Eternal Sunshine – il ricordo di un amore impossibile


Pensieri sparsi per il giorno di San Valentino 2004. Oggi è una giornata inventata dai fabbricanti di cartoline d’auguri per far sentire di merda le persone“.

14 anni fa usciva “Eternal Sunshine of the spotless mind” (in italiano “Se mi lasci ti cancello”) di Michel Gondry, un film destinato a scavare nella coscienza collettiva con i suoi impetuosi vuoti e silenzi, i dialoghi frenetici di una storia d’amore che scuote ancora adesso il pubblico e provoca dibattito.

Diverse volte mi è capitato, negli anni, di ritrovarmi a discutere con chi lo aveva visto.

Alcuni lo criticano, trovandolo eccessivamente cerebrale, altri (che sono i più)  hanno acquistato il DVD e lo conservano come una reliquia nella libreria di casa.

Ad ogni modo, tutti ne parlano.

Eternal Sunshine of the spotless mind, che in italiano si traduce “infinita letizia delle mente candida“, e che adesso è disponibile anche su Netflix, è tratto da un’opera di Alexander Pope, poeta inglese del diciottesimo secolo, citata nel film dall’attrice Kirsten Dunst.

Com’è felice il destino dell’incolpevole vestale                     

Dimentica del mondo, dal mondo dimenticata                           

 Infinita letizia della mente candida                                         

 Accettata ogni preghiera e rinunciato a ogni desiderio“.

Le sacerdotesse della Dea Vesta, come è noto, venivano sottratte alle loro famiglie da ragazzine, ancora vergini (“incolpevoli”), e poi rinchiuse nel tempio della Dea. Caste e vestite di bianco, le Vestali avevano lo scopo di propiziare i sacrifici animali e conservare un focolare eterno.

Tale citazione, evidentemente dal suono amaro, simboleggia il destino infelice degli uomini e delle donne che, lasciati soli nel mondo, sono liberi di amare, ma anche di soffrire (chiaro il collegamento fra perdita della verginità e dolore che ne consegue).

Jim Carrey e Kate Winslet si incontrano su una spiaggia, per caso, lui, introverso e rassegnato, lei, capelli verdognoli ed una felpa arancione, uno spirito libero e tormentato.

Conducono una relazione di due anni che si conclude con l’amarezza, il dolore ed un pugno di ricordi felici.

La loro è una storia solitaria, una prigione d’amore, nella quale convivono due esseri immaturi che si schermano dinanzi al mondo. Sono due gemme separate dalla loro montatura.

Giunti all’epilogo, Joel (Jim Carrey), disperato, contatta una ditta specializzata nel cancellare la memoria con l’intento di rimuovere definitivamente il ricordo di Clementine (Kate Winslet).

Il film procede nei flashback e nelle epifanie della mente del suo protagonista che, con il susseguirsi dei giorni, capisce di non riuscire (o non volere) dimenticare.

Joel non riesce a lasciarsi alle spalle ciò che gli è accaduto e si ciba dei ricordi che s’infiltrano nella sua mente, combattuto nell’idea di preservarli o di abbandonarli per ricominciare da zero.

Per lo speciale di quest’anno, gli autori di Discorsivo hanno deciso di concentrarsi sul tema delle dipendenze.

Facendo parte della redazione cinema era inevitabile che mi soffermassi su un tema generale analizzandolo attraverso lo schermo cinematografico.

Il tema di cui parlerò è in continuità con una delle forme più insidiose di dipendenza: quella dal ricordo di un amore impossibile.

Che esso sia stato vissuto e, dunque, sia terminato (come nel caso di Joel e Clementine), oppure che esso sia rimasto, soltanto, nella prospettiva unilaterale di una persona senza maturare in una relazione stabile, il ricordo di questo sentimento è forse la più inscalfibile fonte di dipendenza della nostra mente.

Che cosa intendo per amore impossibile?

Nella sua prima accezione, mi riferisco a quella storia d’amore che finisce, perché ormai si è divenuti distanti (ammesso che si sia davvero mai stati vicini), ma che non si vuole lasciare andare per paura di rimanere soli.

Questo è l’amore fra Joel e Clementine, che nella sfortuna di ritrovarsi soli, hanno potuto, però, trascorrere del tempo insieme.

Nel suo secondo significato, invece, intendo quel sentimento che nasce in noi spontaneo per una persona che, o non ricambia il nostro amore, oppure non può legarsi per convenzione sociale, famiglia, religione, distanza o semplice gusto.

Ed è questo il sentimento più difficile da affrontare perché si fonda su un’incredibile dose di frustrazione e idealizzazione dell’altra persona.

Spesso questi amori nascono per caso, su una spiaggia (come nel film), in metropolitana, al campo di calcio o in palestra, a scuola o al bar e maturano attraverso il tempo, passando per uno scambio di amicizia fra le due persone.

Ci si frequenta, ci si fida l’uno dell’altro, si diventa amici, anche se uno dei due si avverte in difetto perché dentro prova qualcosa di più forte. E non è difficile riconoscerlo, comprendendo che la persona,  tutto d’improvviso, diviene il principale centro dei nostri interessi.

In questa fase di conoscenza reciproca cominciamo a sperimentare il rovello dell’attrazione sessuale. Matura in noi l’idea del tutto naturale che l’altra persona potrebbe condividere con noi il piacere di scambiarsi il corpo.

