Vampire Weekend – Father of the Bride (Spring Snow – 2019)



VOTO 3.5/5

 

Navigando senza bussola

 

 

Ed eccoci qui, dopo sei anni di silenzio, con un nuovo lavoro dei Vampire Weekend. I quattro ragazzi newyorkesi che avevano onorato la scena indie-rock americana della fine dei 2000, sono rimasti in tre, dopo l’allontanamento del polistrumentista Rostam Batmanglij, che compare comunque in diversi brani del disco.

La band, sempre più incentrata sul funambolico songwriting di Ezra Koenig, torna sulla scena con Father of the Bride, nuova fatica composta da ben 18 tracce, che raramente superano i tre minuti, ma che sono bozzetti solo in apparenza, perché tutto si può dire dei Vampire Weekend, tranne che qualcosa nei loro lavori sia fuori posto.

La proverbiale schizofrenia artistica della band ritorna con tutto il suo bagaglio di arrangiamenti a volte grotteschi, spesso imprevedibili, un tritacarne di generi che, come in passato, disorienta con leggerezza ma soprattutto non annoia. La numerosità dei brani, per una durata totale di un’ora scarsa, dice tanto su quella che è la sensazione al primo ascolto: una frenetica carrellata di fotografie sonore. 

L’album si apre con un brano che suona come un prologo, la folkeggiante Hold you now, cantata in duetto con il contributo squisito di Danielle Haim (voce e chitarra della band Haim), che per l’occasione si tinge di un sound country un po’ seventies intervallato a delle Sacred Harp storpiate nel refrain;  ma è subito tempo di leggerezza con Harmony Hall, il primo dei numerosi papabili singoli di questo disco. Qui l’atmosfera resta bucolica ma inizia a fare capolino qualche amato elemento caraibico, da sempre presente nel sound del gruppo, oltre al verso “I don’t wanna live like this, but I don’t wanna die”, già mantra del brano Finger Back del precedente album Modern Vampires of the City.

Bambina, con il suo curioso ritornello in parte in lingua italiana, è un ritorno al passato, nel più classico stile di album come Contra (2010).

My Christian heart cannot withstand
The thundering arena
I’ll see you when the violence ends
For now, ciao ciao, Bambina

Ed ecco arrivare il singolo This Life, con un testo in quasi totale contrapposizione rispetto la sua melodia spensierata, è quello che si potrebbe chiamare un istant classic della band, chitarre jingle-jangle e ritornello appiccicoso, questa volta infarcito con cori bizzarramente filtrati in un tremolo; ci si rilassa con la successiva Big Blue, di nuovo dalle sfumature folk e chitarre slide, ed How Long?, che sembra uscire direttamente dal precedente Modern Vampires of the City (2013).

Il ritmo ed i cambi di passo sono frenetici, a volte anche troppo, ma un momento di requie arriva con la intensa e vellutata Unbearably White, che è l’epicentro del disco, nonostante sia paradossalmente quasi fuori contesto; gli arrangiamenti si riducono, fa capolino il ritaglio di un’orchestra provvidenziale nel refrain, non c’è fretta, né bisogno di mettere sul tavolo tutta la mercanzia.

 

Sooner or later
The story gets told
To tell it myself would be unbearably bold
Presented with darkness
We turn to the light
Could’ve been smart, we’re just unbearably bright

La distensiva Rich Man ruota tutta attorno al sample di un riff di chitarra improvvisamente avvolto da un’orchestra, mentre si calca troppo la mano nel secondo duetto con Danielle Haim, Married in a Gold Rush, che ricorda troppo da vicino i Sonny & Cher di It Never Rains in Southern California; va benissimo non prendersi troppo sul serio ma a volte si esagera…

Dopo l’interessante struttura a collage della struggente My Mistake, si entra in una spirale lisergica costituita dal trittico SympathySunflower e Flower Moon; tra cavalcate bizzarre che ricordano alcuni momenti grotteschi di Lee Hazlewood, funky stralunato e ritmi caraibici come li avrebbero suonati i Beatles del Magical Mistery Tour, si attraversa un caleidoscopio che ci porta al pezzo più intenso e spoglio del disco: 2021, è una fragilissima ballata che richiama gli ultimi lavori di Bon Iver, che riesce ad incantare in 1 minuto e 38 secondi.

2021, will you think about me?
I could wait a year, but I couldn’t wait three (Boy)
I don’t wanna be (Boy)
2021, will you think about us?
Copper goes green, steel beams go rust (Boy)

We Belong Together e la successiva Stranger divertono con il loro spirito hippie acustico ed i giochi d’incastro, ancora una volta con la onnipresente Danielle Haim, mentre la penultima Spring Now, in bilico tra una bachata ed un mambo a tinte altamente sintetiche, sembra solo un divertissement in attesa della chiusura del disco.

E la chiusura puntualmente arriva con la bella ed elegante Jerusalem, New York, Berlin, in duetto con, neanche a dirlo, l’onnipresente Danielle Haim.

Oh, wicked world
Just think what could have been
Jerusalem, New York, Berlin

https://youtu.be/Sub9jldNejc

I Vampire Weekend non hanno di certo mai peccato di prevedibilità, e lo dimostra anche la variopinta attività di Ezra Koenig, che passa da duetti con Karen O per la colonna sonora del film HER, alla collaborazione per il tormentone dance Barbra Streisand di Duck Sauce (si proprio quello!); il problema dell’ex enfant prodige risiede al contrario nella sua troppa facilità nel muoversi tra generi e attitudini, cosa che a volte fa perdere la messa a fuoco ai lavori del terzetto di New York, come accade infatti anche per questo nuovo lavoro.

Tra le 18 tracce di questo disco molti sono i momenti appassionanti, moltissimi quelli che sorprendono, ma l’impressione, ancora una volta, è di qualcosa che poteva essere, ma che non ha preso del tutto forma; la differenza più evidente in quest’ultimo Father of the Bride si trova invece nell’evidente emancipazione del nostro Ezra dal resto della band, somigliando più ad un episodio solista, come testimoniato anche dalla nutrita schiera di musicisti che accompagnano ogni brano.

Resta comunque il fatto che se questo è il risultato di un difetto di mira… ben vengano altri infiniti tentativi di una delle band più originali ed imprevedibili della scena (ormai) mainstream.

 

I Vampire Weekend sono attualmente impegnati in tour mondiale e toccheranno l’Italia in un’unica data italiana il 9 luglio al Circolo Magnolia di Milano, formazione allargata e sound rinnovato potrebbero essere buoni motivi per non perdere l’occasione.

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