Anche voi avete una dipendenza da smartphone?


dipendenze da smartphoneNegli anni ‘90 la parola dipendenza era associata principalmente alla droga. Poi con gli anni si è scoperta e studiata la dipendenza dal sesso, la ludopatia e con l’arrivo delle nuove tecnologie sono nate la dipendenza da social, da acquisti on-line, e la dipendenza da smartphone.

Questa foto pubblicata nel 2013 da Repubblica racconta magistralmente l’evolversi dello zeitgeist di questa era smartphone dove in soli 8 anni il cellulare è diventato il vero protagonista delle nostre vite.

Quando l’abitudine diventa dipendenza?

Per rispondere a questa domanda mi sono informato leggendo alcuni articoli a riguardo e seguendo il suggerimento di uno di questi ho deciso di condurre un piccolo esperimento. Ho installato sul mio cellulare delle applicazioni che monitorano quante volte al giorno viene sbloccato il telefono, i minuti passati su ogni applicazione e i progressi fatti.

Dopo circa un mese questi i risultati:

In media passo 2 ore e mezza al giorno al telefono, sbloccandolo circa 160 volte al giorno (considerando che dormo 7 ore sono circa 9 volte all’ora, in media ogni 7 minuti). In una settimana sono circa quattro le ore passate su app di dating, due ore su Facebook, due su WhatsApp, una su Instagram e una e mezza su Youtube. Per non parlare dell’accesso ai social attraverso il computer, che qui non è contemplato.

Se moltiplichiamo questi dati per un utilizzo mensile abbiamo che 75 ore del mio tempo lo passo chino su uno schermo da 6 pollici. Sono 3 giorni al mese, il 10% della mia vita.

Ne ero “inconsciamente” consapevole, ma con le cifre nero su bianco era palese la presenza di una dipendenza da smartphone.

Inizialmente pensavo che fosse una cosa innocua: uso il telefono quando sono sulla metro, quando aspetto il bus, in fila al supermercato, in bagno, oppure durante la pausa pranzo. Nei tempi morti insomma. Ma poi ho constatato che interrompo spesso il lavoro per dare un occhio alle notifiche, oppure quando sono con gli amici, o quando sono in palestra, o appena sveglio la mattina. E se lo dimentico da qualche parte o sono in riunione con i clienti sento l’impulso di trovarlo, guardare se sia successo qualcosa. Come fosse una schiavitù.

L’uso del cellulare nei contesti sociali

Sicuramente ognuno di noi avrà notato con più o meno fastidio quanto nei contesti sociali l’attenzione per lo smartphone sia maniacale, ma rimane comunque tollerata perché ritenuta un segnale dei tempi. Ma se cambiassimo punto di vista? 

Se qualcuno mentre mangiamo si mettesse a scrivere una lettera con una macchina da scrivere non lo prenderemmo per pazzo? Ma quando usiamo il cellulare a tavola non facciamo, in fondo, lo stesso?

Gli stessi social network stanno correndo ai ripari introducendo degli strumenti che avvisano l’utente quando ha già controllato tutti i post apparsi sul feed di FB o Instagram negli ultimi due giorni e smorzando l’imperativo della connessione sempre e ovunque. L’efficacia  di un contacalorie digitale come le app sopra citate non è per ora comprovata, ma il segnale lanciato non è da sottovalutare: la dipendenza da smartphone esiste. 

Siamo tutti potenzialmente a rischio di sviluppo dipendenza da smartphone

Il secondo step è stato quello di cercare una ragione a questa dipendenza e ho analizzato due tra le cause che mi sembrano più interessanti: una sociale e una neurologica.

La prima è quella che il fumettista Zerocalcare ha magistralmente raccontato in uno dei suo fumetti dal titolo il demone della reperibilità. Non vi arrabbiate anche voi quando al primo squillo di telefono o 5 minuti dopo il primo WhatsApp non vi rispondono? A nostra volta ci sentiamo in dovere di essere sempre reperibili, H24, in maniera veloce ed efficiente. Questo porta alla paranoia di aver perso una chiamata, un messaggio, una mail. Il nostro ego se ne nutre parecchio: siamo importanti per qualcuno in quel momento [soprattutto per la mamma che ti aspetta per tirarti una ciabatta quando torni tardi dalla discoteca e non rispondi al cellulare.]

La seconda motivazione risiede nella fisiologia del nostro cervello: la tecnologia è infatti psicoattiva. Come tutte le droghe altera l’umore, scatena sensazioni piacevoli e il cervello ne va continuamente in cerca obbedendo alla logica di quello che si chiama schema di rinforzo intermittente.

Consideriamo una notifica (un like su Facebook o su Instagram, un Whatsapp della persona che ci piace, una mail che porta buone notizie, un video Youtube del nostro canale preferito) come un premio (rinforzo) che nutre di dopamina il cervello. Non sapendo quando riceveremo il successivo rinforzo tendiamo a cercarlo sbloccando lo smartphone a nastro e controllando le notifiche, delle quali circa il 90% è inutile. La stessa dinamica è applicabile al gioco d’azzardo: non sappiamo se e quando vinceremo, per questo giochiamo tutti i giorni.

Smettere si può?

Ho promesso a me stesso che dopo questo articolo cercherò di tenere sotto controllo la mia dipendenza soprattutto perché invidio tanto chi riesce a star bene senza avere il cellulare attaccato alle mani tutto il tempo. Quindi uscirò a fare una passeggiata cercando di scordarmi il cellulare a casa e se, dopo questa la lettura, anche voi sentite di esserne un pochino dipendente potreste decidere di usarlo meno. Smettere in fondo si può!

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