Via Zamboni 38, tre anni dopo


Sullo scadere di una parziale esperienza universitaria ho tirato le somme.
Mi sono accorto subito di non sentire più gli stessi odori di prima, quell’aria filtrata dalle emozioni. Ma d’altra parte è durato poco: ben presto mi accorsi di quanto fosse malata l’università italiana, specialmente in alcune facoltà.
Un’ iscrizione all’esame sul momento
, il giorno stesso, a mano sulla bacheca di fianco allo studio del professore, il solito baronato, docenti decrepiti, incapaci di  insegnare o svogliati nel farlo, che non rispondono alle e-mail, irreperibili nell’orario di ricevimento perché sfruttato come appello di esame fuori legge, il profondo senso di distacco dagli studenti, la mancanza di professionalità o il suo eccesso, e soprattutto, l’assenza di un sorriso.
Sia ben chiaro, forse meno della metà dei docenti mi è parso comportarsi in questo modo; tuttavia è una cifra troppo alta per l’Università di Bologna, l’ateneo pubblico migliore di Italia, a quanto risulta dalle classifiche accademiche delle università mondiali, come l’Academic Ranking of World Universities, compilata ogni anno dall’Università Jiao Tong di Shanghai, e “Times Higher Education the top 200 world universities 2008“.

È giusto fare piazza pulita dei docenti che non mostrano con il loro comportamento il rispetto dovuto agli studenti paganti salate rette. La qualità dell’ istruzione non è forse fondamentale nel giocare il ruolo di quel sostrato che ci spinge a gettarci nel mondo del lavoro con serietà e professionalità? Non è fondamentale trovarsi di fronte a persone competenti, le quali entreranno a far parte dell’individualità dello studente, costruendone un pezzo della sua personalità?

Giungo al punto più sentito della mia critica: l’impostazione della didattica.
Prima di tutto, perché questo 3+2?, una perdita di tempo e soldi a danno dello studente e a vantaggio delle casse dell’Alma Mater, e quindi del suo tesoriere Unicredit Group.
Io, a parte dovute eccezioni, tornerei ai quattro anni per quasi tutte le facoltà, compresa Lettere e Filosofia. Quest’ultima purtroppo è afflitta dal grave problema della non linearità del percorso di studi, intensificato dalla riforma che prevedeva il passaggio da 5 e 10 crediti a 6 e 12, eliminando due esami all’anno e minando la qualità della didattica; inoltre lascia un’eccessiva libertà di scelta degli esami impensabile fino a tre anni prima. Una libertà pericolosa: non pone basi per impostare il proprio percorso, come era previsto nel vecchio sistema, seppur con dei difetti.

Come si può lasciare lo studente senza una guida, senza un percorso definito di esami obbligatori che passo a passo andranno a fondare, come tanti solidi mattoncini, le sue conoscenze? Ciò va a vantaggio dei pregiudizi. Ci siamo resi conto, nello stato di crisi economica attuale, di come la gente ragiona sull’università? I ragazzi scelgono la facoltà che piace loro o quella più remunerativa? Le persone hanno diviso le facoltà in due categorie mentali, quelle produttive e quelle non, ossia, rispettivamente, quelle che offrono lavoro e quelle che producono disoccupazione. Lo Stato non funziona e quindi non garantisce lavoro per tutti, crea facoltà fittizie con esami fittizi:  si sa fin dall’inizio, saranno pochi i privilegiati che lavoreranno ben pagati e a tempo indeterminato, almeno per ora.
Questo è l’inganno
.
Se ogni settore di conoscenza portasse invece al lavoro sicuro o quasi come si potrebbe organizzare ad esempio la mia facoltà? Relativamente al facile inserimento nel settore produttivo, dico io. Prendendo a modello il corso di laurea di Lettere, invece di cacciare i giovani in una nebulosa di esami sicuramente interessanti ma magari poco formativi, si potrebbe istituire nel primo anno di corso degli insegnamenti base obbligatori comprendenti tutte le branche principali della materia connesse agli sbocchi lavorativi, come l’insegnamento, la ricerca filologica e archeologica, l’archivistica, i media, l’editoria, la gestione e selezione delle risorse umane, per citarne i principali. Primo anno che dovrebbe fornire una panoramica generale, includendo esami teorici attinenti a tutti i settori e affiancandovi esperienze pratiche per indirizzare lo studente, l’anno successivo, verso il settore privilegiato.
Si procede con una serie di esami teorici obbligatori e nel caso ad esempio dell’insegnamento, bisognerebbe includere più ore dedicate a laboratori di didattica, miranti a costruire futuri insegnanti; così nel caso dell’editoria e dell’archivistica, puntando di più sugli strumenti informatici e sulle nozioni economiche di gestione e logistica, in quanto settori l’uno deputato al mercato, l’altro alla salvaguardia di opere culturali o contratti commerciali tra le aziende attuali.

3 Commenti

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  1. Selene Belingheri

    Bell’articolo davvero. E quanto capisco ciò che dici. L’univerità è talmente astratta che non sembra affatto la via migliore per entrare nel concreto mondo del lavoro!

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