Sherlock vs Elementary


Sherlock - VSIl cosiddetto What if…? è una tecnica assai cara agli scrittori e agli sceneggiatori di tutto il mondo. Il suo funzionamento, di per sé, è piuttosto semplice: si prende un singolo aspetto di una tematica nota, lo si stravolge, e si passa alla descrizione delle conseguenze di quella modifica sull’intero arco narrativo.

Per esempio: come sarebbe cambiato lo status geopolitico mondiale se i nazisti avessero vinto la guerra contro gli Alleati? Quale piega avrebbero preso gli eventi se la navicella contenente il futuro Superman fosse precipitata nel bel mezzo dell’Unione Sovietica? Come sarebbe stato il mio umore all’uscita dal cinema se Storia d’inverno fosse stato sceneggiato decentemente?

Le declinazioni di uno stesso tema sono spesso molteplici, ed il risultato finale varia non solo in base al talento dello scrittore, ma soprattutto grazie all’originalità dello stravolgimento e in virtù degli studi compiuti per rendere nel modo più realistico possibile la variazione apportata all’evento storico o al personaggio scelto.

Nel nostro caso, parleremo delle prime puntate di due serie televisive che provano a rispondere alla stessa domanda: come si comporterebbe Sherlock Holmes se fosse vissuto ai giorni nostri?

Partiamo da Sherlock, produzione inglese del 2010 targata BBC. I suoi autori, ovvero Steven Moffat e Mark Gatiss, decidono di non alterare praticamente nulla della personalità del celebre consulente investigativo creato da sir Arthur Conan Doyle, concentrandosi piuttosto sul tipo di rapporto che Holmes avrebbe potuto avere con le nuove tecnologie.

John Watson (Martin Freeman) e Sherlock Holmes (Benedict Cumberbatch)

John Watson (Martin Freeman) e Sherlock Holmes (Benedict Cumberbatch)

Lo Sherlock interpretato da Benedict Cumberbatch mantiene infatti i tratti peculiari che lo contraddistinguono, come la logica deduttiva, la freddezza nei rapporti umani, lo spiccato gusto per la teatralità e la totale dedizione al suo lavoro. Semplicemente, i corposi dossier criminologici e i telegrammi – largamente utilizzati dal personaggio nelle sue avventure canoniche – vengono sostituiti efficacemente da computer e smartphone, senza per questo stravolgere i tratti del protagonista e dei comprimari.

Il primo episodio, Uno studio in rosa, segue molto fedelmente le vicende narrate nel quasi omonimo romanzo d’esordio del detective londinese, almeno per quanto riguarda gli ingressi in scena di Holmes e del dottor Watson (un ottimo Martin Freeman). C’è tutto: l’incontro di quest’ultimo con Stamford, il laboratorio in cui Holmes e il suo futuro assistente si conoscono, la scelta di dividersi l’affitto di un certo appartamento al 221B di Baker Street, e perfino la macabra scena (solo citata nel libro) in cui Holmes non si pone problemi morali nel frustare alcuni cadaveri all’obitorio per scopi scientifici.

La necessità di dare la maggiore enfasi possibile alla presentazione dei personaggi spiega come mai, in questa prima avventura, il caso da risolvere sia forse la parte meno interessante del tutto. Si tratta, in conclusione, di un ottimo prodotto, pensato anche per quanti non conoscano profondamente Sherlock Holmes ed il suo mondo, ma ricco di citazioni in grado di soddisfare anche i lettori più esigenti di Conan Doyle: si va dal messaggio recitante “Venga quando le è comodo. Se non le è comodo, venga comunque”, all’introduzione di un misterioso personaggio che si presenta a Watson come “il peggior nemico” di Sherlock. Si tratterà forse del temibile Moriarty? I fan più accaniti – grazie a due indizi presenti nel dialogo – sapranno certamente identificarlo subito.

