Il solito alternativo


Voglio essere unico. Unico come nessuno è mai stato né sarà mai. Vivere la mia vita come l’avventura che nessuno ha avuto il coraggio di vivere mai. Sfuggire a tutti i tentativi che la società mette in atto per etichettarti. Sfuggire alla banalità, alla noia, alla routine. Sfuggire a tutte quelle cose che gli altri si aspettano da me. Sfuggire a qualsiasi regola imposta e mai accettata. Voglio tracciare rotte che nessuno mai ha osato affrontare. Voglio poter dire, l’ultimo giorno della mia vita, di aver vissuto un’esistenza veramente libera, di non aver mai tradito quello che sono, di non essermi mai venduto, di aver capito fino in fondo chi sono e per cosa sono venuto al mondo. Guardo il mio tatuaggio. E’ unico. Anche se qualcun altro nel mondo avesse lo stesso disegno nella stessa parte del corpo, il mio tatuaggio resterebbe sempre unico, perché ha un significato che è solo mio e che nessuno potrebbe ricondurre alla propria esperienza. E così per i miei piercing, per come ho deciso di tenere i capelli, per come mi vesto, per la musica che ascolto, per le persone che frequento, per come decido di spendere le mie giornate. Basta specchio, devo smettere di parlare con te. Prendo la borsa del tabacco, metto il guinzaglio a Buddy ed esco a fare un giro. Per le scale incontro l’ingegnerino del piano di sotto. Dio ti ringrazio che non mi dai di essere come quella sottospecie di essere umano! Leggo dal suo sguardo che il pensiero è reciproco, ma penso sia l’unica cosa che abbiamo in comune. Io non vado in palestra a gonfiarmi per accrescere la mia autostima e finire poi a zerbino della moglie. Io non mi vesto per cercare l’invidia dei miei simili, non frequento quei locali dove la musica ti riempie di niente, no faccio quei discorsi ipocriti che sono solo una facciata e non finirò mai per essere schiavo di una multinazionale e dei suoi duemila euro al mese.

Anche la vecchia del primo piano mi riserva uno sguardo simile. Ma non è disprezzo, è compassione. E in un sospiro sussurra: “il solito alternativo”.

10 Commenti

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  1. Anonimo

    il pericolo di omologazione è concreto. i cosiddetti alternativi (e tutti i gruppi/comunità in genere)sovente finiscono per diventare organismi autoreferenziali non inclusivi. E’ la mancanza di personalità in primis che porta a questo. Segue la voglia di riconoscibilità. Oggi, che il dialogo con i nostri simili è difficile, che c’è molto isolamento e poca voglia di relazioni reali, sono diventati ancora più importanti i segnali esteriori, i messaggi non-detti.
    Signore e Signori, meno pippe e più voglia di conoscere gli altri!

  2. Francesco Campana

    Tutti noi cerchiamo la nostra strada, tutti noi cerchiamo le vera espressione di noi stessi.
    In una parola l’autorealizzazione. Alcuni però preferiscono omologarsi alla massa perché fornisce più sicurezze. Anche chi ha uno stile di vita che i più non apprezzano, finisce inevitabilmente per aderire ad uno stereotipo e ad assomigliare un po’ troppo alle persone che frequenta. Le domande alla base di questo numero sono:
    Oggi cos’è veramente alternativo? Chi si può definire veramente unico? Chi è veramente libero? Ma sopratutto, la vita di ognuno di noi, specialmente di un giovane, ha delle alternative che non sono mai state affrontate o deve meramente finire ad occupare il posto che la società gli ha riservato?

    • Anonimo

      Forse proprio perchè non è l’alternatività la risposta… Se la nostra società è così strutturata, forse possiede in fondo, principi da cui non possiamo divincolarci, principi forti, comuni, che uniscono tutti noi. Spinte ad essere alternativi, unici, liberi, diventano spesso riflussi egocentrici che pericolosamente ci allontanano gli uni dagli altri. Jung parlava saggiamente di un inconscio collettivo e di uno individuale. L’equilibrio è la risposta, ed anche l’obiettivo più difficile da raggiungere. Ma la vita è un’opera in iscrizione… divertiamocela!

      • Francesco Campana

        Mi ha fatto riflettere il tuo intervento. Come dici tu ognuno di noi ricerca anche inconsapevolmente un equilibrio tra la propria coscienza individuale e quella collettiva. Questo equilibrio è diverso per ciascuno, il che rende tutto molto più stimolante nel confrontarci con gli altri.

  3. Riccardo

    “alternativo” io lego questa parola a insicurezza. negli ultimi 50 anni abbiamo barattato le emozioni con le merci, sperando in una società più leggera, spensierata, individualista. siamo stati capaci di demolire un pensiero formatosi in millenni per trasformarci in una società liquida….io penso che l’alternativo sia colui che viva la sua vita nei valori universali, che non si vergogni delle sue scelte, non si emargini e promuova il pensiero antico. un nuovo missionario sociale.

    • Francesco Campana

      Grazie Riccardo che con le tue riflessioni aiuti a mantenere alto il tono della conversazione. In questi giorni ho avuto la fortuna di leggere Huxley che profetizzò il mondo nuovo quasi ottant’anni fa e che riprende le tue stesse idee. Un classico moderno che invito tutti a riscoprire.

  4. La ricerca della propria identità che si esprime concretamente attraverso le scelte, anche le più banali, dal modo di vestire, al modo di camminare, di mangiare, di “riempire” le proprie giornate, non è mai completa, secondo me, se non parte dal confronto. Non ci si inventa un modo di vivere. Solo la relazione con gli altri, col passato, con la storia, con le generazioni passate che spesso (giustamente talvolta) condanniamo, ci aiuta a costruire. Se nessuno avesse costruito una palafitta non so se saremmo in grado di innalzare grattacieli. Non è sempre triste e omologante sentirsi figli delle tradizioni e della cultura se questo nasce da un’adesione consapevole ai valori di chi ci circonda.

    C’è una bella differenza tra “l’essere diversi” per essere ricordati come tali in questo mondo competitivo e povero di umiltà o esserlo per il desiderio di plasmare una piccola parte della realtà della quale siamo responsabili (molto spesso ce ne dimentichiamo).

    Grazie Fra!

  5. Anonimo

    l’idea che il proprio tatuaggio sia unico è molto più omologante di quanto sembri. il ragazzo tatutao con il piercing, il cane al guinzaglio e il tabacco in tasca esprime la stessa identica necessità di essere uguale agli altri (gruppo dei pari) di quanto non faccia uno studente di ingegneria che va in palestra.
    da un punto di vista psicologico sono la stessa persona.

  6. anonimo

    l’idea che il proprio tatuaggio sia unico è molto più omologante di quanto sembri. il ragazzo tatutao con il piercing, il cane al guinzaglio e il tabacco in tasca esprime la stessa identica necessità di essere uguale agli altri (gruppo dei pari) di quanto non faccia uno studente di ingegneria che va in palestra.
    da un punto di vista psicologico sono la stessa persona.

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