Entriamo nel merito


Parlando di meritocrazia si pensa sempre a un luogo altro rispetto all’Italia. Gli Stati Uniti, per esempio, ma anche il nord Europa, o l’Oceania.

Sempre più spesso questi luoghi diventano meta di chi, non solo giovane, vuole provare a farcela o a riscattarsi. O meglio, tornano a essere un’ambita destinazione, come accadeva in un passato non troppo lontano ma di cui ci si era voluti dimenticare nel clima euforico della belle époque pre-crisi.

Sulla rete si trovano tante testimonianze di chi è riuscito; validi esempi sono il sito voglioviverecosì.com o il programma radiofonico Mordere il mondo di Radio Radicale. Inizia inoltre a esistere un dibattito interno, tutto italiano, impostato soprattutto dal Forum della meritocrazia fondato dall’ing. Arturo Artom, fondatore e presidente di Netsystem, che nella prima riga dei suoi obiettivi dice: «Il Merito è il propulsore di una società che vince le sfide del suo tempo». Meritocrazia figlia della visione liberale, che dà ai migliori le migliori opportunità.

Un liberalismo che in Italia non è mai arrivato alle vie di fatto, come dimostra l’idea diffusa delle poche opportunità per promuovere se stessi e le proprie idee; un liberalismo soffocato da una visione paternalistica di welfare e dalla partitocrazia che vuole spartirsi la torta e che, fino a prima di tangentopoli, in un certo senso aveva ancora una presenza sul territorio, almeno per quanto riguarda i tesseramenti. Ora tutto questo è finito, eppure la struttura dei partiti resta, con pochi iscritti sul totale della popolazione ma tante possibilità in termini di nomine da distribuire.

Così non è negli Stati Uniti, la terra delle opportunità e del meltin’ pot, ora in periodo elettorale.

La visione idilliaca che accompagna il Sogno Americano è stata rapidamente sconfessata. Basti pensare ai nativi durante la colonizzazione dell’ovest, ai paesi delle varie “guerre lontane” dagli occhi e dal cuore, come nel periodo della guerra fredda, e le attuali Afganistan e Iraq. Ma resta il fatto che gli Stati Uniti una possibilità la danno, almeno di essere ascoltati nel proporre un’idea. Non che non esista la cooptazione, anzi, ma c’è una differenza: la raccomandazione made in Usa è in un certo senso regolamentata. Chi la fa se ne assume le responsabilità: non è fatta come favore al parente o all’amico, ma come garanzia delle qualità di chi ne beneficia.

Il pragmatismo americano si è spinto oltre, stilando un albo dei lobbisti. Fare lobbing in Usa è un lavoro come un altro; la differenza è che il cittadino, se vuole, prima di votare può sapere chi sostiene economicamente il suo candidato e dunque può supporre cosa che politica adotterà, cosa chiederà una volta eletto. Curiosa anche la gestione della diplomazia americana: gli ambasciatori – e solo loro – avendo una funzione soprattutto di rappresentanza, vengono nominati sua sponte direttamente dal presidente.

A molti in Italia tutto ciò può far storcere il naso. Da una parte perché l’America resta un luogo altamente simbolico per gli europei; dall’altro perché, soprattutto nel nostro Paese, c’è sempre stata l’idea implicita che lo Stato debba avere una sorta di impostazione morale. Tale impostazione nella seppur religiosissima America è assente, o meglio, si declina in modi differenti come il patriottismo, e il rispetto “religioso” per i padri fondatori e i martiri americani come Lincoln, Kennedy e King e per la costituzione.

Alla luce delle odierne spinte di ricambio della politica in Italia, ciò che dunque dobbiamo chiederci è: siamo pronti per uno stato liberale?

Siamo abbastanza stufi di come vanno le cose per sentirci meno oppressi ma anche meno protetti dalla “struttura Paese”?Quando come nazione risponderemo a queste domande all’apparenza molto semplici, capiremo a che punto siamo nella maturazione di una nazione molto giovane stanziata su un territorio molto antico, come la nostra.