Lo Sherlock Holmes interpretato da Jonny Lee Miller

Lo Sherlock Holmes interpretato da Jonny Lee Miller

Con un incredibile slancio di originalità, nel 2012 anche l’americana CBS decide di produrre il “suo” Sherlock: arriva Elementary, con Jonny Lee Miller nel ruolo del protagonista. La serie – ideata da Rob Doherty – vede un Holmes talmente diverso dall’originale da trascendere completamente il semplice What if…?, scadendo piuttosto in un altro tipo di What, molto meno nobile.

La prima puntata (Arma impropria) ci introduce in un universo narrativo completamente spiazzante:  Sherlock è un tatuato dallo sguardo spiritato, si è trasferito a New York ed è appena uscito da un centro per tossicodipendenti. Per accertarsi che non ricada nel tunnel, suo padre decide di assumere Watson, un’assistente post-riabilitazione in grado di monitorare al meglio l’illustre cliente.

Joan Watson (Lucy Liu)

Joan Watson (Lucy Liu)

No, nessun errore: l’apostrofo su “un’assistente” era necessario. Questo perché la storica spalla di Holmes, in questa serie, è una donna di nome Joan Watson, interpretata da Lucy Liu. Se a questo aggiungiamo che Sherlock entra in scena a torso nudo – esplicitamente reduce da una notte di passione con una ragazza – sembra già molto chiaro a cosa punti la serie riguardo al loro rapporto futuro. Di tutti gli stravolgimenti apportati, probabilmente questo è il più disorientante per quanti conoscano bene Holmes: per lui, infatti, l’amore e il sesso minacciavano di costituire “un fattore di disturbo” tale da “inficiare i risultati della sua mente”; tanto che l’unica donna per cui provi ammirazione, Irene Adler (apparsa unicamente nel racconto Uno scandalo in Boemia, ma presente in un ruolo più ampio in entrambe le serie), è stata una delle pochissime persone in grado di sfuggire alle sue trappole.

“Watson, venga quando le è comodo. Se non le è comodo, venga comunque. In ogni caso, porti del rum”

“Watson, venga quando le è comodo.
Se non le è comodo, venga comunque.
In ogni caso, porti del rum”

Non solo: lo Sherlock letterario (ma anche quello di Cumberbatch) era dotato di una classe che non si può riconoscere affatto al personaggio di Jonny Lee Miller, più simile semmai ad una versione edulcorata e metropolitana di Jack Sparrow.

Se non pretendesse di ispirarsi a Conan Doyle, Elementary potrebbe essere una serie tutto sommato accettabile, per quanto non eccessivamente originale: molti altri serial hanno puntato su un protagonista eccentrico e capace di deduzioni brillanti (ad esempio, il Detective Monk con Tony Shalhoub), omaggiando Holmes semplicemente infondendo la sua caratteristica principale in un personaggio nuovo. Rob Doherty avrebbe dovuto battere la stessa strada: Elementary è infatti frutto di una rilettura talmente libera da non avere più senso chiamarla tale; non è rimasto assolutamente nulla dell’originale, ad eccezione del nome e della logica deduttiva.

"Come si evince dalla scarpa sinistra dell'arbitro, vincerà lo Spezia per 1-0, grazie al gol di Conedera al quarto d'ora della ripresa"

“Come si evince dalla scarpa sinistra dell’arbitro, vincerà lo Spezia per 1-0, grazie al gol di Conedera al quarto d’ora della ripresa”

Che, beninteso, non rende comunque capaci di prevedere il risultato di una partita di baseball, come accade alla fine della prima puntata.

6 Comments

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  1. Dani

    Di Elementary ho visto tre puntate (in cui tra l’altro si scopriva che anche Moriarty è una donna) e l’ho trovato orribile. Sherlock mi ha invece entusiasmata nella prima stagione, per poi deludermi totalmente con l’entrata in scena proprio del “suo” Moriarty (ridicolo) e con il pessimo deus ex machina alla fine della seconda-inizio della terza tranche. E’ sicuramente un buon telefilm con degli ottimi attori e “uno studio in rosa” è probabilmente la puntata migliore, ma andando avanti a mio parere cala di qualità e fedeltà ai personaggi. Anche se mai, mai quanto Elementary.

