L’educazione al tempo del relativismo: sfida affascinante o impossibile?


In una recente pubblicazione[1], il filosofo italiano U. Galimberti pone l’accento su un problema che sembra farsi sempre più strada nella società contemporanea: la diffusione, in particolare tra più giovani,  del nichilismo. Egli definisce tale corrente di pensiero come “ospite inquietante”, il quale, al partire dagli inizi del XIX secolo, ha progressivamente influenzato, oltre che il pensiero letterario e filosofico di svariati autori di rilievo, anche la coscienza pubblica.

Volendo brevemente offrire un inquadramento filosofico di tale problematica, è necessario ricordare come il nichilismo (dal latino NIHIL=nulla) indica la tendenza a rifiutare l’esistenza di qualsivoglia valore o realtà metafisica comunemente ammessi. Esso prende forma già a partire dalla rivoluzione scientifica del ‘600, quando la comprensione dell’eliocentricità del sistema solare mette in dubbio per la prima volta la centralità dell’Uomo nella Creazione, suscitando uno spiccato senso di smarrimento; concetto, quest’ultimo, sintetizzato brillantemente da Bertold Brecht quando, nella Vita di Galileo, descrive la reazione emotiva di due anziani ed onesti contadini al crollo delle convinzioni che per essi erano fondamentali, quali l’importanza del sacrificio quotidiano (che doveva avvenire sotto gli occhi del Signore) e la ricompensa ultraterrena.

Alla fine del misticismo medievale, a causa del quale alcuni concetti venivano considerati dogmi indiscutibili, si contrappone ad ogni modo la filosofia illuminista, la quale si propone, con esponenti come I. Kant, di costruire solide basi razionali ai valori sui quali si reggeva la società civile, seppur riconoscendo l’indimostrabilità dell’esistenza di una realtà noumenica. Tuttavia, in seguito, l’influenza della filosofia positivista e, soprattutto, il pensiero dei tre “Maestri del sospetto”(Nietzsche, Freud e Marx nella definizione di P. Ricoeur) diedero un formidabile “scossone” alla metafisica in generale, ed ai valori fondamentali della cristianità

I tre “maestri del sospetto”

dall’altro. In particolare, fu Nietzsche a sentenziare la “morte di Dio” e a tentare di prevederne le conseguenze sul pensiero dell’uomo contemporaneo. Proprio da questa “morte di Dio”, ovvero dalla crisi delle grandi verità sulle quali si faceva affidamento in passato, grazie alla quale si è arrivati ad avere “tante verità, nessuna verità” (espressione di L. Pirandello), prende vita il relativismo come oggi lo conosciamo.

La diffusione del relativismo, in particolare di quello etico, implica che ad oggi si possano sempre porre sullo stesso piano diverse posizioni ideologiche; in parole povere, nessuna ideologia è considerate essere più “vera” di un’altra.

Forse proprio per questo, spesso si sente dire che educare oggigiorno è sempre più difficile. Non ci si riferisce all’istruzione, ma all’educazione in senso lato: mentre l’una può essere intesa come la trasmissione di un insieme di nozione tecniche, quest’ultima è molto di più. Educare significa di fatti formare una persona sotto ogni punto di vista: sia l’aspetto professionale, ma anche quelli etico e spirituale.

Proprio questa mancanza di valori condivisi cui provoca enormi carenze sotto gli ultimi due aspetti. Nella società contemporanea, di fatti, definita “liquida” da Z. Bauman proprio a causa dei repentini cambiamenti dei valori di riferimento, il compito educativo pare talvolta aver perso importanza. Molte volte gli adulti, non essendo certi della “direzione” nella quale indirizzare i propri figli, o i propri studenti, tendono alla rinuncia.

Ad esempio, secondo Galimberti, quasi mai a scuola si valutano dimensioni dello studente diverse da quelle “calcolabili”, quali autostima, creatività e la sfera emotiva in generale. Anche Paola Mastrocola, insegnante di liceo ed autrice di vari “libri-denuncia” sui problemi della scuola italiana, in “Togliamo il disturbo, saggio sulla libertà di non studiare” lamenta l’eccessivo nozionismo di cui l’istruzione superiore è ammalata, nozionismo che tende ad escludere materie e concetti che, anche se imparati sul momento come “fini a se stessi” in realtà contribuiscono a formare la mente dell’allievo.

