Lotta contro il tempo per fermare gli ogm: la petizione online


Poche settimane ancora, e il rischio di una contaminazione si sarà fatto concreto. Il periodo della semina è arrivato, e puntuale si rinnova la battaglia contro l’utilizzo di sementi geneticamente modificate. A guidare la lotta è la Fondazione Diritti Genetici presieduta da Mario Capanna, che nelle scorse settimane ha lanciato una petizione attraverso il sito Change.org per chiedere agli ormai ex Ministri dell’Ambiente Corrado Clini, della Salute Renato Balduzzi e dell’Agricoltura Mario Catania di intervenire con misure adeguate ad arginare quanto più possibile il pericolo di una diffusione incontrollata degli ogm, che metterebbe a repentaglio tanto la biodiversità quanto la straordinaria qualità dei prodotti della nostra agricoltura.

La soluzione proposta dalla Fondazione Diritti Genetici – come bene spiega un lungo articolo pubblicato nei giorni scorsi su Repubblica.it – è quella della cosiddetta “Clausola di salvaguardia”: i promotori della petizione chiedono al governo di inoltrare alla Commissione Europea una notifica formale di avvenuta adozione della clausola, che consente, nei trattati di commerciali internazionali, di applicare su alcuni specifici prodotti ritenuti, ad esempio, pericolosi per la salute, un tariffario tale da renderne poco conveniente l’importazione. Tasse più alte, insomma, per scoraggiare gli agricoltori italiani a utilizzare semi ogm in luogo di quelli tradizionali.

La Fondazione Diritti Genetici non è sola in questa battaglia. Al suo fianco, oltre alle associazioni ambientaliste, si sono schierate anche Coldiretti e Cia, due tra le principali associazioni degli agricoltori del nostro Paese, che a più riprese negli ultimi anni si sono espresse contro l’adozione di colture ogm, forti anche dei risultati di una serie di indagini dalle quali emerge un generale atteggiamento di ostilità da parte dei consumatori nei confronti degli alimenti biotech, l’ultima delle quali – condotta l’estate scorsa da Coldiretti e Swg – ha evidenziato come sette italiani su dieci si dicano convinti che tali cibi siano meno salutari rispetto a quelli tradizionali.

La petizione vuole essere una risposta decisa ai proclami del Movimento Libertario, che nel settembre 2012 comunicò di avere importato 52mila sacchi di Mon810, mais geneticamente modificato prodotto dalla statunitense Monsanto, pronti per essere piantati in occasione della semina primaverile. Gli argomenti del Movimento a favore delle sementi biotech non sono nuovi: assenza di reali pericoli per la salute umana, diminuzione dei costi a carico degli agricoltori per pesticidi e diserbanti, rese per ettaro migliori, possibilità di ottenere colture adatte a climi estremi e quindi facilmente esportabili in zone del pianeta in cui le sementi tradizionali non sono in grado di fruttificare.

Un argomento, quest’ultimo, che alcune cifre sembrerebbero smentire. Commentando l’ultima edizione del Rapporto globale sullo stato della commercializzazione delle colture biotech/Ogm, redatto annualmente dal Servizio Internazionale per l’Acquisizione delle Applicazioni nelle biotecnologie per l’Agricoltura (Isaaa), Elisa Bianco del Centro Studi di Slow Food ha posto l’attenzione su un dato in particolare: dei 28 Stati nei quali è consentita la messa a coltura di varietà geneticamente modificate «20 sono Paesi in via di sviluppo e 8 sono Paesi industrializzati; per la prima volta, inoltre, il 2012 ha visto crescere la superficie coltivata a ogm più nei primi che nei secondi».

Nella propria analisi la Bianco invita tuttavia a interpretare con cautela queste cifre. Se di per sé questo dato, come sostiene lo stesso Isaaa, può essere considerato la dimostrazione che gli ogm stiano in qualche modo aiutando a risolvere e affrontare il problema della fame e della sottonutrizione, «qualche dubbio permane. Ad esempio rimane il fatto che gli ogm non hanno al loro attivo uno storico sufficiente per poter dire se hanno risolto o meno la questione della fame nel mondo. Il primo ogm, infatti, fu messo in commercio nel 1996 e da allora la superficie mondiale deputata alla loro coltivazione è aumentata, al contrario il numero di persone che soffrono la fame non è sceso di pari passo: se in questi 17 anni non hanno rappresentato l’ago della bilancia nell’affrontare il problema, cosa può far pensare che lo faranno nei prossimi anni?».

Un dubbio cui si somma la crescente preoccupazione per i potenziali effetti nocivi delle colture biotech. Lo scorso 14 aprile il ministro tedesco dell’Agricoltura Ilse Aigner ha annunciato la messa al bando della coltivazione del mais Mon810, la sola coltura geneticamente modificata di cui è consentita la produzione e la distribuzione sul territorio dell’Unione Europea. La Germania si accoda così all’elenco dei Paesi che negli ultimi anni hanno detto no agli ogm: avevano infatti già chiuso la porta a Monsanto e agli altri colossi del biotech Francia, Austria, Grecia, Ungheria e Lussemburgo.

E l’Italia? All’inizio di aprile il Ministero della Salute ha accolto sollecitazioni dell’allora Ministro dell’Agricoltura Mario Catania, sotto forma di un «dossier predisposto dal Consiglio per la Ricerca e la sperimentazione in Agricoltura (Cra), chiedendo alla Commissione europea la sospensione d’urgenza dell’autorizzazione alla messa in coltura di sementi di mais Mon810 in Italia e nel resto dell’Unione Europea». Una mobilitazione che, tuttavia, rischia di restare inascoltata dal momento che – come riporta il magazine online Il Cambiamento – «l’ultima valutazione risale a un anno fa e non ha convinto l’Efsa a retrocedere sul mais transgenico».

Di qui la richiesta, da parte dei promotori della petizione, dell’applicazione della “clausola di salvaguardia”, il solo strumento in grado di bloccare la coltivazione degli ogm prima della fioritura del mais: eventualità, quest’ultima, che esporrebbe le nostre campagne al rischio di una mescolanza incontrollata tra specie geneticamente modificate e specie tradizionali, favorita dal trasporto dei pollini da parte di insetti e agenti atmosferici. Con la probabilità, ogni giorno crescente, di assistere a episodi come quello verificatosi lo scorso anno a Vivaro, in Provincia di Pordenone, quando un gruppo di attivisti anti-ogm si mobilitò dapprima con richieste formali e poi, di fronte all’inazione delle istituzioni, con i fatti, intervenendo a distruggere un campo coltivato illegalmente con mais transgenico a ridosso di campi coltivati con semi tradizionali, suscitando aspre polemiche a livello politico e un ampio dibattito in seno alla società civile.

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