Cittadini nell’ombra: quando lo sciopero della fame non basta


Divorziare non è mai un’esperienza felice.

Ci sono situazioni diverse e persone diverse e come per ogni altra scelta della tua vita, questa  determina  dei cambiamenti.

Per Antonio Cerquone i cambiamenti sono stati radicali. Oltre ogni previsione.

Lo incontro di pomeriggio a Giulianova, cittadina abruzzese in provincia di Teramo, dove Antonio lavora. Ha un viso asciutto e scavato, occhi scuri e sguardo fermo. Si esprime con educazione e precisione, senza lasciare spazio al dubbio.

Si è documentato per anni per studiare al millimetro la situazione legislativa che lo ha costretto a rivoluzionare la sua vita senza molte altre alternative che una lotta di trincea e una mal riposta fiducia nella risposta di qualche istituzione che si decida ad analizzare il suo caso.

Antonio ha 47 anni, lavora come dipendente pubblico presso l’IIS “Crocetti-Cerulli” di Giulianova, in qualità di assistente tecnico dei laboratori informatici.
Separato dal 2004 e divorziato dal 2009, ha sempre pagato gli alimenti e le eventuali spese straordinarie divise al 50% tra i due ex-coniugi, il tutto regolarmente documentato.

Il problema è sorto nel momento in cui le somme da pagare, riguardanti le crescenti spese extra, per cui non veniva consultato, e gli oneri degli avvocati, sono diventate troppo elevate per essere sborsate in un’unica soluzione.

Cifre che sommate a quelle quotidiane andavano a decurtare oltre il 50% del suo stipendio, fino a superare l’importo stesso dell’intera busta paga.

1033 euro netti di stipendio mensile da cui sottrarre 300 euro di affitto, 350 euro di alimenti, spese straordinarie (ad esempio 1200 euro annuali per la scuola privata) e un mutuo acceso per solvere il debito con l’INPDAP, ai cui prestiti ricorre tuttora per pagare gli avvocati.

«Ogni mese rimango con 50 euro quando va bene, altrimenti non mangio».

Nel febbraio 2010 iniziano le azioni dimostrative: uno sciopero della fame per protestare contro l’ingiunzione di 2.500 euro per non aver assolto alla richiesta di denaro della controparte nei tempi indicati dal tribunale.

«Un’ingiunzione che non mi aspettavo dato che la volta prima a porte chiuse i nostri avvocati si erano messi d’accordo per una soluzione di pagamento parcellizzata: cento euro al mese in più per affrontare le spese extra che la mia ex moglie aveva richiesto insieme all’onorario del suo avvocato».

Uno sciopero che dura fino a maggio. Lo stipendio di questi tre mesi viene utilizzato da Antonio per pagare la somma richiesta e chiudere definitivamente la questione.

Ma nello stesso mese arriva un pignoramento. Antonio ha pagato, certo, ma non entro i termini stabiliti dalla legge: 1084 euro che gli vengono decurtati dallo stipendio di 1033.
Decide di incatenarsi davanti al tribunale di Giulianova.

A giugno il tribunale gli pignora lo stipendio per una cifra 1600 euro (1084 euro più 516 euro di onorario per il legale di controparte) che gli vengono decurtati dallo stipendio di 1033. Il mese dopo decide di incatenarsi davanti al Tribunale di Teramo.
Nel luglio 2011 un nuovo pignoramento dello stipendio.

Antonio si sente vittima di un vuoto normativo.
«Per legge è vietato pignorare più di un quinto dello stipendio di un soggetto, eppure parlando con un giudice mi è stato confermato che esiste evidentemente un grave vuoto normativo: per legge non sembra esserci un limite alle richieste di denaro che, nel mio caso, la controparte può pretendere dall’ex-coniuge» .

A settembre del 2011 smette di pagare il mantenimento figli.
Di conseguenza viene attuato nei suoi confronti il provvedimento dello stralcio alla fonte: la somma  dovuta viene decurtata automaticamente dalla busta paga.
Per questo viene querelato penalmente e messo sotto indagine dal GIP di Teramo.

