In Cina non piove


A mettere i bastoni fra le ruote alla  progressione della Cina verso il modello industriale occidentale non è un intrigo politico internazionale, un disastro informatico, o lo spuntare dei sintomi della libertà di stampa, ma, sic et simpliciter, la siccità.

Assenza di precipitazioni, forse la più prolungata degli ultimi 60 anni. Sono molte le province cinesi interessate, in particolare quelle di Shanxi, Henan, Shandhong, Anhui e Jiansu.  In queste regioni la siccità si associa alle basse temperature stagionali, la produzione agricola è seriamente a rischio.

Il Global information and early warning system on food and agricolture (Giews) della Fao ha lanciato una “Special alert”: «Una grave siccità invernale nella pianura nord della Cina può mettere a rischio la produzione di grano. Precipitazioni sostanzialmente inferiori alla norma dal mese di ottobre 2010 nella pianura a nord della Cina, principale area di produzione di grano invernale del paese, mettono a rischio il raccolto invernale di frumento che dovrebbe essere raccolto nel corso del mese di giugno»

Nel mese di gennaio del 2011 il prezzo nazionale di farina e frumento è aumentato dell’8% rispetto al mese precedente e del 16% rispetto al 2010.  Secondo il sito web di informazioni economiche Hexun il prezzo di una tonnellata di grano ha raggiunto i 2.865 yuan (circa 318 euro) sul mercato di Zhengzhou.

L’incremento dei prezzi in Cina si rifletterà in un aumento del costo dei generi alimentari (e non solo!) anche nei Paesi importatori, Europa compresa.

Curiosamente, per esempio, la siccità cinese ha già portato a una riduzione della distillazione di resina di pino, fondamentale nel processo produttivo dell’inchiostro, con un conseguente innalzamento dei costi di produzione di libri e giornali.

Pechino ha dichiarato l’emergenza nazionale e ha stanziato subito un budget di 10 miliardi di euro per aiuti economici ai contadini e quasi 50 milioni di euro ai governi provinciali.  Dallo Yangtze, il fiume più lungo della Cina, verranno deviate le acque per attenuare la siccità del Jiangsu, mentre le chiuse del tratto del Fiume Giallo che scorre in Mongolia Interna verranno aperte per dare respiro a Henan e Shandong. Inoltre, il governo centrale ha deciso anche il ricorso alla pioggia artificiale, là dove possibile.

Accanto all’emergenza economica si inserisce quella umana. Nei villaggi famiglie povere costrette a lavarsi con la stessa  tazza d’acqua per giorni mentre il governo ammette che circa 4 milioni e mezzo di persone quasi non hanno acqua potabile.

Verrebbe da pensare che il clima si stia ribellando contro il sopruso che subisce quotidianamente, in particolare proprio in Cina, dove  Il ricordo di Pechino percorsa da milioni di operai in bicicletta è solo una cartolina folkloristica scolorita dallo smog della motorizzazione selvaggia, dove il pescato del fiume Giallo si sta riducendo drammaticamente a causa degli scarichi industriali, dove le autorità spendono decine di miliardi per pulire il mare, ma poi programmano di coprire le coste con altre fabbriche e porti, dove il mare è invaso da alghe a confronto delle quali le mucillagini dell’Adriatico sono “plancton”.

Chissà se l’operaio italiano che letteralmente lotta per procurarsi il cibo ogni giorno più costoso, per conservare i diritti fondamentali del lavoro ottenuti faticosamente con anni di battaglie e che si trova privato del suo posto di lavoro perché l’industria disloca la produzione all’estero, magari nella stessa Cina, leggerà con una punta di amarezza queste notizie. Forse se la prenderà con il clima inclemente o forse con l’avidità e l’arrivismo dell’uomo.

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