La maleducazione


Per un educatore che lavora in una struttura di riabilitazione psichiatrica è curioso coordinare un gruppo di discussione sul tema della maleducazione.

La figura dell’educatore è centrale nella vita della struttura e nei progetti terapeutici delle singole persone che trascorrono qui un periodo della loro vita. L’aspetto educativo, infatti, è di primaria importanza nel miglioramento dei sintomi psichiatrici, che si traducono in un determinato tipo di sofferenza umana. Ora, è fondamentale il legame tra ciò che abbiamo dentro e ciò che si manifesta all’esterno. Già le discipline orientali che richiamano a un ordine esterno per apportare poi ordine nello spazio interiore ne sono un esempio, di lunga data. Oppure il vecchio e sempre valido “mens sana in corpore sano”, che richiama ancora una volta al collegamento tra l’esterno e l’interno dell’essere umano. In un certo senso l’educazione – a se stessi (intesi come mente e corpo), agli altri, al denaro, all’alimentazione, alle cose, agli spazi – è un concetto che va a braccetto con il rispetto e va verso una direzione costruttiva dell’esistenza e delle relazioni umane.

Per questo in un contesto di malattia psichiatrica e di dolore mentale il ruolo dell’educazione diviene primario per contrastare, appunto, la maleducazione. Ma non la maleducazione delle parolacce o della sporcizia: la maleducazione del disprezzo di sé, del disinteresse nei confronti della propria vita. Quando qualche settimana fa abbiamo intavolato questa discussione sull’educazione e sulla maleducazione, i nostri ragazzi si sono riconnessi quasi all’unisono a ricordi ed esperienze personali legate all’infanzia e ai genitori. La genesi e la radice dell’educazione forse è li che si può ritrovare. L’ educazione e la maleducazione sono i primi tasselli dell’insegnamento che vanno a creare un ponte tra quello che facciamo e quello che proviamo emotivamente. Proprio perché le prime persone che ci educano – o maleducano – sono i nostri genitori, ovvero le persone che al mondo più ci amano (forse…). I nostri ragazzi che sono molto intelligenti – benché o proprio perché psichiatrici – si sono ricollegati nella discussione al concetto di morale, intesa come senso del giusto e dello sbagliato, del permesso e del proibito. Innegabile che tra la morale e la maleducazione ci sia un legame molto stretto, poiché è la prima che definisce quello che si può fare e quello che non si può fare. Quando la morale si irrigidisce, tutto è sbagliato, sporco, fuori luogo: maleducato. Se invece la morale si dilata e si squaglia, tutto è permesso.

Il problema è che la rigidità del primo esempio ha un forte sapore ossessivo e perverso.

Il permissivismo disimpegnato e la generale entropia del secondo esempio hanno invece quasi un carattere violento e caotico.

Il denominatore comune di entrambi è il rischio e l’alto potenziale patologico e psichiatrico.

La conclusione – forzata e un po’ scontata – di una discussione che potrebbe durare anche in eterno la suggerisce Michele: la virtù sta nel mezzo.

SALUTI DAI RAGAZZI DEL gLiCiNe

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