“Maschere di donna”: una lettura a matrioska


Leggere Maschere di donna di Enchi Fumiko significa non solo addentrarsi nella cultura contemporanea all’autrice, ma soprattutto recepire quelli che sono i riferimenti alle opere della letteratura giapponese classica, in primis il Genji Monogatari di Murasaki Shikibu.
Onnamen (titolo originale del romanzo) è suddiviso in tre capitoli, ognuno dei quali corrisponde al nome di una maschera del teatro nō.
La maschera serve a caratterizzare i personaggi e a dare espressione concreta al tipo di possessione di cui la protagonista diviene vittima. Dietro di essa si nasconde un attore (sempre un uomo, così vuole la tradizione), che deve dare voce all’intimo malessere di una donna. Da una parte, la maschera come artefatto; dall’altra, la maschera come la fissità del volto di una persona che vuole celare la propria profondità.

Il primo capitolo, Ryō no onna, ovvero “donna-spirito”, si apre con la conversazione tra due conoscenti delle protagoniste che, quasi a sottolineare la marginalità delle figure maschili all’interno dell’opera, funge da pretesto letterario per far sì che il lettore si addentri delicatamente nell’universo femminile della giovane vedova Yasuko e della suocera Toganoo Mieko. Entrambe sono unite dal lutto per Akio, marito dell’una e figlio dell’altra, scomparso sotto una valanga sul monte Fuji. Yasuko, dopo la morte del marito, prosegue il suo studio sulla possessione diabolica nel periodo Heian, epoca in cui visse l’autrice del Genji Monogatari, mentre la suocera si dedica anche al teatro .
Il principale riferimento alla già citata opera classica è Rokujō, una delle amate del principe splendente. Caratteristica peculiare di questa dama era la gelosia maniacale, che la portò a perseguitare col suo spirito maligno gli altri amori di Genji. Il suo personaggio, in Onnamen, viene abilmente dilatato e assume un fascino così perverso da influenzare donne di epoche future, come Mieko e Yasuko. L’anziana signora, infatti, quando aveva all’incirca trent’anni, aveva scritto un saggio in cui esaltava la figura di Rokujō, altrimenti relegata a un ruolo marginale, poiché non era mai stata una donna arrendevole, come avrebbe desiderato un qualunque uomo d’epoca Heian (sorge spontanea la domanda: solo di epoca Heian?).

Il personaggio di Mieko viene delineato ancor meglio nel secondo capitolo, Masugami o Capelli sciolti, e risulta ambiguo: ella si comporta come una donna compita e accomodante («si poteva dire che […] si fosse attenuta scrupolosamente all’etica femminile dell’antico Giappone feudale.» ¹), ma quando a guidarla è il suo spirito vendicativo, unito ai poteri di possessione, assume un atteggiamento determinato, tipico sia delle moga, sia delle donne delle maschere del : «[Mieko] è come l’acqua di un lago di montagna che sotto una superficie tranquilla scorre turbolenta sul fondo verso una cascata: calma e immobile ha la forza di far sì che ciò che ha in animo si muova esattamente nella direzione voluta. Insomma, come le donne di quelle maschere del . Dentro di lei sono compressi una quantità di segreti.» 2
Il rapporto tra la signora Toganoo e la nuora è equivoco, tant’è che i due amici Ibuki e Mikame arrivano a ipotizzare che il loro attaccamento morboso sia dovuto a una relazione omosessuale, per via del ruolo di medium di Yasuko.
La scrittrice è riuscita a rendere affascinanti tutti quegli aspetti dell’atteggiamento umano che vengono solitamente ammantati di negatività: la vendetta, il piacere sessuale, l’occulto, il tradimento.

Il romanzo, come suggerisce il titolo del terzo capitolo, si chiude con la maschera Fukai, caratterizzata da un pallore giallastro e le guance incavate, l’unica in grado di comprendere la sofferenza di Mieko per la morte dei figli e l’odiosa macchinazione che aveva nascosto dentro di sé per tanto tempo, giù nel profondo della sua anima, come fosse un pozzo profondo.
Nel romanzo, può suscitare una certa curiosità la concezione del dolore. Ad affliggere le due protagoniste non è il ricordo del parto gemellare della signora Mieko, che diede alla luce Akio e Harume (in Giappone, quella dei gemelli, era considerata dai più superstiziosi come una gravidanza bestiale, infatti si ricorreva all’espressione chikusho-bara, che significa “pancia di animale”); non sono gli aborti e nemmeno la morte di Harume, a cui si accenna brevemente.
Il dolore è quello inflitto dagli uomini con i tradimenti e le continue coercizioni; tale sofferenza porta le donne a sfruttare il contatto con le forze occulte per vendicarsi dei torti subiti.

Il filo conduttore del romanzo è il legame che unisce le donne di tutti i secoli. Ibuki e Mikame parlano, nell’ultimo capitolo, dei segreti delle donne : « Per essere certi che quelli generati dalle donne fossero sicuramente figli loro, per millenni gli uomini hanno fatto cose incredibili: hanno considerato un crimine o un peccato l’adulterio, hanno inventato le cinture di castità, ma alla fine non sono riusciti a carpire neppure uno dei segreti femminili. Anche il sadico malanimo di Buddha o di Cristo verso la donna non è stato altro che un tentativo di sottomettere un avversario col quale non potevano competere». 3

1, 2, 3: Enchi Fumiko, Maschere di donna, 1999, Marsilio Editori, Venezia (rispettivamente pp. 133, 70, 131, 179).

5 Commenti

Aggiungi
  1. Anonimo

    “non era mai stata una donna arrendevole, come avrebbe desiderato un qualunque uomo d’epoca Heian (sorge spontanea la domanda: solo di epoca Heian?).”

    Purtroppo temo proprio che questo desiderio maschile non sia limitato all’epoca Heian!
    Interessante questa recensione, chissà che un giorno non mi lasci conquistare anch’io dalla letteratura giapponese!

    Chiara (cava)

  2. Sara

    Ciao! Grazie per il commento, sono contenta che abbia apprezzato l’articolo.
    Questo libro offre ottimi spunti di riflessione proprio perché tutt’oggi ci troviamo di fronte a situazioni in cui il ruolo della donna è sì cambiato, ma solo in parte e per alcuni aspetti in maniera superficiale.

    Cercherò di persuaderti con quest’altro passo:
    “Così come esiste un archetipo muliebre amato dagli uomini attraverso i secoli, nello stesso modo vi deve essere un genere di donna da essi eternamente temuto, possibile proiezione dei mali insiti nella natura maschile”.

    Un abbraccio,
    Sara

+ Lascia un commento