L’ultima parola del dizionario


imagesIl dizionario della lingua italiana, che troneggia da sempre sulle scrivanie di tutti gli studenti, con aria autorevole e tradizionale, a discapito delle apparenze è uno dei testimoni più accreditati nel raccontare come una lingua, quindi una società e un Paese, cambino nel corso del tempo.

Non ci credete? Fate questa semplice prova: confrontate un dizionario di oggi con uno dei vostri genitori. Scoprirete una realtà sconcertante: zuzzurullone (zuzzerellone o zuzzurellone che dir si voglia) non è più l’ultima parola del vocabolario.

Il primato di zuzzurullone era stato certificato nel 1988 dagli autori della prima edizione del DIR (Dizionario italiano ragionato): «Voce che pare nata apposta per concludere a sorpresa i lemmi del tutto italiani del dizionario». Nel 1994, però, il quarto volume della prima edizione del Vocabolario della Lingua Italiana della Treccani spodesta zuzzurullone dall’ultima posizione, facendolo seguire da altre tre voci: zwingliano, zygion e zzz. In dieci anni, il caro vecchio zuzzurullone viene superato da sempre nuovi lemmi: nello Zingarelli 2008, le voci che seguono a zuzzurullone sono cinque; il Grande Dizionario Italiano dell’Uso diretto da Tullio De Mauro, con un lemmario più esteso dei dizionari monovolume, disponi ben 15 lemmi dopo zuzzurullone. [1]

Zuzzurullone, forse il più simpatico tra i lemmi del nostro vocabolario, è il perfetto testimone di come si stia evolvendo la lingua dello Stivale.
Si sa, la lingua è mutevole e plasmabile per sua stessa natura e vocazione: sempre in divenire, è un’eredità che riceviamo dai nostri predecessori e che consegneremo ai nostri figli e nipoti; muta con le generazioni, in quanto gli argomenti si avvicendano, le esigenze del comunicare mutano, i mezzi evolvono. Ad esempio, il periodo storico attuale detiene il primato di quanto scriviamo; ma quantità non presuppone qualità: la lingua sta rispecchiando proprio questo. Italo Calvino sosteneva che la lingua parlata è sgraziata; preferiva esprimersi per iscritto, per evitare di apparire vago, impreciso, superficiale, inappropriato, per sfuggire alle ripetizioni e ai modi di dire tipici del linguaggio parlato. Sarebbe interessante sapere cosa ne pensa ora che i ruoli sembrano essersi riequilibrati, e il divario tra lingua parlata e scritta non rispecchia più le posizioni di ineleganza e grazia da lui delineate. [2]

Per capire come siamo giunti fin qui, bisogna fare un passo indietro: nel secolo scorso, la rivoluzione informatica da una parte, e la nascita dell’Unione Europea dall’altra, hanno costituito due enormi motori di sviluppo e contaminazione delle lingue.
Ormai è raro che un cittadino europeo parli solo la propria lingua natia: ogni lingua è utente di una più ampia biblioteca universale, dalla quale attinge, fino a masticare e digerire vocaboli stranieri.
Il prendere in prestito è sempre stata pratica comune a conquistatori e sottomessi, e l’odierna facilità di traffici e spostamenti sta enormemente aumentando la velocità del processo di prestito ed esportazione. [3] Allora, come preservare la propria lingua da questa inevitabile standardizzazione globale, dove l’inglese la fa da padrone? Una lingua è preservabile o si autoregola? Ha senso voler frenare l’evoluzione della lingua se effettivamente la società si sta amalgamando in un miscuglio universale?
Questi temi altro non sono che una continua ricerca della conferma della propria identità di nazione e di popolo.

Ma il rischio reale che corre la lingua italiana, secondo il linguista Massimo Arcangeli, non è quello di vedere sfoltite le sue parole storiche, bensì di vederle semplificate«Penso che il problema più grave sia il fatto che le parole di uso comune vengono usate in modo così semplificato da farci perdere la percezione della stratificazione dei significati, fondamentale per comprendere e usare correttamente la nostra lingua. […]. Gli slogan – che ora sembrano andare per la maggiore – congelano le espressioni in una contrapposizione feroce, che riduce a nulla il senso concettuale e lo spessore storico-culturale di ogni parola».[4]

Perciò, tornando a zuzzurullone, sia mai che venga sostituito da buffone o burlone: «l’immagine che dà (zuzzurellone) è vivida: colui che, nonostante l’età, mostra, in bene e in male, la spensieratezza e l’inclinazione allo scherzo del bambino».[5]

Al momento, pare che l’ultimo lemma nel dizionario sia zzz ed è difficile immaginare che possa essere rimpiazzata da qualche nuova voce. Se non aliena. [1]

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Fonti:

[1] Treccani.it

[2] Cafebabel.it: In poche parole, diciamo così: brutture linguistiche in Europa

[3] Cafebabel.it: Traffico di parole: da “adagio” a “cul-de-sac”

[4] Repubblica.it: Il nuovo italiano, da scrauso a cloud, così si evolve la lingua comune

[5] Una parola al giorno: zuzzurellone

2 Commenti

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  1. Giovanni

    Bell’articolo. La problematica che esprimi la sento “urgente” anche io, come nel mio articolo, soprattutto nei tuoi ultimi paragrafi.
    Dio salvi “zuzzurellone”! 😉

    • Andrea Trioni

      Grazie Giovanni. Il problema della semplificazione è molto subdolo e non va sottovalutato. Il rischio concreto è quello di svendere una parte importante della nostra cultura ignorando a cosa ci porterà.
      Seguendo la tua invocazione, rincaro: “Zuzzurellone” for president!

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