Noi credavamo, l’Italia s’è desta…


Quando mi valgo del verbo credere, esprimo una speranza, non già una cognizione (..)

(Cristina di Beljoioso Noi credevamo,2010)

La speranza dei patrioti del Risorgimento, era quella di creare un’Italia non solo unita, ma anche democratica, libera dall’oppressione, e giusta. Troppo spesso si identifica il concetto di “oppressore” solo con le molte dominazioni straniere che hanno martoriato la nostra splendida terra. Ma se i nostri antenati l’hanno liberata da dominatori di una lingua diversa, non l’hanno poi lasciata in mano ad altri padroni, e noi stessi, dimentichi degli ideali su cui le nostre origini si basano, non la consegniamo ogni giorno, a coloro che pretendono senza diritto di comandarci, invece che governarci?

Un riflessione del genere è quella che induce il film del 2010 Noi Credevamo, di Mario Martone, con Luigi Lo Cascio, Valerio Brinasco e Francesca Inaudi, ambientato nel Risorgimento Italiano. La produzione Italo Francese, pare significativa della ormai tragica situazione della cinematografia nostrana, e il marchio Rai Cinema non è garanzia di blockbuster:  tant’è che non siamo certo di fronte ad un film da incassi record al botteghino. Eppure, è un peccato, perché, nonostante qualche pecca di regia, si tratta di un’opera non solo intelligente, ma anche appassionante e molto ben recitata: assolutamente da vedere.

La storia è quella di tre ragazzi del sud Italia, Domenico, Angelo e Salvatore, che, affiliatisi alla Giovine Italia, di Mazzini, vivono alterne vicende, fra i moti carbonari e la presa di Roma. Da giovani rivoluzionari, animati da grandi sogni e desiderio di fare, i protagonisti  si dovranno confrontare con le amarezze della maturità, ma anche con la realtà di un movimento risorgimentale spesso diviso e disorganizzato, non privo di ombre, perchè votato all’azione violenta, e destinato a fallire perché incapace di coinvolgere il popolo. Così, l’unità d’Italia ormai quasi raggiunta,vedremo, attraverso gli occhi di Domenico, la delusione per l’essere semplicemente passati da un oppressore all’altro, da un’ingiustizia che parlava tedesco o spagnolo,ad una che si esprime con i dialetti del nord, ma che ha la medesima brutalità e prepotenza dello straniero. Quando i rivoluzionari, come Orsini, hanno ceduto alla violenza preparando attentati, non hanno fatto altro che peggiorare la situazione del nostro paese appena formato. Quando i democratici, si sono rimangiati la parola, e hanno permesso che il Risorgimento diventasse la guerra di una casa reale, hanno consegnato la neonata Italia ad una giovinezza sofferta. Rimane inascoltata l’unica voce femminile, forte e determinata tanto quanto dimenticata dai libri di storia. Chi conosce, in fondo, chi ricorda la Principessa Cristina di Beljoioso? Eppure fu una donna colta e anticonformista, brillante giornalista, e soprattutto sostegno spirituale ed economico dei gruppi rivoluzionari italiani. Nel film Cristina afferma con forza che per fare un’Italia unita e democratica, occorra educare la gente e insegnare agli inerti quali sono i loro diritti, perché possano scegliere di richiederli. È qui l’errore allora, ecco perché la missione di Pagano è fallita miseramente, ecco perché Domenico, alla fine del film, è costretto a vedere il figlio di Salvatore giustiziato per futili motivi dall’esercito sabaudo.

Certo, l’obbiettivo l’abbiamo raggiunto. Forse, non si poteva fare altrimenti. In fondo, poi la democrazia l’abbiamo avuta lo stesso. Che tipo di democrazia, viene da chiedersi.  Questo è un dettaglio, penseranno i più. Ma non lo è.

L’inerzia che affligge il popolo italiano, che permette l’astio fra nord e sud; che lascia che si facciano leggi per interessi privati; che fa si che un libero cittadino nelle sue funzioni venga inquisito perché il suo lavoro dà fastidio a questo o a quel potente; che ci fa chiudere gli occhi davanti ad una classe politica irresponsabile, è un male antico come le nostre origini. Si può credere oggi alla società civile, ai diritti uguali per tutti, alla giustizia? Si può credere all’Italia e cantare l’Inno, e con che coraggio? A 150 anni dall’unità esponiamo la bandiera alle finestre, la mettiamo come foto profilo su facebook, e poi ogni giorno, evadiamo le tasse; abbandoniamo i nostri connazionali; favoriamo la mafia con i nostri troppi silenzi e con il nostro voto, o peggio, il non voto, alimentiamo la corruzione della politica.  Nonostante questo, io, come  credo tanti altri italiani, sono convinta che il Bel Paese sia valso la vita di tanti giovani, sia valso le sofferenze,le lotte,le  eterne sconfitte. La nostra terra è ciò che siamo, ma dobbiamo impegnarci perché sia davvero nostra, come popolo, e non in mano a pochi potenti che giocano a fare i comandanti. Noi credevamo, dice Domenico nelle ultime scene del film. Spero, che potremo credere ancora, non nel senso di una convinzione cieca in valori che esistono solo sulla carta, ma che sapremo invece recuperare la speranza, e con essa la forza, di fare dell’Italia quella nazione che 150 anni fa si voleva già che fosse, ma che ancora non è.

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