L’insostenibile ordinarietà dell’essere


Secondo una metafora utilizzata da Milan Kundera, la vita di ognuno di noi è come una composizione musicale, della quale ciascuno stabilisce i temi. Ogni parola, ogni oggetto significano qualcosa nella composizione di ciascun individuo.

Sicuramente l’età per eccellenza in cui la si scrive, in cui ci si sforza di stabilire i puntelli della propria esistenza, i propri principi, è l’adolescenza. In altri termini, si punta all’autorealizzazione, a trovare la vera espressione di sé stessi. Spesso questa ricerca passa per il rifiuto dei valori proposti dalla società contemporanea, accusata di essere schiavizzata dal mito del denaro e del benessere.

Questo è uno dei motivi per cui molti preferiscono aderire a culture alternative a quella della società dominante, che abbiano un proprio linguaggio e propri principi. Si tratta di quei movimenti che i sociologi chiamano “subculture”: come la cultura heavy metal, rap, elettronica e molte altre.

Esse si oppongono alla cultura dominante sul piano simbolico, creando codici comportamentali irregolari e dando vita a nuovi usi degli oggetti mondani. Tali oggetti divengono dunque segni di un’identità proibita, fonti di valore. Le subculture giovanili, in un mondo in cui sembra che ogni cosa stia per essere commercializzata, garantiscono ai propri membri una sorta di autenticità, originalità non contaminata dal consumismo, in quanto basate su pratiche etniche, su valori comunitari o su specifici quartieri con le loro pratiche.

 

Tuttavia, questo è vero solo in origine. Il sistema della moda, infatti, sempre alla caccia di nuove idee e nuovi spunti, li trova spesso nelle subculture emergenti. La loro nascita e il loro sviluppo vengono di continuo monitorati, per poi essere raccontati dai mass media. La moda “ruba” loro quegli oggetti identitari, che, posti in un nuovo contesto, non possono che perdere il loro significato originario.

Le subculture, diffuse dal commercio e dai mass media, smarriscono così i loro tratti sub culturali autentici. Diventano parte della cultura dominante e vengono “vendute” ai ragazzi nei centri commerciali. Più che qualcosa prodotto dai teenager, divengono qualcosa di consumato dai teenager. Si pone dunque il problema: si tratta davvero di un’espressione dei giovani, o di un loro acquisto?

La risposta è né l’una, né l’altro. Quello tra moda e cultura dominante da un lato e subculture dall’altro è uno scambio continuo. La subcultura “ruba” al sistema della moda oggetti comuni e, arrichendoli di nuovi utilizzi e quindi nuovi significati, li rende trasgressivi. La moda, a sua volta, si appropria dei nuovi modi d’uso degli oggetti creati dalla subcultura. Gli oggetti, in questo nuovo contesto, acquisiscono dunque un significato ancora differente da quello attribuito loro dalla subcultura. Almeno finché una nuova subcultura (o la medesima) non se ne appropri nuovamente. Allora il gioco può ricominciare.

L’autenticità dunque non si trova, si crea. Se i giovani ne saranno consapevoli, saranno sempre in grado di esprimere la propria individualità e unicità al di fuori dalle regole imposte dalla moda e dalla società.

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