La resistenza della Poesia


Oggi parliamo con l’associazione “La resistenza della poesia”; di cosa vi occupate, come siete nati e in che senso, citando il nome della sua associazione, la poesia è “resistente”? O altrimenti, in che modo voi resistete attraverso la poesia, e verso cosa?

La nostra associazione è nata nell’ambito dell’Università di Urbino. Ci siamo trovati inizialmente con un piccolo convegno notturno a casa di uno di noi, per fare letture senza uno scopo preciso, come ne “L’attimo fuggente”. Avevamo istituito una piccola gara: veniva scelta una poesia d’autore tra quelle che leggevamo, stampata e messa, in maniera anonima, sulla bacheca della facoltà di Lettere in via Veterani.

Per un po’ di tempo abbiamo portato avanti questa attività clandestina che ha attratto l’attenzione dei professori e degli studenti.

Una volta, a lezione di letterature comparate, il professore ha letto una poesia di Séamus Heaney; quella che avevamo scelto durante la settimana, sbagliando il titolo: si chiamava “Esposizione”, ma nel foglio c’era scritto “La resistenza della poesia”, come intestazione; aveva pensato fosse il titolo. Addirittura aveva detto che questo foglio era come se fosse arrivato dal cielo: lo aveva trovato, per caso, sulla scrivania il giorno in cui si stava tenendo un convegno all’università e leggendolo, alla fine di quella conferenza, aveva fatto un discorso proprio sulla resistenza della poesia; su come la Poesia potesse essere importante nella vita di una persona.

Uno dei nostri obbiettivi, quando lasciavamo in giro i volantini, era proprio quello di riportare la Poesia alle persone, anche a coloro che non credono di poterla affrontare, che la vedono come qualcosa di lontano da se.

Cercando di portarla, quasi per caso, nei corridoi di una facoltà, nelle vie di una città, creando una sorta di mistero, per farla uscire dalle accademie e colpire la gente.

La Poesia entra prepotentemente nella tua vita e puoi scegliere se accoglierla o  meno, ma comunque devi considerarla.

In seguito a questa attività clandestina, durata da aprile a giugno 2010, quando ci siamo ritrovati all’inizio dell’anno accademico, abbiamo cercato di fare qualcosa di concreto in una serie di ambiti: innanzitutto con la messa in scena di una rappresentazione teatrale di Molière: “Le furberie di Scapino”, che abbiamo portato a maggio 2011 al teatro Sanzio e abbiamo poi iniziato a fare letture pubbliche presso il  Downbelow, oggi Fuoritema.

In questo modo credevamo di poter colmare l’assenza di Poesia, che si avverte in molte parti del mondo, almeno nella città dove studiamo.

Un altro punto fondamentale dell’associazione è quello di esprimere la Poesia attraverso una riparazione\ resistenza, cioè far capire al pubblico che la Poesia, che di concreto non può fare nulla, agisce in un ambito diverso: non in quello della produzione meccanica del lavoro, ma in quello della bellezza.

Riportare la Bellezza, che nella nostra società alienante spesso viene dimenticata, all’attenzione delle persone è fondamentale per l’uomo: è un modo per uscire dall’annichilimento individuale di una società in cui siamo costretti a correre, produrre e consumare; lontano da un senso estetico che vada oltre  le mode e “l’utilità”. Un senso estetico diverso, che porti a trascendere la propria vita e superarne i dolori in vista di questa bellezza, di questa vita più autentica; Poesia dunque come medicina di spiritualità.

Un altro punto caro all’associazione è quello di reagire rispetto agli ambienti delle accademie: vorremmo proporre un modo nuovo, ma allo stesso tempo originario, di riaccostarsi alla poesia, performativo: è vero, la poesia è anche tecnica, i greci avevano coscienza che poesia deriva dal verbo pòieo, fare, ed è una tékne, l’arte di intrecciare parole. Però già allora si aveva coscienza che era un “fare” ben diverso dalla contingenza dell’attività quotidiana ma riguardava la sfera  mistica ed estatica. L’aedo era appunto colui che veniva ispirato dall’alto. Se è vero che Omero è stato il primo poeta, egli cantava l’Iliade e l’Odissea per l’uditorio che si accostava alla poesia per goderne la bellezza e trarne un insegnamento. Il primo accostamento  è stato di tipo performativo, si cantava a memoria proprio per questo, il nostro metodo non è nuovo, ma originario e forse un po’ dimenticato.

In ultimo stiamo anche stampando una rivista dall’omonimo nome dell’associazione, che è nata come mensile nel 2011, poi  diventata trimestrale, divisa in due sezioni: la prima con articoli di critica letteraria, la seconda di scrittura creativa. Nel 2011 aveva una distribuzione prettamente universitaria, quest’anno ci stiamo impegnando a registrarla per farla diventare una rivista vera e propria.

Parliamo di linguaggio: La parola poetica secondo voi è in rapporto gerarchico rispetto, per esempio, alla parola del romanzo? O si tratta di un linguaggio qualitativamente diverso?

Prima dicevamo Poesia non solo sul livello formale, ma anche su quello dell’efficacia e della poeticità e come sentimento spirituale. Questo può darlo una qualsiasi forma, come un romanzo, una canzone, un’opera teatrale o un’opera d’arte in generale, quindi poesia in senso ampio: il romanzo non è secondo a nessuno, anzi è una delle più importanti invenzioni umane. E’ chiaro che ci sono dei punti del romanzo che sono talmente scolpiti, che vanno talmente a fondo che possono essere definiti dei punti poetici perché in quel momento la parola non è più una semplice descrizione di situazioni, ma va a intaccare l’animo dell’uomo. Dunque noi non vogliamo fare distinzioni o gerarchie, qualsiasi cosa è buona per potersi avvicinare alla Bellezza.

