Tutti i colori di Rio


Rio de Janeiro l’ho sempre associata all’immagine di tanti pennarelli lanciati in aria, e lasciati rotolare.  Mi immaginavo una città con mulatte in bikini fiorati, cocktail tropicali, samba e falò in spiaggia. Ma nei quattro giorni in cui mi trovavo nell’ombelico del Brasile, c’è stato un piccolo contrattempo: pioggia. Ha piovuto così tanto, che Rio è diventata una tavolozza di colori annacquati. Così, per non lasciare che il ricordo di quei giorni si sciacquasse via, ho cercato dei colori per non dimenticare.

Rosso: è il colore del Pau Brasil, un albero noto come Ibirapitanga Tupinambá (l’albero dei tupinambá).  I Tupinambà erano una tribù brasiliana che si dipingeva il corpo bollendo il legno di quest’albero. I coloni appena sbarcati rimasero affascinati da ciò, e sfruttarono l’albero nella produzione di colorante rosso per l’industria tessile europea. Questo fatto, insieme all’uso del legno rosso, ha determinato la quasi estinzione della pianta. Io l’ho visto la prima volta al giardino botanico di Rio, dove speravo di trovare dell’insalata da rubare, visti i prezzi esorbitanti dei supermercati della città. Considerato albero sacro dai brasiliani, ho aspettato invano che mi parlasse per confidarmi i segreti dell’universo. O che perlomeno mi dicesse se fossero nate prima le gocce di pioggia o le nuvole. Nessuna risposta illuminata, a parte l’urgenza di fare pipì dopo un’ora che lo fissavo.  Il giardino era umidiccio, con piante tropicali, scimmie appese ai tronchi e orchidee che odoravano di cioccolato e varechina. Siamo poi capitati nel giardino dei colibrì, dove ho assistito al battito d’ali più veloce al mondo. Ilbattitodalipiuvelocedelmondooo.

1475319220811Grigio: il colore primario di questi giorni a Rio. Armati di costume da bagno, asciugamani e pinne, siamo stati accolti da un tappeto di nuvole color pece. Abbiamo quindi deciso di non tuffarci in mare, bensì di fare compagnia alle cozze sugli scogli, godendoci la vista di surfisti che neanche Baywatch.
Avevo però un obiettivo a cui non avrei rinunciato per nulla al mondo: vedere il Cristo Redentore. Quell’immensa statua che abbraccia la città dall’alto, che piange sulle sparatorie tra le più grandi favelas e che sorride alle migliaia di incontri che nascono nei locali sulle strade. Avevo pure il profilo Facebook con l’immagine di quella statua imponente, simbolo della terra che sarei andata a visitare.
I primi tre giorni fissavo in continuazione il Corcovado, ma non vedevo altro che nuvole.  Ad ogni curva guardavo in alto, sperando che comparisse quel tizio in tunica ad abbracciarmi, come segno di benvenuto divino. L’unica volta che la nuvola si è assottigliata, il Cristo era rivolto di spalle. E poi è sparito. Ho chiesto ai miei amici per un’ora il perchè quell’enorme statua mi desse le spalle. Che cosa gli avevo fatto di male? Insomma, i soldi per il viaggio li avevo guadagnati con fatica, avevo servito gelati per oltre tre mesi! I miei amici non ne potevano più; loro l’avevano giù vista anni prima quell’inutile stuatua. Volevano solo rilassarsi. “Vai sull’altra montagna, Cristo santo, ci vediamo stasera” mi han detto spedendomi al Pan di Zucchero.

Blu: è il colore che ho visto dal Pan di Zucchero, la seconda montagna più famosa di Rio. Il Pao di Acucar è raggiungibile a piedi o con una funivia, sospesa tra cielo, terra e mare. Il progetto è nato dal sogno di Augusto Ferreira Ramos, ingegnere avveniristico con tre grandi qualità. Ha avuto un’idea geniale, ha pensato ad un progetto per realizzarla e ha saputo trascinare gli abitanti di Rio nell’avverarsi di quella sua follia. La volta in cui presentò le sue carte al sindaco, questo gli disse: “Augù, manca un pezzo al tuo progetto. 1475329755049Il filo che va dalla cima del monte al manicomio”. Ma ha continuato a crederci, realizzando il suo sogno. Io ero felicissima di salirci, convinta che con quel nome avrei trovato nuvole che profumavano di zucchero filato e praline colorate su cui sedersi. Ho anche sperato di incontrare la strega di Hansel e Gretel come addetta alla pulizia dei bagni, in cima. Alla biglietteria ho chiesto un ticket per il pene di zucchero, e la tizia ha fatto il possibile per non ridermi in faccia. Da lassù, ho visto tutta Rio, accerchiata dal blu scuro del mare e immersa nel grigio del cielo. Mi sono voltata di scatto verso il Cristo Redentore, se mai si palesasse mentre ero girata di spalle. Niente da fare: era ancora avvolto da quella nuvola collosa.

