Rappresentanza non è rappresentatività: perché i politici devono essere migliori



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«Il Parlamento deve essere la rappresentazione mediana del popolo che rappresenta. Perché dovrebbe essere migliore?». Così Piero Longo, senatore del PdL alle telecamere di Report, in una puntata andata in onda lo scorso settembre. Occorre ammettere che è facile cadere preda del cinismo più efferato e pensare che «in fondo abbiamo la classe politica che meritiamo. Li abbiamo votati e sono decenni che permettiamo loro di fare ciò che vogliono».

In realtà l’affermazione di Longo segnala che nella gestione della cosa pubblica abbiamo finito per dimenticare un concetto considerato per sottinteso, che persino la Costituzione assume come ovvio prerequisito: il concetto secondo cui, in una democrazia rappresentativa, la responsabilità di legiferare e gestire lo Stato sia delegata a persone degne di tale onere. Questo concetto confluisce nel concetto di rappresentanza, articolato e complesso, che è stato sviluppato per garantire un’equa possibilità a qualunque cittadino il diritto di poter essere eletto (Art. 51 della Costituzione). Non sono presenti, invece, riferimenti alle qualità che un politico dovrebbe avere. Si dà per scontato che i cittadini cerchino di eleggere il più meritevole fra i candidati a rappresentarli: Joseph Schumpeter esprimeva questo concetto proprio in Teoria dello Sviluppo economico (1911), segnalando come le elezioni fossero fondamenti istitutori di un mercato elettorale in cui vinca il più competitivo. In altre parole: le elezioni sono un processo meritocratico determinato dalla volontà popolare.

I rischi a cui è sottoposto questo processo sono legati alla capacità di condizionare gli strumenti di comunicazione di massa e di propaganda, così che nella maggioranza dei paesi democratici sono state fissate delle regole per evitare che i politici influenzino i media. Quindi se in un paese viene garantita l’indipendenza dei sistemi di comunicazione dagli interessi politici, si può confidare che i cittadini scelgano i più adatti a rappresentarli. Ma sceglieranno i più adatti a rappresentare i loro vizi e le loro virtù o i più adatti a ricoprire un ruolo gestionale, legislativo e di rapporti internazionali? Intuitivamente viene da pensare che così come cerchiamo i migliori dottori quando dobbiamo essere curati e i migliori insegnanti quando dobbiamo imparare, allo stesso modo cerchiamo le persone che riteniamo più meritevoli e competenti per la gestione della collettività.

L’affermazione di Longo invece lascia intendere una propensione alla prima opzione, con l’intento di rappresentare tutte le parti, forse in nome del principio di tutela delle minoranze. La rappresentatività è un’idea di rappresentanza che non esclude l’eventualità di eleggere un cittadino in rappresentanza di una categoria di persone che abbiano l’intento, implicito o meno, di ledere gli interessi della collettività o di limitare l’ordinamento democratico. Cosa impedisce che si formi un partito con l’implicito intento di tutelare gli evasori fiscali o le associazioni mafiose? Cosa impedisce che l’antipolitica mini le fondamenta dei processi democratici?

La pesante insicurezza circa le competenze e la moralità della classe politica ha persino portato a porsi la domanda inversa. Davide Vecchi qualche settimana fa sul Fatto Quotidiano si interroga: gli italiani sono migliori dei politici che votano? Senza entrare nel merito della questione, occorre tenere presente che la corruzione che larga parte dell’opinione pubblica attribuisce alla classe politica prefigura un rapido e inesorabile disfacimento dell’ordine democratico.

Occorre essere consapevoli dei rischi legati all’idea che il Parlamento sia un campione rappresentativo della popolazione italiana (rappresentatività) perché ciò potrebbe essere attribuito da un fallimento del processo elettorale. Gli elettori di qualsiasi schieramento hanno il dovere di scegliere le persone più meritevoli a rappresentarli e non di accontentarsi a indicare “il meno peggio”. L’impossibilità di eleggere i migliori si realizza quando gli elettori concedono il proprio voto in cambio di un tornaconto personale (il voto di scambio è un pericolo consistente in Italia) o quando i meno adatti si dimostrano più convincenti dei loro concorrenti, data, ad esempio, l’influenza che hanno sui mezzi di comunicazione. Ogni governo che si professi democratico ha il dovere di contrastare questi fenomeni, che minano le fondamenta della partecipazione democratica.

Un’ultima banalità da non trascurare: è impossibile eleggere i cittadini più meritevoli se questi non si candidano. Tutti i cittadini hanno il dovere di contribuire attivamente alla vita sociale e decisionale delle proprie comunità, riconoscendo che ci sono dei doveri che non si possono delegare. Primo su tutti, il dovere degli elettori di segnalare i candidati più meritevoli, unico modo per garantire le condizioni nelle quali la rappresentanza possa operare nell’interesse del paese meglio di quanto possa fare un collegio composto “dalla mediana della popolazione che rappresenta”.

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