Blood diamond: per cosa combattiamo?


Questo non è il solito articolo sulla guerra. Su quanto sia brutta e degradante, su quante vite si perdano ogni giorno per una bomba che esplode. Non si possono fare questi discorsi se la guerra non la si è mai vissuta: la retorica della teoria è fatta a pezzi dall’orrore della pratica. Eppure io parlo a te che, come me, non conosci la fame, hai un tetto sopra la testa e anche un cellulare,e che quando i tuoi nonni nominano i tempi della guerra, ti annoi, come di fronte ad un brutto film.

Il conflitto che ti piace vedere d’altronde,  è quello di Salvate il Soldato Ryan: quello in cui, in mezzo al dramma, l’eroismo di qualcuno salva qualcun altro, quello fatto di romantiche battaglie in cui si dimostra il  valore di un uomo. Ebbene, non esiste e non è mai esistito, se non al cinema.

Dimenticati perciò di Pearl Harbor e de Il Patriota. Ricordati invece de Il Pianista e di entrambe le facce della medaglia in Flags of our Fathers e Letters from Iwo Jima. La guerra è sangue e odio, nient’altro. Forse,  fosse presentata  noiosa e logorante come lo è nelle trincee, la gente ne sarebbe meno attratta. Perciò la prossima volta che ti chiederanno di imbracciare un fucile, non sentirti John Wayne.  Sentiti piuttosto come il piccolo Dia Vandy , in Blood Diamond di Edward Zwick.

La storia di Dia è di pura fantasia, ma potrebbe essere quella di un qualsiasi altro bambino nato in Sierra Leone. Dia andava a scuola e sognava un futuro.  Un giorno i signori della guerra hanno fatto visita al suo villaggio, sotto la bandiera del RUF (Revolutionary United Front):  uomini e donne sono stati massacrati e Dia, come altri bambini,viene trasformato in un piccolo soldato, tanto spietato quanto innocente. Il film segue le vicende del padre di Dia, Solomon (Djimon Hounsou), che cerca di salvare il ragazzo e se stesso dall’inferno in cui sono stati trasportati: la chiave per la salvezza sembra essere un enorme diamante rosa, che fa gola a molti, compreso al mercenario  sudafricano Danny, interpretato da un Leonardo Di Caprio in stato di grazia. Danny inizialmente  aiuta Solomon nella ricerca della sua famiglia, perché mira al prezioso: tuttavia ben presto, qualcosa cambia. Solomon e Danny incontrano Maddy (Jennifer Connelly), giornalista americana, recatasi in Sierra Leone per indagare sui loschi traffici delle multinazionali diamantifere: in lei risiede la speranza per il padre di Dia, ma anche l’esempio di una vita migliore, più giusta, per il mercenario.  E Danny prenderà alla lettera la lezione di Maddy, dando tutto se stesso per la causa di Solomon, fino all’estremo sacrificio. Danny infine,sceglie ciò per cui vale la pena combattere: non la ricchezza, non il potere, ma la giustizia.

Grazie a Maddy e Danny, Solomon potrà riavere la sua famiglia ed emigrare in Inghilterra, dove, nell’ultima scena lo vedremo prendere la parola ad un’assemblea in cui si discutono i problemi del terzo mondo. Il finale però ci lascia con l’amaro in bocca: perché questa guerra non è lontana nel tempo come quella di Braveheart , né è finita da qualche decennio come quella di Niente di nuovo sul fronte occidentale, ma è viva, ancora oggi, come tanti altri conflitti di cui non ci interessiamo, facendo un favore a chi invece, ha interesse che continuino.

Mi chiederai però che senso abbia parlarne, visto che nessuno di noi due sa nulla della guerra. La risposta è che forse noi  non siamo in grado di capire appieno, ma possiamo fare molto, così come Maddy che con il suo coraggio e il suo senso di giustizia, ha cambiato non solo il destino di Danny, ma anche quello di Solomon e di Dia.

Nessuna guerra si fa per i valori. Tutte le guerre si fanno con uno scopo economico. Etnia, razza, religione sono solo le scuse, la polvere da sparo sulla quale la logica del profitto a tutti i costi accende la miccia. Il più delle volte si bombarda, si uccide, si tortura per nient’altro che un pugno di diamanti e qualche barile di petrolio. A questo mondo c’è chi, approfittando di antiche rivalità, fonda la propria prosperità sulla morte e la miseria altrui. Questo qualcuno siamo noi.

No, non scuotere la testa dicendo che non è vero. Noi non siamo innocenti. E non serve che ora tu prenda il telefonino  per donare un euro via sms a questa o quella associazione per i diritti umani: so  che lo faresti con buone intenzioni, ma guidato dall’emozione del momento. Faresti del bene, ma non intaccheresti minimamente la sostanza del male. Non servono nemmeno i gesti eroici come quello di Danny: sono, a ben vedere, un lusso accessibile a pochi. Non si può chiedere d’altronde, ad un padre o ad una madre di lasciare i propri figli per andare ad aiutare i bambini dell’Africa. C’è chi lo fa, ma è qualcosa che va lasciato alla coscienza di ciascuno. Tuttavia ci sono scelte, piccole e banali all’apparenza, che possono, se ripetute, portare  a cambiamenti sostanziali. Da ciò che acquistiamo al supermercato, alla croce che mettiamo sulla scheda elettorale;  dal gioiello che regaleremo ad un’amica fino alle scarpe da calcio che doneremo a nostro figlio, dovremo saper scegliere. Un giorno forse, ci chiederanno di prendere ancora le armi per i loro interessi: anche allora, dovremo sapere scegliere.

Dovremo saper scegliere, affinchè i nostri nipoti possano ascoltare noiosissimi racconti di pace, e le uniche imprese eroiche in battaglia che ammireranno saranno quelle degli eroi leggendari, in un passato in cui ANCORA esisteva la guerra.

 

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