Dall’Europa un contributo alla ricerca: il Fondo per lo sviluppo regionale


Per il periodo 2007-2013 mette a disposizione dei Paesi membri dell’Unione Europea oltre 80 miliardi di euro per l’innovazione. È  il Fondo europeo per lo sviluppo regionale – in breve Fesr – creato allo scopo di centrare gli obiettivi fissati con il trattato di Lisbona e tradotti in seguito in una vera e propria tabella di marcia con la Strategia Europa 2020, nell’ottica di una crescita economica basata sulla sostenibilità ambientale e sull’innovazione. Un percorso di sviluppo, quello tracciato con questa nuova strategia, che non può prescindere da una maggiore attenzione agli investimenti nella ricerca, cui è destinata buona parte delle risorse erogate.

Per l’Italia tutto questo si traduce in un’opportunità per compensare la cronica scarsità di fondi a disposizione per programmi di ricerca e sviluppo. Secondo le cifre elaborate dall’Ue, il nostro Paese si colloca agli ultimi posti in Europa per quota di Pil destinata alla ricerca (1,26%), ancora lontana sia dall’obiettivo assegnatole per il 2020 (1,53%), sia soprattutto dall’obiettivo medio continentale fissato al 3%, già ampiamente superato dai Paesi del Nord (Finlandia 3,87%, Svezia 3,42%, Danimarca 3,06%).

Ma come funziona il Fesr?  Tra il 2007 e il 2013, attraverso i programmi per le politiche regionali, l’Ue destina alle regioni dei Paesi membri circa 86,4 miliardi di euro per investimenti nei settori ricerca & sviluppo. In particolare, 50,5 miliardi andranno alle attività di R&S e innovazione in senso stretto, 8,3 miliardi verranno spesi per l’imprenditorialità, 13,2 miliardi sono destinati all’information and communication technology mentre 14,5 miliardi verranno erogati per la formazione e la riqualificazione del personale.

Per l’utilizzo dei fondi, ciascuna regione predispone uno specifico Piano o Programma operativo – si veda il caso dell’Emilia-Romagna – che di anno in anno pone degli obiettivi da raggiungere, approvati da un apposito Comitato di sorveglianza periodicamente incaricato di verificare che le risorse erogate siano state a tutti gli effetti utilizzate per i fini preposti. Occupazione, crescita della spesa in ricerca e sviluppo, numero dei brevetti, livello di inclusione sociale, orientamento delle politiche pubbliche ai nuovi obiettivi comunitari sono i parametri presi in considerazione.

Attraverso i piani operativi, le ipotesi d’azione previste vengono così tradotte sul piano concreto, attraverso specifici assi d’intervento. Con quali risultati? Per restare sull’esempio dell’Emilia-Romagna, le risorse messe a disposizione dall’Unione Europea hanno permesso di dare il via alla creazione dei tecnopoli per la ricerca industriale e il trasferimento tecnologico, sostenere progetti di ricerca collaborativa delle Pmi con laboratori di ricerca e centri per l’innovazione e supportare lo start-up di nuove imprese innovative, con una spesa complessiva di 114 milioni di euro, pari a circa un terzo dei Fondi complessivamente destinati all’Emilia-Romagna (347 milioni di euro).

Di questi, 94 sono serviti – con l’integrazione di oltre 130 milioni di risorse regionali – per la realizzazione della Rete Alta Tecnologia. Costituita da 10 tecnopoli, la Rete si compone in tutto di 34 laboratori di ricerca industriale, che daranno lavoro a 1.600 ricercatori, di cui 560 giovani neoassunti. Concepiti con l’obiettivo di potenziare il sistema regionale della ricerca, i tecnopoli si propongono come luoghi di incontro tra competenze scientifiche e risorse umane, promuovendo il radicamento di un’economia dell’innovazione e della conoscenza.

Quello dell’Emilia-Romagna è soltanto un esempio dei benefici concreti che l’utilizzo del Fesr può comportare nelle diverse aree del continente. E dopo il 2013? La spinta alla nascita di reti regionali della ricerca può essere inquadrata come una tappa decisiva all’interno di un percorso che dovrebbe condurre l’Ue al raggiungimento di un obiettivo ambizioso: quello di creare un’Area Europea della Ricerca, all’interno della quale risulti più semplice – e conseguentemente più economico – trasferire tecnologie e scambiare conoscenze, in un contesto caratterizzato da una crescente complessità e interdisciplinarità.

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