Smartphone: nelle scuole francesi saranno off limits


Da gennaio 2018 in Francia non sarà più permesso l’uso degli smartphone in classe, esattamente come il presidente francese Emmanuel Macron aveva promesso in campagna elettorale. Il ministro dell’Educazione Jean-Michel Blanquer ha fissato con il rientro dalle vacanze, l’inizio di ferrea attuazione della legge che proibisce l’uso del cellulare in classe e il motivo principale è:

“… le famiglie devono comprendere che è una questione di salute pubblica. Stare troppo davanti allo schermo fa male ai bambini.”

Come attuare questa regola? L’idea attualmente presa in considerazione dal ministro è quella di far riporre i malefici marchingegni in appositi armadietti, che saranno comunque a portata di mano nel caso in cui vi fossero urgenze. In questo modo dovrebbe essere possibile impedire l’utilizzo dello smartphone durante le ore scolastiche.

Sono diverse le domande che sorgono a seguito di quest’imposizione. Ci si potrebbe interrogare sia sull’effettiva attuazione pratica di questo divieto, sia sulla sua reale efficacia nei confronti di diverse dinamiche sociali che stanno diventando, per rimanere in linea con il tono del ministro francese, “endemiche” nella società occidentale.

Una legge realmente applicabile sul piano pratico?

Sicuramente tutto è applicabile, ma quanto sia efficiente il metodo è un altro paio di maniche. Tenendo in considerazione l’unica ipotesi paventata fino ad ora, ogni giovane dovrebbe posare il proprio smartphone in questi armadietti prima di incominciare le lezioni. L’alternativa più semplice potrebbe essere quella di lasciare direttamente il proprio apparecchio telefonico a casa… Vabbè, ci piace spararla grossa ogni tanto. Quello che replicano i docenti d’oltralpe è che questi armadietti potrebbero anche essere oggetto di furti e loro non possono prendersi l’ulteriore onere di controllare che ciò non accada. Inoltre, non hanno sicuramente la possibilità di perquisire ogni singolo alunno affinché rispetti la norma. Insomma già dal lato pratico ci sono delle difficoltà e delle rimostranze e il buon vecchio metodo del “tutti i cellulari sulla cattedra“, che si è soliti applicare durante gli esami di stato, sembra essere quello con più margine di successo. Come il governo francese voglia risolvere la questione dal punto di vista pratico non è ancora ben chiaro e sembrerebbe essere una missione davvero ardua da portare a termine senza sollevare una nube di proteste.

La soluzione sta nel divieto?

Il dubbio che vorrei sollevare sta nell’effettiva efficacia della proibizione. L’utilizzo degli smartphone è in costante crescita, in particolare nelle generazioni y e z, al punto che l’idea stessa di proibirne l’uso trema se rapportata all’espansione del mezzo. In una società dove sempre più situazioni e azioni della nostra quotidianità vengono coadiuvate dalle applicazioni sugli smartphone, o addirittura completamente espletate dall’apparecchio stesso, è chiaro che il loro utilizzo sia sempre più pervasivo nella vita delle persone. Il timore espresso dal ministro dell’educazione riguardo il danno che il costante uso del cellulare può arrecare ai ragazzi è sicuramente da rispettare e considerare reale, sia dal punto di vista medico che sociale. L’idea che i giovani abbiano per certi versi mutato il loro modo di relazionarsi in funzione delle nuove opportunità offerte dagli smartphone non è così stramba o surreale ed effettivamente sono già stati fatti diversi studi e scritti molti articoli in merito (un recente articolo della CNN sottolinea ed espone la questione della dipendenza da smartphone in maniera dettagliata).

Supponendo che ci si trovi di fronte ad un effettivo problema di dipendenza strutturale dei giovani all’utilizzo del cellulare e che questo causi dei danni da cui proteggerli anche a costo di fare una legge che ne vieti l’utilizzo in classe, cercare di curare una dipendenza eliminando di netto ciò che la procura è davvero il modo migliore, il più efficace? Siamo di fronte ad un comportamento nuovo, un’abitudine nuova, che deve essere nel caso accompagnato e aiutato a non uscire da dei margini oltre i quali si incorre in qualcosa di dannoso. Per fare ciò non ci si può impiegare un giorno, un mese, un anno, perché sono percorsi che maturano nel tempo solo investendoci energie e risorse a lungo termine. Continua a mancare una vera attenzione alla creazione di una cultura digitale, ad ogni livello, che permetta di stare al passo frenetico dell’evoluzione di usi e costumi correlati alle nuove tecnologie. Sarebbe forse più opportuno un percorso formativo dei giovani verso un utilizzo più ponderato e coscienzioso degli smartphone, fargli scoprire l’importanza di relazioni face to face e le priorità d’attenzione cognitiva nel momento che si è a scuola o a lavoro. Si potrebbe però obiettare: chi è che decide quale sia il metodo più o meno coscienzioso? Chi definisce il giusto e sbagliato? Quelli che stanno ancora imparando ad usare gli smartphone a metà del loro potenziale? Coloro che ne sono esperti? Ci si rende facilmente conto che il dibattito è complicato e ricco di ostacoli, ma se non si vuole continuare a rincorrere un cambiamento tanto complesso bisogna incominciare ad affrontarlo seriamente e a livello strutturale.

E in Italia? Dialogo con una docente.

Ovviamente la notizia della legge francese ha avuto il suo eco anche nel nostro Paese ed è anche per questo che ho voluto affrontare la conversazione con qualcuno che avesse le mani in pasta nel mondo scolastico italiano. Ho avuto modo di discuterne con una giovane docente e la prima cosa che mi è stata detta dopo aver esposto la norma del ministro Jean-Michel Blanquer è stata: “Sono d’accordo. Io per avere l’attenzione e dei risultati migliori dai miei alunni in classe devo costringerli a lasciare i cellulari sulla cattedra, perché sennò non finiscono mai i lavori che si dovrebbero svolgere interamente a lezione, sono sempre a guardare il loro smartphone“. Personalmente mi ha solo in parte stupito questa sua affermazione e le sue successive parole hanno dato ragione al mio scarso stupore. Questa giovane insegnante, infatti, mi ha espresso effettive problematiche che attualmente impediscono un serio lavoro sul tema. In primis la scarsa preparazione del corpo docenti ad affrontare queste situazioni che lei stessa definisce di dipendenza quasi ossessiva, come se ai giovani mancasse il fiato se non riescono a controllare se ci sono nuove notifiche. Allora ho provato a proporre qualche idea, come iniziare qualche collaborazione con enti educativi che si occupano del tema oppure svolgere qualche lavoro interno all’istituto come il far comunicare concetti simili tra due classi prima via smartphone e poi di persona per esaminare poi le differenze insieme. Una sorta di percorso di educazione civica digitale. Ma anche qui la mia interlocutrice ha scosso la testa e sconsolata mi ha posto di fronte ad un altro endemico problema in Italia, l’enorme burocrazia che bisogna affrontare prima di riuscire a mettere in atto queste mie proposte. Di fronte a questo punto, purtroppo, ci si può solo augurare che vi sia un’attenzione seria e una volontà forte nel voler affrontare il tema da parte delle istituzioni, magari non come hanno deciso di fare in Francia, ma almeno lì hanno incominciato.

2 Comments

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    • Riccardo Tacchetto

      Ciao Antonella, mi piacerebbe sapere a quale parte dell’articolo ti riferisci: in merito al bando dei cellulari o ad altre parti della riflessione sul tema?
      Grazie 🙂

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