Di quest’idea ci saziamo per un po’, finché protraendosi nel nostro silenzio mentale, questa inizia a farci soffrire.

Nel frattempo diverse reazioni possono suscitarsi nella mente altrui: o il nostro oggetto del desiderio si accorge di noi e, dominato da una passione simile, decide di buttarsi, oppure si allontana per paura, forse perché consapevole che quello che prova è diverso.

D’altra parte può benissimo accadere che non si accorga di noi, perché, vinti dal pudore, evitiamo di confessare ciò che proviamo per non correre il rischio di un suo allontanamento. Non sopporteremmo, infatti, di vederlo andare via.

Un’altra ipotesi possibile è che l’altra persona si accorga che noi proviamo qualcosa per lei/lui e, ciononostante, se ne approfitti, fingendo di ignorarlo. E’ il caso del narcisista.

In tutte le ipotesi menzionate, tranne la prima, la nostra storia è destinata a non sbocciare mai del tutto.

L’immagine dell’altro si deposita con insistenza nella nostra mente annidandosi in essa come un cancro, come un’ossessione.

Sono parole forti, me ne rendo conto. Ma non saprei come spiegare diversamente ciò che accade a colui che ama qualcuno che non vuole o non può legarsi.

Certo, si potrebbe dire che la pazienza e la disciplina, per dirla con le parole del grande psichiatra tedesco Erich Fromm (v. “L’arte di amare”, capitolo finale), costituiscano le doti più pregiate per chi vuole imparare l’arte dell’amore.

Ma in realtà io credo che in queste situazioni nella nostra mente accada esattamente il contrario.

Mi sembra, infatti, che a dominarci siano piuttosto l’impazienza e la frustrazione, veicolate dalle infinite opportunità di controllare l’altra persona che, al giorno d’oggi, offrono i social network e le chat del cellulare.

Pensiamo alla decisione impulsiva di Joel che è torturato dal ricordo e decide di sopprimerlo (aiutato dalla tecnologia) con il rischio di “amputare” una delle più belle e sincere esperienze della sua vita.

Se fossimo dominati dalla disillusione e dalla ragionevolezza, comprenderemmo che più il tempo passa senza che l’altro si muova, più è probabile che quest’ultimo non intenda impegnarsi.

Il territorio degli amori impossibili è, infatti, quello dell’inesperienza e dell’impulsività.

Indubbiamente vivere un sentimento così forte ha in sé qualcosa di liberatorio perché ci permette di concentrarci e di dare un senso, un traguardo, alla nostra vita.

Tuttavia, ciò che potenzialmente vive libero e sciolto dalle catene all’interno della nostra mente (ma che è impossibile nella realtà) può finire per incatenarci e farci disimparare ad amare un’altra persona.

Il rischio di ogni grande dipendenza, infatti, è una ricaduta.

Io ci sono cascato nella vita e conosco il dolore che un’esperienza simile può provocare.

Un amore impossibile diventa solitario e immaturo, impedisce di osservare l’altro per ciò è in realtà; provoca l’apatia conseguente alla frustrazione, l’incapacità di far crescere il germoglio nel proprio campo e in quello dell’altro/a.

Ancora più grande è il rischio di scambiare quell’amore per la realtà e considerarlo come l’unico sentimento in grado di appagarci.

Si finirebbe in un circolo vizioso perché correremmo a cercare relazioni del tutto simili, nelle quali il piano della realtà, così come nella prima, sarebbe tragicamente rovesciato.

Nel suo “L’arte di amare”, Fromm critica l’esperienza come forma primaria di apprendimento dell’arte di amare ed esalta, invece, la fermezza, la capacità di scelta individuale (che si sostanzia nel sapere dire di “no”).

Tuttavia, in questi casi, l’esperienza è il punto di partenza del pensiero critico.

Sono d’accordo con lui quando, invece, predica il sapersi amare come l’inizio della maturità sentimentale.

In prima battuta egli sostiene che: “paradossalmente, la capacità di stare soli è la condizione prima per la capacità d’amare“.

In seconda, invece, afferma che: “solo colui che ha fede in se stesso è in grado di essere fedele agli altri”.

Ed in ultimo arriva a concludere che: “Se un individuo è capace di amare in modo produttivo, ama anche se stesso; se può amare solo gli altri, non può amare completamente”.

Se ci si ama per davvero, si capisce che per ricominciare a dare e, dunque per amare di nuovo, è necessario voltare pagina.

Uso l’espressione “voltare pagina” tutt’altro che a caso. Lo faccio perché ritengo che dimenticare un’esperienza simile sia semplicemente impossibile.

Non potremmo strappare le pagine di un tale libro perché sarebbe come imporre un taglio offensivo alla vita stessa. Il ricordo è sempre necessario.

Una buona dose di realtà è, però, così come il ricordo, necessaria alla vita. Forse più che necessaria, direi determinante.

E tutto questo parte dal comprendere che il ricordo, rispetto a un sentimento di questo genere, è troppo spesso frutto del nostro solo artificio. E’ un sogno in cui ci rifugiamo, che non tiene conto di ciò che l’altro vede in noi e che ci fa dimenticare del presente.

Una buona dose di realtà, allora, ci aiuterà a capire chi e cosa, in questo ricordo, non è artificioso e, dunque, debba essere conservato.

Una scena del film Eternal Sunshine of the spotless mind

 

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