 1475329856202Verde: vista dall’alto, Rio è un puzzle di tasselli blu, bianchi e verdi. Come una coperta di patchwork, dove convivono il verde dei parchi e il bianco degli edifici cittadini. Dove lottano il verde delle montagne e il giallo delle baracche delle favelas, come funghi infestanti. Ad ogni scorcio si osservano queste piccole case ammucchiate come scatoloni colorati, in bilico sui pendii delle città. Prima di andare a dormire, ho pensato che se tutti gli abitanti di queste baraccopoli si mettessero d’accordo, potrebbero uscire dalle case e scendere giù in città mettendo a ferro e fuoco le case dei quartieri più ricchi. Occupare le zone urbanizzate dove ci sono strade, acqua ed elettricità. Ma in molte di queste case improvvisate vivono persone che lavorano il giorno in città e che non possono permettersi un appartamento.  Verde è quindi il colore di tutti gli alberi e le piante che occupano maestosamente le strade. La diversità di queste specie di alberi rendono la città varia e speciale. Così è per gli abitanti.  Verde è la speranza che ogni persona di questo paese possa vedersi riconosciuti i diritti, sopravvivere e camminare maestosamente nella città bassa, senza dover elemosinare nulla.  

Giallo: il colore dei taxi. Girando per le strade, i taxi sono più numerosi delle automobili private. Si accalcano, affiancano, strisciano e s’atteggiano come i padroni dell’asfalto. Arrivati alla rodoviaria, la stazione degli autobus, non abbiamo potuto richiedere un uber per farci portare all’appartamento. L’applicazione sul cellulare diceva “Scordatevelo. Gli uber qui li uccidono”. C’è infatti una silenziosa battaglia tra i taxi e i guidatori anonimi degli uber, cittadini che usano la propria automobile per trasportare a basso prezzo chiunque li chiami. E’ successo più volte che qualche uber venisse assalito e accoltellato da un tassista. Semafori verdi che diventavano rosso sangue. Per questo quando scendo dall’uber dico sempre “grazie zio!”, convinta che nessun tassista si chieda perchè mio zio mi trasporti sul sedile posteriore e mi faccia pagare 10 reals per accompagnarmi. L’ultimo giorno a Rio ho detto all’Uber che ero in ritardissimo per prendere l’autobus di ritorno.

1475490649807Quello ha iniziato a slalomare nell’ingorgo, spiegandomi che era stato pilota d’aerei per sette anni, prima di dover abbandonare a causa di un problema al ginocchio. Mi aspettavo che quella Ford Fiesta iniziasse a volare, e in effetti sono arrivata un minuto prima che il bus partisse. A quel pilota d’asfalto ho lasciato venti reals di mancia perché non avevo tempo di prendere il resto. Gli ho detto di comprarsi un ginocchio nuovo perché come Uber era davvero sprecato. Ciao zio, grazie!

Marrone: il colore del divano del salotto dove il migliore amico di Fernanda, Lukas, ci ha ospitato per una notte. Fernanda è la mia amica brasiliana, capace di trascorrere il weekend a Rio fumando sigarette in appartamento e discutendo di politica e di arte. Sapevamo che tornando fradici dalle camminate in città, ci avrebbe consolati con una birra e un piatto di cioccolato e caramello caldo, marrone.  La sera in cui l’abbiamo salutato, Lukas era sul divano abbracciato al suo ragazzo, intenti a guardare in tv lo spoglio elettorale per il sindaco. Quel weekend infatti si votava, e i due candidati arrivati in semifinale avrebbero deciso il colore della loro sorte. La vittoria del Partito Repubblicano avrebbe colorato il loro futuro di nero. La vittoria del Partito Socialismo e Libertà lo avrebbe invece schiarito, promettendo più liberalità nei confronti della loro relazione omosessuale.
Ho pensato al Cristo Redentore, lassù in alto, a quello che pensava lui in merito a certi diritti. Secondo me, con delle braccia così grandi, certi problemi sull’amore non se li poneva nemmeno.

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