    • Marco Frongia

      Andrò sicuramente avanti con la visione, e probabilmente tornerò a parlarne. Spero, ovviamente, di essere in disaccordo con te (ma è capitato di rado, e dunque… tremo un po’)!

  2. Luigi Ercolani

    Allora, partiamo da una premessa: io ho visto tutte le puntate di Elementary, tutte quelle di Sherlock e tutte quelle di The Mentalist, serie tv che si rifà palesemente al personaggio di Sherlock Holmes. Questo per dire che, insomma, qualcosa in tema so.
    Detto questo trovo che una critica del genere sia un mezzo disastro. Tenuta per buona (anzi, ottima) la parte che descrive “Sherlock” della BBC, quella di “Elementary” è un inno all’ imprecisione, anzitutto perché va contro uno degli assunti del personaggio che prende in esame ( il famoso “adattare la teoria ai fatti invece che i fatti alle teorie”). Analizzando un singolo episodio non si può certo avere un’ idea precisa della serie, e men che meno ci si può permettere di lanciarsi in tanto banali quanto ovvie previsioni (“Non c’è nulla di più sfuggevole dell’ ovvio”, sempre del beneamato SH). Volendo essere più precisi, non c’è nulla che in quasi due stagioni lasci presagire una relazione tra Holmes e Watson che vada oltre la collaborazione professionale. Tant’ è che vero che lei finisce a letto con Mycroft (chiedo scusa per lo spoiler) e lui con… tante altre.
    Tralasciando l’ inopportuno sarcasmo dell’ ultima immagine (ma quella di Jack Sparrow al contrario è divina!), concludo dicendo che se Sherlock si riassume nella frase: “ Come si comporterebbe Sherlock Holmes se fosse vissuto ai giorni nostri?”, Elementary segue la logica del: “Come sarebbe uno Sherlock Holmes nato ai nostri giorni”. Con tutte le contraddizioni, l’ influenza delle tematiche contemporanee.
    Non è un concetto meno valido, è solo un modo diverso di interpretare Sherlock.

    • Marco Frongia

      Ovviamente, se “Elementary” gode di tutto il successo che ha, è chiaro che non sei l’unico a pensarla così.
      Adattare Holmes ai tempi moderni è una scelta che può piacere o non piacere ai fan, tant’è che – di sicuro – non sono il solo a conoscere appassionati di Sherlock che non hanno gradito neppure la versione BBC del personaggio (la stessa Dani, qualche commento fa, si dice delusa dal prosieguo della serie, tanto per dirne una).
      Neppure io penso che analizzare solo una puntata sia esaustivo, ma ero più interessato a confrontare lo stile che i due serial hanno adottato nell’introdurre lo spettatore alla variazione temporale, più che valutare i prodotti per intero. Basandomi unicamente su questo, “Elementary” mi ha spiazzato e scontentato in una maniera tale da non invogliarmi a proseguire la visione: un paio di esempi sono proprio il cambio di sesso di Watson, il rapporto di Sherlock con le donne ed il finale con la deduzione sul punteggio della partita di baseball, che francamente ho trovato fin troppo irrealistica persino per un uomo con le doti del nostro eroe. Trattandosi di elementi caratterizzanti – e non di licenze circoscritte ad una sola puntata – non ho ritenuto valesse la pena digerirle, e questo rende improbabile, da parte mia, una seconda chance ad “Elementary”.
      Sono gusti; in ogni caso, sono felice di aver ricevuto queste opinioni da chi (come te) apprezza e conosce profondamente il personaggio originale.
      Come ho scritto, se questa serie avesse avuto per protagonista un personaggio che si limita ad omaggiare Holmes (senza pretendere di incarnarlo), probabilmente l’avrei seguita più volentieri.
      Detto questo, lancio una proposta: impegni pregressi permettendo, ti sarebbe possibile preparare una puntata di “SeriaMente” in difesa di “Elementary”? Secondo me sarebbe interessante!

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