La bambinaia olandese, o del tracollo di una rivoluzione


Premessa: sono del parere che le grandi idee rivoluzionarie non nascano da sole. Ritengo un poco plausibile che i geni, si alzino una mattina, magari dopo buona dormita, si rechino dai loro amici, colleghi ecc. e dicano “Sapete cosa? Ho avuto questa pensata nel cuore della notte e d’ora in poi potremmo fare x,y e z”. Impossibile? No di certo. Inverosimile? Decisamente.

Entrando più nello specifico: tutti dicono che il gioco del pallone moderno è figlio (o nipote, trattandosi comunque qualche generazione calcistica fa) di Rinus Michels, della sua Arancia Meccanica in versione Ajax e nazionale olandese, e che tutti quelli che sono venuti dopo praticando un gioco spettacolare sono di fatto suoi eredi. Tale affermazione potrebbe essere definita revisionista, o quantomeno esageratamente santificatoria della figura dell’ex Generale. Spiego: vero, l’apporto di Michels è stato fondamentale, ha influenzato grandi successivi come Sacchi, Capello, Ferguson, Mourinho, Guardiola, e chi più ne ha più ne nomini. È tuttavia necessario ricordare che il periodo in cui è nato il “Calcio Totale” era esso stesso di grande rinnovamento, in cui si era alla ricerca di nuovi modi di pensare, di fare, di esprimersi. Erano gli anni ’60, baby, con tutti i pro e i contro. Oh, mica voglio sminuire l’importanza di Michels, anzi: lui è stato il numero uno, l’esponente maggiore ha dato credibilità al gioco nazionale di un paese che all’epoca valeva all’incirca quanto vale la attuale Lituania. Ha sperimentato e perfezionato, ha scientificamente studiato e umanamente gestito, è stato insomma, un vero cesellatore. Ma non veniva dal nulla: l’Ajax con le gestioni di Reynolds e Buckingham aveva già una filosofia impostata sul gioco aperto, e come detto il clima di quegli anni favoriva molto l’innovazione. L’idea poteva venire a chiunque? Mica vero, ma è venuta a lui perché ci sono state le condizioni giuste. Che è, a mio parere, il modo in cui funziona la Storia stessa.

Madama Butterfly sbatte le ali

La premessa (lunghetta, lo confesso) serviva principalmente a introdurre quello che è il tema di questo articolo, ovvero la mancata qualificazione ad Euro 2016 da parte della nazionale olandese di calcio. Certo, di kermesse gli oranje dall’era di Michels ne hanno mancate (il trittico Spagna ’82-Francia ’84-Messico ’86 e Mondiali 2002) ma qui si va sul terreno della tragedia sportiva in senso lato, perché il nuovo formato a ventiquattro squadre comportava che nessuna delle grandi storiche avrebbe potuto fallire. Scrisse qualcuno alla vigilia di Euro 2012: “Una squadra dovrà suicidarsi, per mancare gli appuntamenti”. Ordunque, è successo, e guardando a chi è successo non c’è da stupirsi.

L’Olanda è sempre stata la Madama Butterfly del calcio, la compagine che forte di una passione quasi amorosa per il gioco offensivo e spettacolare, incrollabile nella sua fede che non contano tanto i risultati quanto il modo in cui li si raggiunge, e che “Disonooore!” su chi predica una mentalità difensiva o anche solo di transizione.  Per anni alle manifestazioni tra nazionali (a livello di club ha sostanzialmente smesso di contare attorno al nuovo millennio, con l’Ajax 2003 e il PSV 2005) la ricetta è sempre stata la stessa: molti giovani in campo, gioco propositivo, magari meno linea verde in alcune circostanze ma solo perché a un certo punto di talenti promettenti ne sbocciavano erano rari, e dunque toccava fare con quello che c’era. La vera questione è che gli oranje hanno sofferto della sindrome di Sisifo: una volta che portavano il masso in cima alla montagna, ovvero che raggiungevano un grande traguardo in una competizione per nazionali, a quella successiva arrivava puntuale la delusione. Il problema degli olandesi, invero, è sempre stato quello di sopravvivere a loro stessi, tanto ai laceranti egoismi interni dovuti a caratteri predominanti quanto alla cronica incapacità di offrire lo stesso rendimento alto in nazionale e nei club. Forse i due fattori sono collegati o forse no, fatto sta che entrambi sono dimostrabili e incontestabili. Specie il secondo, e i due campioni per eccellenza di questa generazione ne sono la prova: Robben è stato un trascinatore decisivo quando contava al Bayern e un individualista testardo in nazionale, Van Persie ha fatto la differenza per anni nell’Arsenal e nel Manchester United poi quando indossava la maglia arancione era tutto fuorché incisivo, e il ragionamento vale anche per gli ultimi Mondiali, di cui tutti ricordano il suo goal contro la Spagna a volo di rondine, che come noto non fa primavera.