2 Commenti

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  1. Nicola Dellapasqua

    L’articolo sicuramente porta all’attenzione spunti interessanti. Però vorrei problematizzare una categoria che in questo contesto mi pare utilizzata in maniera poco specifica a dir poco: quella di liberalismo. Politicamente sarebbe corretto parlare di liberalismo intendendo una visione dei rapporti cittadino/stato improntata sulla preminenza dei diritti individuali rispetto alla possibilità decisionale di chi regola la vita associata. è il famoso perimetro che cinge l’individuo entro il quale lo stato non può entrare di benjamin costant. questo discorso tuttavia non implica alcuna conclusione sul merito se non quella del disinteresse del pubblico sul merito stesso e del lasciar fare il suo corso alla legge del più forte. come diceva nozik lo stato non tassa una persona alta perchè è nata alta o intelligente perchè è nata intelligente, perchè tassare una persona nata con un patrimonio per garantire un patrimonio alla collettività? lederebbe i suoi diritti individuli anche se per istituire diritti collettivi come quello alla salute o all’istruzione. è impensabile ragionare su un merito costruito artificialmente per gareggiare tutti alla pari, perchè è la natura stessa a scompagnare questi quadro. dunque la questione sul merito passando per l’analisi di tanta parte del pensiero liberale appare mal posta: la limitazione dell’intervento statale rispetto ai diritti che salvaguardiano la libertà dell’individuo (libertà in senso negativo alla hobbes non in senso positivo kantiano) non crea certo giustizia ma piuttosto lascia campo all’ingiustizia naturale. viceversa l’intervento dello stato crea ingiustizia sottoponendo a coercizione il libero individuo ma può portare a un equilibrio di diritti collettivi che si possono opporre alle sperequazione economiche individuali che però si ricordi sempre sono solo uno dei tanti aspetti della lotteria naturale. un ricco nato verrà sopravanzato da un povero intelligente in un sistema in cui le ricchezze vengono ridistrubiute, questo è un dato da applaudire se si persegue l’efficienza del sistema della vita collettiva, in cui la persona intelligente farà certo cose migliori del competitors, ma pare un dato di ingiustizia se si calcola che una dote naturale (la ricchezza) è stata ridistribuita mentre l’altra (l’intelligenza) no. Questo lungo discorso per chiarire che quando si parla di merito non si tratta di decidere tra un sistema giusto o ingiusto, il merito di per se non è giusto. la vera coppia di opposti sui quali ragionare sarebbe quella di diritti individuali vs diritti collettivi. la grande tradizione liberale decide per i diritti individuali ma entro questo discorso il merito si trasforma in legge del più forte e ha molto poco a che fare con la giustizia, con l’efficienza, con l’ottimo dei mercati o anche con una mondo pieno di opportunità

  2. Edoardo Gazzoni

    Grazie Nicola per l’utile intervento; capisco il tuo punto di vista e in parte lo condivido. Questo articolo è il frutto di una mia visione attualmente in fieri, se da un punto di vista umano e personale sono daccordo con te, da un punto di vista teorico ho dei dubbi; evinco da ciò che scrivi che nella, ritengo irrisolvibile, diatriba tra diritto naturale e diritto positivo, tu ti poni più verso il diritto naturale. Quando parli di ingiustizia naturale, capisco cosa intendi, ma forse per una deformazione professionale da antropologo, non posso fare a meno di considerarla una “ingiustizia” tutta culturale e quindi mi pongo una domanda più ampia che concerne la stessa natura dell’animale uomo. Se l’uomo come animale produce cultura essa è il suo prodotto naturale? La differenza tra natura e cultura è sempre stato un dibattito per me appassionante al quale non so dare una risposta definitiva. Personalmente credo che ogni scelta politica, proprio perchè compiuta da persone, da uomini, sul lungo periodo degeneri; ogni opzione ha in nuce dei pericoli che devono essere considerati e il liberalismo ha quelli che tu esponi. Pessimisticamente temo che ogni cambio di regime, e con regime non intendo regime politico, derivi da una frattura e che oggi quella frattura stia proprio nella voglia, forse, di provare a cavarsela da soli; questo è ovviamente il mio pensiero e, perchè no, il mio desiderio. Quello che mi auguro principalmente per l’Italia sarebbe tuttavia la chiarezza delle scelte, in un senso o nell’altro e questo credo derivi innanzitutto dall’eliminazione di corporazioni, ordini e albi di mussoliniana memoria. Che lo stato faccia lo Stato, e non deroghi a corpi intermedi (in questo sono assai baconiano 🙂 )

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