Questo, a sua volta, provoca svariate conseguenze negative sulle generazione più “fragili” (secondo la definizione di E. Zanoletti[2]); troppe volte i ragazzi cadono in uno stato di apatia e di torpore dal quale non riescono a riprendersi con le proprie forze, anche a causa della mancanza di figure educative forti, di modelli da imitare che incarnino non solo la “mitologia dell’apparire come unica forma dell’esserci”, quanto piuttosto quell’equilibrio interiore e quella serenità che contribuiscono a restituire pieno senso alla vita umana.

Naturalmente, altri fattori influiscono in modo nefasto sul processo di crescita dei più giovani. Innanzitutto, la mancanza di fiducia nel futuro: molto probabilmente, la “nostra” generazione sarà la prima da svariati secoli a questa parte a poter contare su un livello di benessere non superiore a quello della generazione precedente (se non inferiore). Tale sfiducia causa a sua volta una “permanenza in una situazione di emergenza”: non sapendo cosa aspettarsi dal domani, è necessario “armarsi” solo dello stretto necessario; l’istruzione, intesa come apprendimento delle nozioni tecniche necessarie ad una futura mansione, in questo contesto prevale nettamente sull’educazione, che comprende anche una cultura generale e, come già ricordato, una formazione spirituale.

Lo stesso Nietzsche, in alcuni passi de La Gaia Scienza, sembra consapevole del profondo senso di smarrimento dal quale viene colto l’uomo di fronte alla notizia della “morte di Dio”, ovvero della fine di tutte le certezze che fino a quel momento lo avevano sorretto; senso di smarrimento che sembra di poter riscontare in situazioni di giovani che si rifugiano in un abuso di alcool o droghe capace di portare il piacere dell’”anestesia” e nient’altro.

D’altra parte, citando ancora Nietzsche, è necessario cercare in ogni modo l’uscita da questa situazione di confusione ed incertezza, attraverso il riconoscimento, o perlomeno la ricerca, della verità dell’animo umano. Naturalmente, sarebbe impossibile ed ingiusto porre fine al pluralismo etico che caratterizza la società odierna; tuttavia, per evitare di sfociare nel relativismo e nel nichilismo, è altresì necessario che ogni formazione sociali individui su quali valori essa è fondata; è indispensabile che i soggetti che possiedono responsabilità educative recuperino la legittimazione morale della propria autorità, tenendo ben presente in ogni situazione che la finalità di questa non può essere altra che il bene dell’educato, nel senso di una sua crescita prima di tutto umana e culturale.


[1] U. Galimberti, L’ospite inquietante. Il Nichilismo e i giovani, Feltrinelli, 2007

[2] E. Zanoletti, Generazioni fragili? Un apporto educativo, in Oltre la fragilità. Il dono prezioso della libertà, a cura di G. Girardi e G. Bonifacio, Gabrielli, 2010

2 Commenti

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  1. Rosina Pironi

    Grazie Leonardo per questo tuo apporto all’educazione e al nichilismo insieme. Oggi come oggi io, da educatrice quale sono, sento la difficoltà di trasmettere quel “bene” all’educato in primo luogo perché sono i genitori, le famiglie e coloro che più gli stanno accanto nella crescita. Persone che non trasmettono ideali, principi e tanto meno non regalano fiducia ai loro ragazzi. La mia fatica sta nel tentare di averla questa fiducia nei confronti dei giovani e tanto più nelle loro (seppur piccole) conquiste quotidiane, ma non avere l’appoggio dei famigliari, coloro che per primi dovrebbero essere “di parte”.

    • Leonardo Nini

      grazie a a te Rosy! certamente per un educatore è difficile trasmettere ad un ragazzo valori che non sono stati trasmessi ad esso dalla sua famiglia… ci sono poi tanti ragazzi che non hanno la fortuna di avere accanto una figura educativa da prendere come esempio e sulla quale fare affidamento. Sono proprio questi ragazzi, a mio parere, a sentire più forti le influenze ideologiche della società!

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