Così, tra uno scazzo e l’altro, tra una prova incolore e l’altra, l’Olanda si è trasformata dalla Madama Butterfly del calcio alla farfalla che sbatte le ali in Brasile e provoca un uragano in Texas, fatto salvo che questa volta l’effetto ha colpito lei in prima battuta (e forse anche le casse della U.E.F.A., ma questo aspetto non ci permettiamo di approfondirlo). Su quale sia stato lo sbattimento di ali, ognuno ha la sua teoria: la continua insistenza su un difensore in palese difficoltà in campo internazionale come Martins Indi? Il non aver avuto il coraggio di lasciare

a casa uno tra Sneijder, Robben e Van Persie o magari tutto il trio? L’aver scelto Hiddink dopo Van Gaal annunciando subito dopo che il successore del primo sarebbe stato Danny Blind? Il fatto di aver puntato proprio su quest’ultimo, la cui unica esperienza da capo allenatore era stata fallimentare all’Ajax di inizio nuovo millennio? Il non aver saputo mettere da parte definitivamente il 4-3-3 di marca calciototalista? La disorganizzazione in federazione? Chissà. Ma il fatto è compiuto, il vaso è rotto: dopo quattordici anni, gli oranje non parteciperanno a un torneo per nazionali. Unito al nulla a livello di club, per il calcio tutto può dirsi un vero problema.

Il loro regno per una bambinaia

Ora, trovandoci di fronte alla questione spinosa (o Spinoza se preferite dato che era di quelle parti) si può provare a trovare una soluzione. Quale? Ragioniamo: l’Olanda ha giovani di prospettiva come Daley Blind, De Vrij, Clasie, Depay, Dijks, Klaassen, Suently, Bergwijn, Narsingh, Luuk De Jong, van Beek, Karsdorp, van Rhijn, che possono diventare il futuro prossimo della squadra. Costruire uno zoccolo duro su qualcuno di questi nomi, magari affiancando atleti ancora affidabili come Afellay, Huntelaar, Lens, Van der Wiel, Janmaat potrebbe essere la via giusta per preparare i Mondiali 2018 in Russia. Basta star strapagate e inconcludenti come quelle citate nel paragrafo precedente, basta fazioni interne o gente che chiede a gran voce il posto da titolare (Van der Vaart alla vigilia di Euro 2012). Si punti su ragazzi affamati per puntare al bersaglio grosso (leggi: vittoria) ai Mondiali di Russia. E non è impossibile, perché comunque in una competizione così breve non conta tanto chi ha talento in abbondanza ma chi arriva più in forma e chi sa mantenere la concentrazione giusta.

La guida, tuttavia, dovrebbe essere diversa da quella di Danny Blind. Non perché mi piacciano gli allenatori che saltano o perché lo ritenga un cattivo mister, ma semplicemente perché per una banda di lupacchiotti come quella che potrebbe venire a formarsi serve una vecchia volpe della panchina, o se preferite una bambinaia per gli enfants du pays. Co Adriaanse, Dick Advocaat (sarebbe al terzo mandato, ma da queste parti non ci guardano molto) o semmai anche Pim Verbeek, coach che sono stati in giro per il mondo, ne hanno viste di cotte e di crude e possono aiutare e supportare i giovani, dar loro spazio e modo per imparare, senza la presenza (di nuovo) di primedonne buone solo a batter cassa. All’Olanda serve una nuova via, diversa da quella che ha portato a questo fallimento. Servono giovani rampanti e una guida carismatica. Come dite? Non è una via nuova, ma quella tradizionale olandese? Non me n’ero accorto…

4 Comments

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  1. Fabio Pirola

    Ci sei riuscito. E poi lo sport offre sempre tanti spunti interessanti… è per questo che sinceramente non capisco chi si ostina a non voler seguire alcuno sport, quasi per partito preso, come se fosse qualcosa di troppo basso o troppo popolare… si perdono tanto.

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