Secondo voi l’odierno lettore di poesie in cosa è diverso da quello del passato? Per esempio dal lettore ottocentesco.

Oggi il lettore di poesia o è il professore che la studia come un corpo da vivisezionare; oppure è un non-lettore, cioè colui che ha dei pregiudizi e non vi si avvicina per paura delle difficoltà che comporta. Questa paura è suscitata dall’impressione che danno gli studiosi della poesia  come qualcosa di difficile, da dover scavare, studiare con determinati strumenti scientifici come sogliono chiamarli. Ma anche gli stessi poeti che molte volte, presi da questa visione della poesia come qualcosa di estremamente tecnico, costruiscono opere che non sono poesie se non a livello formale, studiate come qualcosa di difficile e di lontano dall’uomo. Queste sono le paure che pensiamo il lettore di oggi abbia. Non esiste più un lettore ingenuo, che legge senza pregiudizi, senza la paura di affrontare il testo anche senza gli strumenti tecnici dell’analisi. Rispetto a un secolo fa, ma si potrebbe dire di un qualunque periodo della storia della poesia, quindi rispetto anche all’antichità, oggi c’è un cambiamento nel senso della credibilità: Il lettore antico leggeva il poeta e sapeva di trovare una parola credibile. La parola del vate diceva qualcosa di vero e quindi dava una verità che, seppure non era quella scientifica, aveva importanza per l’individuo e per la società. Questo oggi si è perso completamente, nella nostra società la verità la da solo la scienza. Quindi, almeno nel senso comune, la parola poetica non può essere più la parola della verità, sembra inutile, solo una creazione della fantasia.

Lo si nota anche dal ripiegamento su se stessi dei poeti, che essendo post moderni, per usare una definizione accademica, non comunicano più nei confronti di un pubblico, ma si riferiscono solo a se stessi, perdendo completamente la dimensione dell’Altro. Ritornano nell’Io e vivono di loro stessi perseguendo una poetica che  non è vitale, per questo da noi definita in maniera anche irrisoria, nichilistica, senza nessun futuro.

Noi della Resistenza della poesia crediamo fortemente alla massima:” Date credito alla Poesia”. Detta nel discorso di accettazione del nobel da Séamus Heaney, nel 1995, dal titolo appunto “Sia dato credito alla poesia”. Ciò che manca oggi è la credibilità, il lettore dovrebbe riavvicinarsi sapendo che troverà qualcosa di vero e i poeti contemporanei devono uscire da se stessi, tornare a occuparsi della creazione di una poesia che possa avere un oggetto, rivolta verso qualcosa o qualcuno e finirla di chiudersi in questo logorroico Io che non porta a niente.  

Per concludere, quasi sono le prospettive future della sua associazione? E quali i progetti e le speranze che la animano?

La nostra idea è quella di proseguire per la strada tracciata, continuando con tutte le iniziative che abbiamo già presentato: portare la Poesia in mezzo alla gente, sia attraverso la rivista, che è uno strumento per un pubblico già interessato a tematiche letterarie, ma anche portarla a chi non vi è abituato. Per noi è molto importante esibirci in locali o con letture pubbliche. La lettura è uno strumento per arrivare alle orecchie delle persone che non sono abituate a leggerla. La poesia non deve essere vista come un’alternativa, ma aiutare a risignificare il percorso di vita di ognuno; mi rifaccio a Seneca, che affermava che la riflessione, per lui era quella filosofica, non è qualcosa che ci deve estraniare dalla realtà, ma ci deve aiutare a viverla con un significato diverso, cioè a soffermarsi di più sul senso delle cose. Concretamente parlando stiamo progettando una nuova commedia: la Càsina di Plauto, che stiamo traducendo in collaborazione con l’Università di Urbino e che metteremo in scena alla fine di questa estate e a ottobre al teatro Sanzio. L’obbiettivo principale quest’anno comunque sarà la rivista e la sua registrazione.  

Per concludere: si parlava prima di cosa può fare la Poesia, oggi è anche il 25 aprile (data di registrazione dell’intervista ndr) e si festeggia giustamente la resistenza, però vediamo, soprattutto in Italia, che il discorso politico è ancora in balia  di partitismi, ideologismi, corpi morti che vanno avanti senza sapere come sia possibile. Queste parti continuano a inneggiare  a una rivolta ma alla fine restano solo vane parole.

Riteniamo che, soprattutto in questo periodo di estrema volgarità, un atto di rivolta veramente importante sia scrivere una buona poesia, cioè portare all’occhio delle persone la Bellezza, una parola essenziale che veramente vuole dire qualcosa, di fronte al ciarpame ciarliero, di questi personaggi, politici che parlano solo per dare aria alla bocca e non fanno altro che ripetere una vuota retorica, insomma è in questo che la poesia può fare qualcosa, sicuramente più che la retorica politica che ci accompagna oggi.

2 Comments

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  1. Anonimo

    La resistenza della poesia è un esempio per tutti i ragazzi. Il mondo non è tutto marcio e si può Fare sempre qualcosa per aiutarlo, tranquillizzarlo

    • Edoardo Gazzoni

      Grazie per aver voluto lasciare un commento, come autore mi fa piacere sapere di essere letto anche a distanza di tempo dall’uscita 🙂
      oltre a questo, so che i ragazzi della “Resistenza” stanno uscendo in questi giorni con il nuovo numero dela loro rivista. Per maggiori info, in caso ti interessi, credo tu possa contattarli dalla loro pagina facebook.

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