«Ho risposto al Gip inviandogli tutta la documentazione necessaria per illustrargli la mia situazione e in che modo sono stato costretto a smettere di pagare gli alimenti. Ho portato come testimone la mia compagna, Luciana, che meglio di altri conosce il modo in cui devo affrontare ogni singolo giorno e che ho rischiato di perdere per questa situazione.

Ora resta da vedere se il giudice stabilirà che non si tratta di reato in quanto quei soldi mi servono per mangiare. Ma rimane il paradosso di fondo: se mi assolve perché certifica che effettivamente si va ben oltre la metà del mio stipendio, lo stralcio alla fonte rimane comunque» .

A giugno 2012 arriva il fermo amministrativo dell’auto di proprietà, revocabile in cambio di 7000 euro da pagare entro i termini stabiliti per non incorrere in ulteriori ingiunzioni.

Chiedo ad Antonio se riesce ancora a pensare ad una soluzione plausibile.
«Parlando col mio avvocato, l’unica soluzione sembra aspettare una sentenza che faccia giurisprudenza, cioè che venga presa come sentenza di riferimento in attesa che la normativa cambi. In questi anni ho scritto al Presidente della Repubblica, al Presidente e al Vice presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, al Ministro della Giustizia e al Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Teramo» .

Il 25 settembre l’ottava commissione del CSM si è riunita a Roma per discutere il suo esposto contro il giudice di Teramo che si occupa delle ingiunzioni.

«Voglio capire» dice Antonio «se me la devo prendere con un giudice particolarmente incompetente che potrebbe fare qualcosa ma non lo fa se considera lecita ogni ingiunzione e permette quindi che si passi al pignoramento. Oppure il problema è la legislazione nazionale e in questo caso mi rivolgerò alla Corte Europea per denunciare lo Stato Italiano».

Qui non si tratta di esaminare oltre il dovuto la situazione familiare di Antonio: una richiesta di separazione inoltrata dall’ex-moglie senza motivazioni particolari se non la volontà di cambiare vita e partner.
Non si tratta nemmeno di discutere il legittimo dovere di un genitore separato di contribuire al mantenimento dei figli.
Ma si tratta di decidere se sia lecito o meno garantire a un cittadino un diritto primario:
la possibilità di vivere secondo gli standard del proprio stipendio, tre pasti al giorno, un tetto sopra la testa, una vita sentimentale serena che non venga messa in crisi da una precarietà imposta per legge.

«Non accetto soldi né mi rivolgo alla Caritas perché toglierei un posto a qualcuno che ne ha più bisogno. Io non voglio essere un peso per nessuno. Accetto la solidarietà morale delle persone che mi sono vicine solo per arrivare al giorno in cui vedrò l’epilogo di questa storia. Continuo ad avere fiducia nella giustizia e non concepisco che uno Stato lasci che una persona onesta venga massacrata in questo modo».

2 Comments

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  1. Marco

    Se Antonio avesse avuto un conto in banca notevole da poter scegliere gli avocati migliori, la sua situazione si sarebbe risolta in poco tempo e con esiti diversi. la giustizia e per chi può pagarsela. nelle separazioni il giudice favorisce in percentuale maggiore la donna, ma non comprende che i figli hanno bisogno di tutte e due i genitori. ci vorrebbero delle leggi diverse e migliori da quelle di oggi, che vanno a tutelare i figli . ci vorrebbe uno stato di diritto che tuteli il nucleo famigliare che lo difenda e lo faccia crescere in responsabilità, uno stato, insomma, dove i diritti dell’infanzia, dei minori e dei genitori siano al di sopra della mera economia di mercato.

  2. Lara Conte

    Sono d’accordo. Inoltre secondo me non bisogna confondere il conflitto di genere con il conflitto di interessi alimentato da terzi per mere esigenze economiche che non sembrano avere altra fonte che l’avidita’. Mi riferisco a casi simili presi in esempio per affermare e criticare l’esistenza di un nazi-femminismo. E’ troppo facile identificare il proprio nemico nella differenza di genere , come si fa anche quando si sfruttano le differenze razziali e ideologiche. Il problema e’ che viviamo in uno Stato che si definisce di diritto e gli strumenti messi a disposizione dei cittadini dovrebbero essere controllati per evitarne l’abuso e gravi scompensi. Dovremmo evitare, come al solito, di farci la guerra tra “poveri”.

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