Il conte di Tocqueville e i costumi della nazione americana


La sorte volle che Alexis, futuro conte di Tocqueville (casato d’antica nobiltà normanna) abbia vissuto in circostanze assai difficili sin dalla propria giovinezza: nasceva di stirpe nobile all’alba di un tempo nuovo in cui la propria nazione si preparava ad una lenta ma percettibile decadenza, perdendo il suo antico ruolo egemone che ancora Napoleone tentò di rilanciare. La Francia era in quel tempo stremata dagli eventi che avevano anticipato e seguito lo scoppio della rivoluzione del 1789, evento di grande portata, che aveva spezzato i vincoli più fondamentali che reggevano da tempo innumerevole quella nazione, con un susseguirsi di lotte senza quartiere e campagne di terrore guidate dai cosiddetti capitani del popolo, per poi finire nelle mani di un novello imperator, brillante quanto superbo. Si era infine giunti alla restaurazione, che si presentava come un fragile compromesso fra ciò che la Francia era stata prima e dopo la rivoluzione.

Ma anche in questi eventi Tocqueville avvertiva il segno più generale dei tempi, che avrebbe colto in modo ben più limpido nel suo viaggio in America. Ogni particolarità personale, familiare, regionale andava soccombendo sotto un onda irrefrenabile ma crudele, quella dell’uguaglianza delle condizioni, che nel futuro sarebbe stata “signora del mondo”. Per questo era anche vana l’opposizione della nobiltà, cui lui pure apparteneva, che rivendicava titoli che oramai chiunque considerava spezzati. Che fare dunque? Tocqueville decide di rinunciare presto l’impegno politico al quale pure era chiamato per nascita, diffidando presto delle sorti di quel nuovo tentativo parlamentare, e coglie l’occasione utile per partire ed allontanarsi. Parte per l’America al fine di svolgere un incarico assegnato dal parlamento a lui e all’amico Gustave de Beaumont: uno studio del sistema penitenziario nella nuova repubblica americana. Sbarcano in America per la prima volta il 10 Maggio 1831, a New York.

Alexis, che a questo punto ha 26 anni, si trova di fronte una terra e uno stato assai differenti dai loro corrispettivi europei. In America trova un immenso territorio ancora vergine, selvaggio e aspro ma ricco di ogni bene, e un popolo che nelle proprie abitudini ha già affermata profondamente l’uguaglianza delle condizioni, al pari della libertà. Quegli uomini che gli europei non possono che giudicare rozzi, ma fieri e uguali fra loro lo colpirono profondamente, e man mano che vagava qua e là, comprese come la rappresentazione dei resoconti e degli studi tanto amati in Francia, che dipingevano una sorta di ‘Francia democratica d’oltremare’ fallivano del tutto nel tentativo di riportare cosa fosse davvero la vita degli americani, le loro abitudini, le vicende che li coinvolgevano. Al suo ritorno giunge alla decisione di scrivere il primo libro di quella grande opera che è La democrazia in America, per esplicitare i frutti delle sue ricerche e riflessioni, opera che completerà solo nel corso di molti anni.

In quest’opera Tocqueville, tra i molti aspetti trattati, si sofferma ripetutamente sugli uomini che fondarono per primi le comunità della Nuova Inghilterra. Era infatti assai convinto che vi fosse un aspetto umano profondo che aveva concesso a quel popolo un tale destino, e considerava tale aspetto fondamentale i costumi, attribuendo a tale parola significato simile a quelli che i latini indicavano come i mores. Gli americani, osservava, erano profondamente cristiani, di confessione calvinista, e più generalmente in abbondanza protestanti. Costoro, già in questi insegnamenti e poi nelle circostanze che li portarono ad abitare in quelle terre (ricominciando una vita in territori privi di un qualsiasi ordine o tradizione) ebbero in dono il seme di quella uguaglianza autarchica tra pari che vigeva ancora tra loro e che permise dopo contrastate vicende di instaurare la prima democrazia rappresentativa della storia su un vasto territorio (che già allora copriva più di un terzo dell’America dei giorni nostri). Così, per la stessa ragione, la religione cristiana presso di loro ebbe sin dall’inizio quel ruolo politico che le spetta, di vincolo profondo e trascendente tra gli uomini, senza tuttavia mai possedere in quanto istituzione beni e privilegi.

