Claudio Lolli, l’Italicus e la (ritrovata) crucialità della Piazza


C’è un album, nella discografia di Claudio Lolli, in cui il cantautore bolognese riesce a trovare un equilibrio perfetto tra poesia, rinnovamento stilistico, coinvolgimento emotivo e impegno politico. Si chiama ‘Ho visto anche degli zingari felici’ ed è l’album che segna il successo dell’artista. È il 1976. Lolli ha ventisei anni ed è al suo quarto lavoro. In precedenza c’erano stati ‘Aspettando Godot’, ‘Un uomo in crisi. Canzoni di morte. Canzoni di vita’ e ‘Canzoni di Rabbia’, tutti editi da EMI-Columbia.

Molto diverso dai precedenti lavori, ‘Ho visto anche degli zingari felici’ nasce come ballata lunga nel giugno del 1975, con l’obiettivo di adeguare il tradizionale stile lolliano alla nuova (difficile) situazione politica italiana. Così, se dal punto di vista musicale si registra un approdo alle sonorità jazz, con il ricorso frequente ad assoli di sax (sia tenore che contralto, entrambi suonati da Danilo Tomasetta), sul versante dei testi, l’attenzione si focalizza sulla rinnovata crucialità della piazza, e nel caso specifico di Piazza Maggiore a Bologna, tornata ad essere una “potente spinta al concreto operare politico, un nuovo ritrovarsi insieme in modo non artificioso né frustrante”.

Da sempre, Piazza Maggiore rappresenta il cuore pulsante di Bologna, simbolo stesso della vitalità politica, economica e culturale della città. Teatro silenzioso di assemblee, manifestazioni e scontri, FLX0142ala piazza ha visto sfilare i carri armati americani (ne rimane traccia in alcuni danneggiamenti della parte est del crescentone), ha sentito riecheggiare gli slogan di studenti e operai, ha assorbito gli spari, le urla e, spesso, le lacrime. Ma è proprio tra la metà degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta – il periodo delle stragi, delle contestazioni, la coda impazzita degli anni di piombo – che la Piazza torna ed essere protagonista, estensione e rappresentazione della società stessa o – per usare le parole dello stesso Lolli – “spazio aperto, politico, che rompe i contorni di isolamento che il riflusso degli ultimi anni aveva in parte ricreato”.

Tra storie private, storie di morte e sintesi di esperienze vissute (ma sempre improntate sul rapporto tra “la storia propria e quella della piazza”), e sullo sfondo delle elezioni del giugno 1975 (le stesse che conclamarono le difficoltà della DC e la rimonta del PCI), l’album di Lolli richiama alla memoria l’attentato dell’Italicus del 4 agosto 1974. Su quel treno rimasero uccise dodici persone, dilaniate da una bomba esplosa nella carrozza 5 all’1.23 (subito rivendicata dall’organizzazione Ordine Nero). Si può dire che ‘Ho visto anche degli zingari felici’ nasce soprattutto in relazione a quel dramma, tant’è che Lolli vi dedica esplicitamente due delle otto canzoni del disco: Agosto’ e ‘Piazza bella piazza’.

La prima, scritta d’impulso, evoca immagini drammatiche, il boato della tragedia, l’odore del massacro. Si rammarica del fatto che nulla sia cambiato da quel dicembre del 1969, quando Giuseppe Pinelli, ferroviere, precipitava dal quarto piano della questura di Milano. Pinelli è saltato dalla finestra. L’Italicus è saltato per aria. L’Italia, con l’Italicus, è rimasta dov’era dieci anni prima: in guerra. Ma è con la seconda traccia che Lolli coniuga l’attenzione per il dramma al tema portante dell’album: ‘Piazza, bella piazza’ è un grido di dolore, ma anche di ribellione. Una ribellione contro la presenza dello Stato – identificato nelle figure dell’allora sindaco di Bologna Renato Zangheri, del Presidente della Repubblica Giovanni Leone, e del segretario della DC Amintore Fanfani – ai funerali di dieci delle dodici vittime della strage, tenutisi sul sagrato della chiesa di San Petronio.

Titolo e testo della canzone, oltre a evocare il luogo in cui i funerali si svolsero, riprendono una vecchia filastrocca toscana. La madre di Claudio Lolli era originaria di Grosseto. Da quelle parti, gli anziani usavano ripetere una breve storiella intitolata per l’appunto ‘Piazza, bella piazza’. Come ogni filastrocca, anche di questa ne esistono svariate versioni. La più accreditata, tuttavia, è la seguente: Piazza, bella piazza / ci passò una lepre pazza: / il pollice la vide / l’indice l’uccise / il medio la scorticò / l’anulare la cucinò / e il mignolino se la mangiò.

È proprio questa versione che Lolli riprende per raccontare quel momento, quei volti impettiti e impenetrabili schierati di fronte alle dieci bare, e dietro di loro un’intera città, dapprima silenziosa, incerta sul da farsi, poi infuriata, che subissa quegli uomini di fischi e improperi. Un atteggiamento inusuale, per un funerale. Ma la piazza era stanca (“solo fischi per quei maiali / siamo stanchi di ritrovarci / solamente a dei funerali”). E con quei fischi, i 150.000 presenti manifestavano il dissenso, ma anche la forza, l’energia. Negli occhi di tutti, tuttavia, c’era una sola grande preoccupazione: “come farlo capire ai morti”. Nella prova di forza, c’era una sola grande contraddizione:  “quella fila, quei dieci morti”.

‘Ho visto anche degli zingari felici’ rimane probabilmente il migliore album di Claudio Lolli. Sicuramente è il più coraggioso, il più impegnato, il più colmo di rabbia. La stessa rabbia che il suo ascolto continua a suscitare oggi, a quasi quarant’anni dall’uscita, con la strage dell’Italicus ancora senza colpevoli.

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