Non plus ULTRAS… quello che la tv non dice


Prima di leggere questo articolo cancella tutti i pregiudizi sugli Ultras. Dimentica, solo per un attimo, la costruzione negativa di questo mondo, un po’ strano, che propone la televisione. Apriti a nuovi punti di vista.

Ho parlato con Marco, un Ultras, uno di quelli che la fede calcistica ce l’ha nel sangue (non è poi così cattivo come sembra!). Gli ho chiesto di farmi cambiare idea. Non ci sono volute molte parole. Queste sono state sufficienti: «Abbiamo donato ambulanze agli ospedali grazie alle collette della Curva, abbiamo raccolto e inviato soldi per la ricostruzione di un asilo all’Aquila. Nel 2008 abbiamo persino fatto una colletta in favore dei monaci tibetani feriti durante la repressione del regime cinese».

Lo avresti immaginato? Io no.

Ho ascoltato il racconto sulla sua seconda famiglia, gli Ultras appunto. Ho scoperto che sono realmente una grande famiglia: «Siamo tutti diversi, ma uniti dalla mentalità, dall’amore per la squadra, dalla tenacia nel resistere oltre 90 minuti in piedi sotto la pioggia, dal freddo o dal sole che brucia. Uniti dal riscaldarci con un coro cantato a squarciagola, dalla sicurezza dell’amico che ci dorme accanto in treno, dalla gioia di partire per una trasferta e dalla stanchezza del ritorno. Da quel panino diviso in due dopo ore di digiuno».

Tutto molto bello ed emozionante, ma la gente è piena di pregiudizi: un motivo ci sarà?

«Le persone che hanno pregiudizi sono quelle che non vivono sulla propria pelle lo stadio e il gruppo Ultras. Si fidano solo dell’immagine televisiva e di ciò che lo Stato vuol far credere». Iniziamo così a discutere su ciò che, a detta sua, questo Stato vuol far credere:

«Siamo dipinti come violenti che vivono lo stadio come un pretesto per lo scontro. Lo Stato, attraverso i telegiornali, mette in luce solo gli episodi negativi facendoci passare per i “cattivi”. Così ottiene ciò che vuole: la nostra completa emarginazione. E poi c’è anche il monopolio delle pay-tv (Sky, digitale terrestre e chissà quante altre in futuro), il caro-prezzi, le leggi-repressive, i biglietti nominativi, la tessera del tifoso e lo stravolgimento degli orari e dei calendari che ci stanno mettendo a dura prova».

Gli chiedo allora cosa si potrebbe fare per migliorare questa situazione che non giova né a loro né a chi lo stadio lo vorrebbe frequentare da non Ultras: «Tante cose. Agevolare l’accesso, non ostacolarlo. Approvare leggi un po’ più serie e non pagliacciate come vietare l’introduzione di striscioni e coreografie. Punire duramente i reati commessi, non adottare misure blande ed esclusivamente preventive come la diffida, della quale si abusa eccessivamente». Il discorso si sposta allora sulla nota dolente dei celerini: «Sono volontari, non persone scelte dall’alto. L’incarico viene assunto da chi ha “voglia di picchiare” e umiliarci e si sente giustificato a farlo solo perché, indossando la divisa, ha la legge dalla propria parte. Così ogni pretesto diventa buono per scatenare la rissa e, ovviamente, chi ci rimette è il tifoso, donna o uomo che sia è indifferente». Aggiunge anche che: « Davanti al manganello (impugnato rigorosamente in modo contrario – e illegale – per colpire col ferro) noi Ultras siamo spesso indifesi. Questo piace ai celerini: li fa sentire onnipotenti».

Ascoltando ho capito che per l’Ultras dare spiegazioni sul proprio modo d’essere è veramente complicato: «La gente comune non ci potrà mai capire fino a quando preferirà vivere dietro un vetro, quello della tv, piuttosto che infrangerlo ed entrare in contatto con la realtà. Vedere da lontano non serve: bisogna provare sulla propria pelle».

E alla fine della nostra chiacchierata mi rivela che: «lo scorso anno ho convinto mia madre a vivere in prima persona una trasferta. Volevo si rendesse conto di come la polizia ci tratta. Shock e spavento: ecco cosa ha provato. Ora la sua opinione in merito è cambiata».

Ma la colpa non può essere tutta dei celerini, e Marco me ne dà ragione. Sottolinea, però, che: « Se cambiasse il loro approccio nei nostri confronti, sarebbe tutto molto più semplice: si eviterebbero scontri e si respirerebbe un clima molto più disteso, proprio quello adatto alla partita della domenica».

Per concludere è d’obbligo un veloce riferimento ai fatti di cronaca recentemente accaduti. Mi riferisco ovviamente alla notte di scontri scatenata dalla partita Italia-Serbia. Vedendo quelle immagini di violenza diventa quasi impossibile potersi ricredere sul mondo Ultras. Il problema, mi dice Marco, è che : « Il calcio in questo caso c’entra davvero poco. E’ stata un’azione di violenza politica e mi chiedo come siano entrate decine di torce, coltelli e spranghe, visto che ai 1000 bambini delle scuole a cui la Figc aveva regalato il biglietto, erano state sequestrate le bottigliette di tè. Ancora una volta il lavoro delle forze dell’ordine mi lascia perplesso»

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