Proprio perché abituati dalla natura dei luoghi e dalla propria propensione ad affaticarsi costantemente nella lotta con le asperità per ottenere conforto e ricchezza, essi erano ben affezionati alla libertà particolare che possedevano, e all’importanza dell’opera individuale nella decisione del destino comune, così difficilmente accettavano che, in un tale regime ‘selvaggio’ vi fosse una cessione di sovranità ad un unico governo centrale dell’intera federazione. Questo, osserva Tocqueville, è uno dei caratteri fondamentali che ha costituito i costumi come le leggi americane, in ogni loro aspetto (ce ne sarebbero in realtà molti altri, ma non c’è chiaramente spazio per introdurli tutti): la libertà e l’indipendenza. Essi infatti anche sotto l’aspetto propriamente amministrativo attribuivano sin dalle origini una primaria importanza all’amministrazione dei comuni, e quindi delle circoscrizioni più vaste che erano i singoli stati, piuttosto che del governo centrale, il quale deteneva una forte autorità su certe questioni (la difesa e le questioni internazionali soprattutto), essendo invece molto debole su altre che concernevano la regolamentazione e l’amministrazione interna delle varie regioni. Queste leggi, e i sottostanti costumi, detti individualistici, gli americani li portavano già allora con fierezza di fronte agli stranieri, li contraddistinguevano come singoli e insieme li univano più profondamente di ogni costituzione. La democrazia in America infatti si conservava  per la tendenza viva dei suoi partecipanti e dei loro particolari interessi a contrastare in ogni modo la corruzione e l’accumulo eccessivo di possedimenti e di potere che vigeva in Europa, anche tramite il conferimento di grande autorità e possibilità di veto all’elite dei giudici (che come dice Tocqueville “posseggono parte dei gusti e delle abitudini dell’artistocrazia”), necessario contraltare dell’animosità della sovranità democratica e guardiani dell’ordine e della libertà.

Nelle leggi e nelle regole, persino in quelle attinenti le questioni più particolari, Tocqueville vede la comune radice dei costumi dei padri pellegrini, costumi che avrebbero fatto grande quel popolo, al punto che, Tocqueville presagiva, presto l’America e non più l’Europa frammentata in modeste nazioni di antiche e sofferte tradizioni, si sarebbe affermata come potenza egemone di equilibri immensi fra nazioni (insieme alla Russia, altra grande nazione emergente). Non erano (e non sono) infatti norme e decreti di per sé, per quanto raffinati, a poter dirigere astrattamente le sorti di un popolo, poiché esso si trova già dalla nascita nel solco del proprio costume, o se vogliamo dire diversamente, del proprio modo di vivere:

L’uomo nasce; i suoi primi anni passano ignorati nei piaceri o nei lavori dell’infanzia; quindi cresce, comincia la virilità; infine le porte del mondo si aprono per riceverlo, ed egli entra in contatto coi suoi simili. Solo allora  si comincia a studiarlo e si crede di veder formarsi in lui i germi dei vizi e delle virtù dell’età matura. Questo, se non mi sbaglio, è un grande errore. Risalite indietro, esaminate il fanciullo quando è nelle braccia materne; […] L’uomo è per così dire tutto intero nelle fasce. Qualcosa di analogo avviene per le nazioni. I popoli risentono sempre della loro origine. Le circostanze che ne hanno accompagnato la nascita e lo sviluppo influiscono su tutto il resto della loro storia.” (Democrazia in America, libro I, capitolo secondo)


Sembra difficile distinguere in quel fiero popolo calvinista l’America attuale, e poter incontrare un novello Washington fra i candidati odierni. Certo l’America è oggi assai diversa ma le tesi di fondo dell’opera di Tocqueville sono ampiamente riconoscibili nella sua sorte, specie per quanto riguarda le acute osservazioni sul destino della democrazia di massa (o oclocrazia) che avrebbe fatalmente coinvolto anche gli Stati Uniti stessi, e anzi loro per primi e nel modo più violento. Se questa forma nuova, prossima alla senescenza, che gli Stati Uniti hanno assunto oggi sia una completa degenerazione di quel robusto adolescente che si affacciava allora al mondo, ai posteri l’ardua sentenza, non lo si può dire certo in un articoletto. Nella democrazia in America si può certo trovare un’ottima via per rispondere a questa ostica domanda, ed è: conoscere, per quanto possibile ad un uomo, quel bambino in fasce che furono i pellegrini inglesi in fuga dall’Europa, i primi coloni, e i loro costumi e vincoli, per seguirlo nella crescita lungo questo solco, e infine riconoscere quel signore un po’ attempato che oggi è ancora il primo fra le nazioni del mondo, comprendendo quanto abbia compiuto il frutto della propria grandezza.

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