punto è giusto/possibile pretendere sacrifici dal popolo greco?

      Le situazioni di reale miseria, che da mesi ci rappresentano una Grecia stremata dalle politiche di austerity, debbono far riflettere. Quando Tzipras ricorda al cancelliere Angela Merkel che Atene non è un protettorato tedesco, pone un punto importante. D’altro canto i creditori (in primis la Germania) non possono continuare a “finanziare” anni di malgoverno greco e giustamente richiedono delle condizioni precise (riforme, tagli alla spesa ecc) in cambio di ulteriori aiuti.

      Quale futuro quindi? Certamente un minimo allentamento delle richieste alla Grecia è auspicabile (pensa che la Markel costrinse in piena crisi il parlamento ellenico a continuare nell’acquisto di sottomarini Tyssen…). La vera domanda è però se il popolo greco possa sopportare le misure minime per il proseguimento del piano di aiuti europei. Una risposta in tal senso non ce l’ha nessuno, ma se tu il futuro lo vedi poco roseo, io lo vedo piuttosto nero.

      Ciao!

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