“Guido suonava il violino”


Un’opera teatrale per la Giornata della memoria 2020        

“[L’oggetto] ha una memoria dentro di sé. Puoi vederla o no. Dipende da chi lo guarda.”
(Nicoletta Fasano, “Un Violino”)

La Casa degli Alfieri di Asti, in collaborazione con l’Istituto per la Storia della Resistenza della Provincia di Asti, ha realizzato un nuovo lavoro teatrale che debutterà in occasione della Giornata della Memoria alla quale è dedicato.

L’allestimento è stato curato da Archivio Teatralità Popolare e casa degli alfieri

“Guido suonava il violino”

Liberamente tratta dal racconto “Un violino” di Nicoletta Fasano, la vicenda si ispira a fatti e persone realmente esistiti. È basata sulla documentazione raccolta dalla dottoressa Nicoletta Fasano, ricercatrice dell’Istituto per la Storia della Resistenza della Provincia di Asti.

Dal racconto…

Un vecchio violino entra prepotentemente nella quotidianità di una ricercatrice. Un oggetto antico, nulla di più. Ma la costringe  ad abbandonare il suo rassicurante, scientifico metodo di indagine e le chiede di dedicarsi, anima e cuore, alla ricostruzione di una storia da salvare dall’oblio.
Quel violino uscito dalla polvere di una cantina pare dotato di volontà propria: stride, geme, chiama con veemenza e ottiene ascolto. Racconta la vicenda di una famiglia ebrea sfollata ad Asti al tempo delle leggi razziali e della guerra, con gli immancabili risvolti di sradicamento, discriminazione, deportazione.  

Attraverso un sofferto percorso di ricerca, soprattuto dentro se stessa, la ricercatrice comprenderà che restituire il nome al proprietario del violino è affermare la sua esistenza. Un atto di resistenza contro il sistema nazifascista, progettato per annientare, spersonalizzare.
Chi sono i “sommersi”, chi i “salvati”, allora come oggi? Chi i complici? Quali i giusti? Come si costruisce un mostro?

Dove si colloca la protagonista stessa, nel suo mettersi in gioco – donna sensibile prima ancora che investigatrice – per svelare la verità intorno a questa vicenda?

…al palcoscenico      

Un monologo teatrale tutto al femminile scritto e diretto da Patrizia Camatel e con protagonista l’attrice Elena Formantici.

Il nodo centrale del lavoro teatrale non è tanto l’Olocausto, ma ciò che l’ha preceduto: la vita di un individuo, di tanti individui, ognuno con le proprie gioie, miserie, speranze, sogni, scelte e legami.

“Elaborare la riduzione teatrale di un testo narrativo, ove per riduzione non si intenda impoverimento, è un’impresa ardua”, commenta la regista Patrizia Camatel.

“Lo spettacolo che ne è risultato è un monologo teatrale che, mi auguro, conserva la sua ‘consanguineità’ con il testo-fonte, ma che ha acquisito un suo carattere specifico, una sua vita autonoma. Esso si svolge come un racconto giallo e assume le misteriose atmosfere di un thriller a carattere storico. Se il contributo di un libro, di un’opera teatrale possa smuovere qualcosa o qualcuno nella società di oggi, non sta a me dirlo. Personalmente credo al potere nascosto nel battito d’ala di una farfalla, che – si dice – può scatenare l’uragano ai tropici. Ma se anche il lettore, o lo spettatore, non condivide un punto di vista così ottimistico, forse più facilmente sarà d’accordo nell’ammettere che il non fare nulla, il non dire nulla, non è d’aiuto a nessuno”.

 

Un monito attualissimo a non lasciar indietro nessuno. L’altro esiste, ci cammina a fianco, ha un nome. Perché se si ha il coraggio di guardarlo negli occhi e chiamarlo per nome, forse sarà possibile evitare che in altri tempi, in altri luoghi, si permetta che uomini, donne e bambini “anonimi” soffrano e muoiano nell’indifferenza generale.

Giacere sul fondo

Sono parole di Primo Levi, un capitolo di “Se questo è un uomo“. Cosa significa “giacere sul fondo”? Lasciamo la risposta a Primo:

“Si immagini ora un uomo a cui, insieme con le persone amate, vengano tolti la sua casa, le sue abitudini, i suoi abiti, tutto […], sarà un uomo vuoto, […] dimentico di dignità e discernimento, poiché accade facilmente, a chi ha perso tutto, di perdere se stesso”.

“Considerate se questo è un uomo […] Considerate se questa è una donna, […] Senza più forza di ricordare […]”.

La memoria umana è straordinaria. Ma i ricordi non sono incisi in modo indelebile come su una pietra. Con gli anni tendono a scolorirsi, cancellarsi o modificarsi.

Ma talvolta capita tra le mani un oggetto, dimenticato, vecchio e polveroso.

Si prende quell’oggetto, lo si pulisce, lo si lucida e lo si sta ad ascoltare. E la memoria ritorna. E si deve ricordare.

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