Anoressia di vivere


Apre gli occhi, sono solo le 7. Si alza prima dei genitori per non fare colazione con loro. Una tazza di tè non zuccherata, oppure un caffè amaro se proprio non riesce a svegliarsi.
Fissa lo specchio del bagno con quel solito sguardo indignato, si scruta. Sposta lentamente la bilancia per salirvi sopra, senza far rumore, con uno sguardo questa volta implorante, prega il suo Dio ancora un attimo prima di veder apparire quel numero. Scende dalla bilancia come un automa, la sua mente pensa ad altro. Buoni propositi per la giornata, calcoli di kilocalorie in testa, come saltare il pranzo, panico per la cena a casa della nonna. È carnevale e sicuramente ci saranno dei dolci.

Dal greco anorexia, “mancanza di appetito”, l’anoressia nervosa si contraddistingue per la ricerca spasmodica, energica ed ossessiva della magrezza da chi ne è affetto, accompagnata dall’onnipresente terrore di ingrassare e dal conseguente rifiuto del cibo. Nelle donne dopo il menarca si accompagna ad amenorrea per almeno tre mesi consecutivi, alla percezione distorta della propria immagine corporea e all’interpretazione cognitiva erronea degli stimoli provenienti dal corpo.

La mattinata scorre velocemente. La liquerizia sulla lingua è amarognola. Le inibisce quel velo di fame che sente. L’acqua riempie il suo stomaco. Pensa al pranzo, oggi potrà gustarselo in solitudine. È felice perché grazie all’università può pranzare sempre fuori casa, sfuggendo al controllo dei genitori.

L’autostima, l’amore di sé, sono proporzionati al peso che la paziente porta addosso e al grasso che riesce ad eliminare.

Una mela sono 90 calorie, circa. Decide che per oggi il suo pranzo saranno quelle 90 calorie. Mangia la mela. Velocemente. E  quando l’ha finita non ricorda di aver nemmeno iniziato. Ma pazienza, ci vuol sacrificio e disciplina.

Agli sconvolgimenti psichici e somatici dell’adolescenza, l’anoressica non sa che rispondere se non con lo sviluppo della patologia, essendo inattuabile la riconciliazione dell’Io psichico con l’Io corporeo, dell’Io del passato con quello del presente. L’identità di anoressica è considerata in questa prospettiva come la conseguenza dell’adozione di un falso Sé.

È pomeriggio e cammina sicura verso la macchina, passa davanti ad una vetrata, si volta e si scruta nel riflesso. Il suo corpo è troppo grosso, e lei vorrebbe essere una piuma. Il suo stomaco brontola. La prossima vetrina è quella di una pasticceria. Si ferma a guardare i dolci. Li fissa con occhi assenti. Sta facendo merenda.

È un problema di interesse pubblico perché presenta uno dei più alti tassi di mortalità rispetto ad ogni altro disordine psichiatrico: a causa di disfunzioni elettrolitiche, infezioni legate all’aumento della vulnerabilità, all’inedia o al suicidio, si parla di una mortalità che raggiunge il 20%.

Questa sera non può mentire, niente cena con amiche o supposti compleanni. L’appuntamento con la nonna è irrevocabile. A tavola trema, con la paura di non resistere a tutto quello che ha davanti. È  piena di buoni propositi, ma non ce la fa: vince il diavolo tentatore. Inizia a mangiare tutto.Non vuole smettere. Finisce anche i dolci. Quando riesce ad alzarsi da tavola lo stomaco tira, forse scoppia. Quello stomaco che non riceveva un past “normale” da settimane adesso deve sopportare l’abbuffata.
Il bagno è troppo insicuro. Saluta la nonna con un bacio sulla guancia. La nonna le tocca le ossa delle s
palle sempre più acute e la rimprovera. Lei la rassicura con un sorriso tenero. Sale in macchina e guida. Scende al primo parco, si nasconde dietro un albero e mette le dita in gola.

Circa la metà delle persone con anoressia sviluppa bulimia, un disturbo dell’alimentazione che porta prima ad abbuffarsi con grandi quantità di cibo e, successivamente, a tentare di liberarsi del cibo ingerito per non ingrassare, ad esempio vomitando volontariamente, abusando di lassativi, facendosi clisteri o praticando esercizio fisico in modo compulsivo.

Sente l’anello di metallo freddo dell’indice sulla lingua calda. Vomita ad occhi sbarrati pregando di fare in fretta. Fa fatica perché a tavola non ha bevuto ed escono solo grossi pezzi che strozzano la gola. Si maledice. Insiste ancora un po’, ma si sente quasi le vene degli occhi schizzarle via. Tira fuori le salviette dalla borsa, sempre pronte per l’evenienza. Cancella i segni sul volto. Beve un sorso d’acqua e mette in bocca una gomma. Decide di andare a casa a farsi un tè, forse il mal di gola si calmerà.
Domani è un nuovo giorno e andrà meglio.

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